Desiderio & Personalismo

Nonostante il postmodernismo e la diffusione di culture della crisi e della
tragedia, i filosofi continuano a fare baluardo contro la psicoanalisi.
Anche nelle loro caute aperture, non abbandonano la cittadella nella quale
hanno sempre trovato la salvezza: il Pensiero puro e superindividuale.

Lo spettro dei filosofi, anche di quelli che hanno rivoluzionato le vecchie
categorie, riguarda il sentire dell’individuo e la centralità del desiderio
nelle vicende umane.

 Anche l'”apertura” di Heidegger, ad esempio, salutata da molte parti quale
visione rivoluzionatrice , è in realtà una riproposizione, solo in apparenza
nuova, della antica aspirazione dei filosofi alla trasparenza e alla visione
luminosa e solare. La paura di fronte alla oscurità e alla indomabilità
della pulsione e del desiderio che affondano le loro radici in plaghe
sconosciute dell’animo umano, ha spinto Heidegger ad “andare fuori”,
all’apertura, e mai ad “andare dentro” , come altri filosofi, che hanno
mancato la loro rivoluzione culturale, perché hanno indietreggiato di fronte
al mondo oscuro dei desideri pulsionali e sono rimasti chiusi in un molto
tradizionale cognitivismo

Viceversa il “pensare affettivo”, ovvero la grande rivoluzione
psicoanalitica è la scoperta, dolorosa, che il pensare non è immune dal
sentire individuale, che non avviene nel vuoto, ma è cura di sé. Non c’è
scuola o corrente psicoanalitica, dalla Klein a Kohut, che non ponga
“all’inizio” questa ferita narcisistica, mostrandoci come essa condizioni
una gran quantità di vicende umane

Freud , Bion,  Melanie Klein,  Lacan, ci hanno però mostrato che se questa
ferita è ben elaborata, si aprono nuovi spazi e nuove possibilità.

Ma è certamente Lacan che ha apportato nel rigore kleiniano una ventata di
libertà insistendo sulla centralità del desiderio.

In questo contesto si inserisce René Girard che ha sicuramente il merito di
aver riconosciuto la funzione determinante del «modello» nel processo di
costituzione dell’identità attraverso la triangolazione del desiderio: il
mio desiderio per qualcosa in realtà non sarebbe altro che il desiderio
mimetico del prestigio di chi possiede quell’oggetto e viene eletto a
modello di un’esistenza riuscita.

Il desiderio mimetico, mirando a possedere l’oggetto esibito dall’altro,
propriamente non è desiderio dell’oggetto in sé, ma piuttosto del
riconoscimento a esso connesso. L’uomo desidera…

“…un essere di cui si sente privo e di cui qualcun altro gli sembra
fornito. Il soggetto attende dall’altro che gli dica ciò che si deve
desiderare, per acquistare tale essere. Se il modello, già dotato a quanto
pare di un essere superiore, desidera qualcosa, non può trattarsi d’altro
che di un oggetto capace di conferire una pienezza d’essere anche più
totale. Non è con le parole, è con il suo stesso desiderio che il modello
indica al soggetto l’oggetto supremamente desiderabile.”

L’altro s’impone come modello di pienezza d’essere attraverso l’esibizione
degli oggetti posseduti, da qui il tentativo di costituire la propria
identità attraverso la lotta per la loro conquista. Pur potendo avere anche
una funzione positiva è chiaro che il desiderio mimetico rimane sempre sul
punto di cadere in un circolo autodistruttivo quando cede, illudendosi,
all’appagamento immediato dell’onnipotenza infantile e solo “phantasiike”
e/o idolatrica…delle merci, forse direbbe Marx.

Ma l’uomo desidera intensamente proprio perché prima di tutto desidera
*essere*

Nel desiderio mimetico, descritto da Girard, l’uomo s’illude di essere
impossessandosi semplicemente dei simboli del prestigio altrui: si tratta di
una «credenza magica», ma fondata sulla giusta intuizione che è in direzione
della partecipazione all’alterità che è possibile realizzare il desiderio di
essere.

