“LA CULTURA DELL’INTRATTENIMENTO”

Il modello liberal-democratico americano, base della nuova cultura di massa, ha i suoi perni nell’intrattenimento e nel consumo allo scopo di distrarre le masse dalle sofferenze sociali che questi processi di sviluppo producono, non dando loro gli strumenti per ribellarsi. Fenomeno che al suo centro ha il ruolo dei mass-media e degli organi di intrattenimento, cinema e televisione, (ma anche internet, tablet e smarthphone) come strumenti atti a formare un’opinione pubblica assuefatta e passiva e a trasformare il popolo in un pubblico.

“La realizzazione di un *apparato egemonico*, nella misura in cui crea un nuovo terreno ideologico, determina una riforma della coscienza e dei metodi della conoscenza”, (A. Gramsci – Quaderni dal carcere)

Quello che vediamo oggi è quindi il prevalere di una fortissima componente della cultura di massa, che mina il carattere distintivo delle varie culture locali e che monopolizza e trasforma ampi settori della cultura con un dilagante spirito di intrattenimento, a fine di lucro.
A dominare i valori tradizionali ed a sostituire le varie influenze culturali vi è quindi ora questo *apparato egemonico*, radicatosi ormai nella struttura imperiale. La *cultura del divertimento* imposto al pubblico è il prodotto di questa ideologia consumista, inventata dall’Occidente.

Quello che è *divertente* è semplicemente definito, con nozione vaga, come ciò che fa accrescere la felicità generale del pubblico. L’intrattenimento è considerato , quindi, come un modo di fornire, in altre parole, una distrazione dalla difficile realtà del presente. Ma detto *intrattenimento* è altresì un’ efficace “benda sugli occhi della gente” per impedirle di prendere consapevolezza dei problemi reali che riguardano la sua vita. Anche le questioni importanti sono, in qualche modo, affrontate, sotto forma di *intrattenimento*.

E’ oggi l’*intrattenimento* il vero “oppio dei popoli”, e non la religione, bensì “l’oppio del pubblico” !!

In uno stato democratico-capitalista, la costante distrazione è il principale meccanismo per mantenere le persone lontane dalle problematiche pubbliche. Noam Chomsky, coraggioso intellettuale americano, ha scritto:

“Il controllo del pensiero è più importante per i governi che sono liberi e popolari, rispetto agli stati dispotici e militari. La logica è semplice: uno stato dispotico può controllare i suoi nemici interni con la forza, ma come lo stato perde questa arma, altri dispositivi sono necessari per evitare che le masse ignoranti interferiscano negli affari pubblici… il pubblico può osservare, ma non partecipare, limitandosi a consumare ideologia, come consuma i prodotti”. Ed il controllo del suo pensiero avviene attraverso l’intrattenimento.

“Politica, religione, notizie, sport, istruzione e commercio sono stati trasformati in appendici congeniali dello spettacolo, senza che la gente se ne sia accorta e abbia protestato. Il risultato è che siamo diventati un popolo che si diverte sull’orlo del precipizio”. (Neil Postman, Amusing Ourselves to Death, pag 3-4)

L’invasione dell’intrattenimento nella cultura ha modificato non solo le abitudini e le attività dell’impegno intellettuale, ma anche l’immagine e la funzione degli intellettuali stessi. Mentre l’influenza della parola stampata si sta gradualmente marginalizzando, si assiste all’ uso crescente delle immagini come fonte di informazione e conoscenza ed allo spostamento dell’attenzione degli intellettuali verso i personaggi cinematografici, rock star e televisivi.
Essi sono diventati le “fonti” di idee, di significati, di interpretazioni dei fatti, ed in loro si identifica il grande pubblico del XXI secolo.

La trasformazione di celebrità in icone culturali, in eroi di culto (o modelli di ruolo) è evidente dal modo in cui le persone si identificano con esse. Le singole vite private sono amplificate come se fossero divenute questioni di interesse nazionale. Ogni dettaglio della vita privata di una celebrità viene trascinato davanti agli occhi del pubblico, come uno spettacolo. I personaggi prescelti dai media, avvolti in un alone di mito, devono sembrare straordinari, speciali; devono divenire celebrità che formeranno una classe separata, diversa da quella degli individui normali. Per questo essi sono chiamati superstar, stelle come metafora: lontane, irraggiungibili, eleganti, piene di sé. Scarsa importanza è data al loro valore artistico, morale e intellettuale, alla loro cultura generale. Pur tuttavia, essi vengono inondati dall’adulazione popolare e godono di un immeritato riconoscimento di statura artistica.

“Autorità intellettuali” partorite da un sistema di intrattenimento senza cervello, con un modello di performances spettacolari che non sviluppano il pensiero critico degli spettatori, bensì il consumo passivo di immagini in movimento.

A livello individuale, un motivo che attira verso queste icone dell’ intrattenimento è dato dalla crescente tendenza narcisistica. Il narcisismo, nella sua accezione contemporanea, è il desiderio voyeuristico di vedere se stessi attraverso la lente elettronica dei vari mezzi di comunicazione: la propria immagine di sé viene prodotta e misurata secondo gli standard superficiali dei mass media. I reality show, che affollano la televisione e accrescono la nostra ossessione per una sorta di esibizionismo digitale, testimoniano gli stati narcisistici che si sviluppano in una società sempre più saturata dai media.

Il legame tra atteggiamenti narcisistici e pseudocultura fondata sul mito della celebrità può essere definito come l’idolatria acritica di un personaggio mediatico, partorito dai mass media.

Il giornalista americano Chris Hedges ritiene che la nostra generazione sia caduta “nella tana del coniglio” delle allucinazioni dettate da immagini spesso dominate dalla violenza e dalla pornografia elettronica. Il soggetto è diventato (usando un’espressione di Hannah Arendt) “atomizzato”, dopo essere stato risucchiato da sistemi di informazione e di intrattenimento che si ispirano ad una fascinazione pruriginosa proveniente dall’America, dove spesso regna il cattivo gusto, la crudeltà e il culto fonoassorbente del sé Non è un’iperbole dire che stiamo vivendo in un periodo di voyeurismo senza precedenti, coinvolti nell’esperienza passiva di volere vedere e conoscere tutto ciò che crediamo esista nel mondo virtuale.

Questa realtà ci riporta al vecchio tormento di Tasio: come abbiamo fatto a finire per amare il banale, il sensazionale, la vacuità, il falso, l’effimero?
Questa è la pericolosa epoca di un mercantilismo deteriorato, che impone modelli di vita nei quali le persone sono ridotte a spettatori obbedienti, trasformati in consumatori atomizzati, mentre l’ambiente viene considerato solo come una mera fonte di materie prime da sfruttare.

Una nuova cultura di massa che si impone cancellando le precedenti culture , svilendo la funzione dell’intellettuale come coscienza critica di una comunità e riducendo tutto a solo spettacolo, politica , filosofia, teologia, sociologia , psicologia e chi più ne ha più ne metta, incluse.

“LA CULTURA DELL’INTRATTENIMENTO”ultima modifica: 2016-06-02T17:54:25+02:00da allan11
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