Le analisi del desiderio mimetico sviluppate da Girard costituiscono solo il
momento più appariscente di questo fenomeno e andrebbero senz’altro
integrate con quelle, svolte all’inizio del Novecento, da Max Scheler a
proposito della teoria del Vorbild, analizzando come il desiderio di essere,
che per realizzarsi non può evidentemente limitarsi all’appropriazione di
simboli totemici, abbia bisogno di immergersi concretamente nel «convissuto»
di chi è riuscito a «essere» in modo esemplare.

L’ESEMPIO DEI CLASSICI….arte, letteratura, Dante, Shakespeare eccetera

L’*esemplarità* è un fattore «spirituale» che agisce nel senso di legare e
tenere insieme in modo del tutto diverso dalla paura, dalla minaccia e dalla
convenienza. Non si tratta di unire le forze per risolvere una minaccia
esterna incombente (questo lo sanno fare anche gli insetti sociali), ma di
un legame non simbiotico in cui tuttavia sento una comunanza solidaristica
nella crescita della densità esistenziale con l’altro.

Nel covissuto dell’esemplarità, l’altro mi aiuta a entrare in contatto con
quella forza che mi fa sentire vivo e che quindi mi fa essere, invece nel
modello identifico totemicamente tale energia nei desideri e negli oggetti
posseduti dall’altro. Così facendo il modello si presta a diventare lo
schermo su cui proiettare fantasmaticamente quella forza che non riesco a
trovare, ma che nel contempo intuisco essere indispensabile per dare
finalmente densità e visibilità a una vita altrimenti spenta.

Nel Sofista Platone distingue due modi di creare immagini (o attività di
eidola poiein) alla base della mimesis: nel primo, eikastike, c’è una
similitudine, una somiglianza con l’originale, nel secondo, phantastike,
prevale invece la manipolazione del soggetto (Sofista, 236a-236d). Nel primo
caso la formazione dell’immagine coincide con lo stesso processo iconico di
manifestazione dell’originale e, non risolvendosi in un prodotto meramente
gnoseologico o soggettivo, si dà solo di fronte a una capacità di aprirsi e
partecipare alla manifestazione dell’originale, comportando un drastico
ampliamento dell’orizzonte percettivo. Nel secondo caso invece il soggetto
nella costruzione dell’immagine si limita a proiettare in essa i propri
bisogni e — deformandola a proprio uso e consumo — si condanna alla
chiusura ambientale, cioè a rimanere prigioniero della propria dimensione
solipsistica.

La persona invece ha la capacità recettiva-passiva di esporsi all’ascolto
del diverso da sé, ma poi è attiva nello sviluppare gli esempi iconici che
la contagiano: l’esempio germina dal di dentro fino a diventare il materiale
su cui costruire la deviazione precipua del proprio percorso individuale

Per porsi nelle condizioni di ricevere e venir fecondati passivamente
dall’esemplarità iconica è necessario innanzitutto un processo di
svuotamento kenotico dalla pienezza del proprio egocentrismo proiettivo.
Solo dopo l’esemplarità riesce a contagiare nel senso di un’alterità che
aiuta maieuticamente a far partorire se stessi una seconda volta. (Processo
analogo alla via dello Zen  ndr)

L’iconicità è alla base dei tre momenti costitutivi dell’esemplarità. In
quello maieutico emerge un’istanza anti-assolutizzante in quanto
nell’esemplarità non c’è un obbligo: esattamente come il Socrate
philo-sophos, l’esemplarità non ha una sophia da trasmettere attraverso
comandamenti o norme universali ed eterne. Non impone qualcosa, come avviene
per il modello, piuttosto accende e ridesta, suscitando dal di dentro una
risposta innovativa; per questo se la partecipazione dell’Io a un modello è
obbligata a muoversi lungo un binario uniformante, la compartecipatività
propria della persona può irradiarsi liberamente in tutte le direzioni.

SOLIDARISMO ETICO o “Bene comune”

Il prospettivismo etico si distingue dal relativismo etico nella misura in
cui riesce ad ancorarsi allo statuto ontologico dell’*ordo amoris* della
singola persona. Una scelta etica risulta non relativista anche se
espressione di una sola vocazione individuale debitamente rettificata. Più
quella persona lì diventerà unica, meno il suo agire etico risulterà
convenzionale o arbitrario; più quella persona lì svilupperà ontologicamente
la propria particolarità mediante l’esemplarità, più il suo agire etico
cercherà di corrispondere al bisogno di realizzare la propria vocazione
individuale. Tutto si gioca sul fatto che l’agire etico dell’individuo non
si fonda sul libero arbitrio. È qui che va scandagliata la fecondità
implicita nel concetto di solidarismo: è il solidarismo, non l’universalismo
il punto di riferimento finale dell’etica.

La differenza qualitativa non comporta di per sé il relativismo. Se
l’emergere di diverse prospettive personali è il risultato di un percorso di
formazione individuale non solipsistico, la conseguenza non è il relativismo
etico, quanto il solidarismo etico: ogni sviluppo e perfezionamento
nell’ordo amoris di una persona singola è da concepire come un passo in
avanti nel processo di disvelamento infinito della assoluta gerarchia dei
valori.

Una direzione per certi aspetti convergente con quella enunciata da Charles
S. Peirce a proposito della «comunità illimitata degli interpretanti».

Più la singola persona realizza la propria vocazione individuale, e quindi
fa emergere le proprie irripetibili differenze qualitative, più contribuisce
ad ampliare l’orizzonte axiologico complessivo. A sua volta la
singolarizzazione personale richiede un processo di rettificazione esemplare
che rimane inscritto all’interno di uno sforzo solidaristico comune.

Più una persona si «individualizza», più riesce a vivere intensamente, più
rinasce e si salva.

Questo sforzo solidaristico, orientato dai fattori spirituali, tende in
ultima analisi a salvare dal non vivere, quello derivante dal non riuscire a
dare forma al proprio essere personale.

CONCLUSIONE

L’antropologia filosofica del XX secolo ha cercato di comprendere l’uomo a
partire dal concetto nietzschiano di uomo come animale malato. E se invece
il tratto distintivo fosse da ricercare non in una carenza biologica, bensì
in una incompiutezza spirituale?

Ora sappiamo infatti che c’è la possibilità di deviare ex-centricamente dal
desiderio mimetico e dal modo di vivere abitudinario.

Questo è l’obiettivo, in ultima istanza, della psicoanalisi: passare dall’Io
alla Persona, perchè questo è ciò che il desiderio desidera, che è sempre
creatività, innanzitutto, quindi rivolto al futuro, non diretto all’oggetto
ma al senso, all’affettivita, a quell'”orda amoris” cioè, al fascino, alla
immaginazione, al nuovo, all’inedito… sempre un passo avanti, è tensione
all’alterità, estroversione.

La particolarità della persona consiste nell’avere un ordine di orientamento
valoriale ancora incompiuto, questo significa concepire anche il processo di
espressività in termini di rinascita. L’identità della persona non consiste
nel mantenere stabile nel tempo una determinata prospettiva, ma nello stile
inconfondibile con cui quella prospettiva porta alla luce una
tras-formazione attraverso il tempo.

“La persona è un’attività di «autocreazione» volta all’uscita da sé,
all’esistere nella presenza come realizzazione di un essere insieme
comunitario che la nutre”

(cfr. E. Mounier, Il personalismo, Roma 1996)

Bibliografia

http://mondodomani.org/dialegesthai/mda01.htm

http://mondodomani.org/dialegesthai/gcu02.htm#rif23

http://www.ibs.it/code/9788871807980/bloom-allan/chiusura-dela-mente.html

Desiderio & Personalismoultima modifica: 2011-08-23T00:40:40+02:00da allan11
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