Filosofia Teoretica – CHOMSKY – FOUCAULT

Filosofia Teoretica – CHOMSKY – FOUCAULT, Schemi riassuntivi di Filosofia Teoretica. Politecnico di Torino
Filosofia Teoretica
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CHOMSKY – FOUCAULT

C’è un livello immediatamente percepibile del dialogo che è piuttosto semplice e abbastanza superficiale, ma contemporaneamente dal momento che si tratta di due interlocutori che hanno alle spalle un lavoro molto complesso, molto sofisticato, anche se di questo lavorosi parla solo in termini divulgativi, sotto la superficie poi c’è un livello più profondo.
Il nostro compito interpretativo sarà sostanzialmente quello di comprendere la superficie del dialogo, ma anche cercare poi di ricostruire la linea sotterranea.

Il libro “Della natura umana”,è un colloquio fra due importanti intellettuali: Chomsky,americano, e Foucault, francese.
Chomsky è ancora vivo, mentre Foucault è morto alla fine degli anni 80.
Il testo è un dibattito televisivo che ebbe luogo in Olanda, con un conduttore di nome Elders.

Chomskyè soprattutto un linguista ed è famoso soprattutto perché dalla guerra del Vietnam fino ad adesso è considerato una delle maggiori personalità critiche nei confronti della politica americana: fece a suo tempo un lavoro molto impegnato contro la guerra in Vietnam e scrisse dei saggi e studiava la maniera in cui i media falsificavano le notizie sul Vietnam.

Foucault a sua volta aveva un fortissimo impegno politico. Lui era essenzialmente un filosofo ma come molti intellettuali francesi veniva da uno studio di scienze umane e quindi è famoso soprattutto per degli studi di impostazione storica. I sui libri più famosi hanno un po’ questo carattere, cioè di aver scritto la storia di cose della quale di solito non si fa la storia. Per esempio il primo suo libro famoso si chiama “La storia della follia” ed è la ricostruzione del modo in cui nella cultura europea, a partire dal 400-500 ha preso via via forma questa idea del folle: che esistano i folli, che vadano considerati come una categoria sociale, che vadano separati dal resto degli altri.
Lui ha ricostruito a partire da questa figura la maniera in cui tutta la società europea è andata via via organizzandosi sia sull’ambito medico che sull’ambito sociale, politico, urbanistico.

Sono due pensatori che facevano un discorso che aveva un lato rigorosamente scientifico, e un lato popolare. Infatti avevano un seguito enorme.
Da qui il fatto che potessero interessare anche i mass media, per cui in Olanda organizzarono un incontro in questo dibattito televisivo in cui loro furono invitati a parlare prima di tutto sulla questione della natura umana. Questo perché Foucault era uno che aveva tematizzato questa faccenda dell’umano post-umano a modo suo, nel senso che aveva accennato all’idea che la figura dell’uomo come la conosciamo noi è, in fondo, non un fatto naturale ma il prodotto di un insieme di fenomeni storici, di apparati culturali, di modelli sociale, in questo caso le scienze umane in particolare, e lui era stato uno dei primi a dire che questo modello di umano e di umanità è in via di estinzione.

Al contrario Chomsky è famoso come linguista per il fatto che è stato il primo a sostenere che in realtà il linguaggio non è una cosa che noi veramente acquisiamo in forma storica, ma è radicato nell’apparato genetico umano. Che la capacità di parlare, la disposizione al linguaggio è intrinseca alla natura umana.

Gli studi di Chomsky sono legati soprattutto all’idea che ci sia, nella nostra mente, un enorme quantità di strutture innateche ci consentono di acquisire il linguaggio; strutture mentali innate che predispongono all’acquisizione di una specifica grammatica.

Tutte le varie lingue anche se ci sembrano diverse hanno delle strutture profonde sostanzialmente analoghe; a prima vista, se io considero le regole che vengono insegnate del cinese e dell’italiano, sono regole diverse, ma se vado più in profondità posso fare un tipo di lavoro per cui tutti i diversi sistemi di regole mi si presentano come articolazioni diverse di alcune regole nascoste, molto più sofisticate, che sono regole della grammatica universale.

Sono, a suo giudizio, delle cose che non impariamo ma delle cose attraverso le quali e grazie alle quali impariamo quello che volta per voltaè una regola differente; sono strutture innate, e proprio perché sono innate noi nemmeno ci accorgiamo di possederle e operiamo automaticamente su quella base.

E’ arrivato a questo tipo di costruzione soprattutto in base ad un’osservazione sulla maniera in cui i bambini imparano il linguaggio.

Dobbiamo renderci conto dell’enorme complessità che comporta la lingua perché con un numero limitato di strumenti io mi metto in condizione di affrontare linguisticamente in maniera adeguata un numero infinito di situazioni possibili.

Tutto quello che diciamo è quasi sempre qualcosa di nuovo. Per esempio la parola acqua la possiamo usare in circostanze, situazioni in cui la connessione con la realtà è assolutamente diversa.
L’esempio più macroscopico di questa enorme complessità cognitiva che c’è nel linguaggio è la negazione: io posso usare la parola acqua per dire “qui non c’è dell’acqua”. Provate ad insegnare ad uno scimpanzé una cosa del genere; se lo addestrate a interpretare questo suono, il massimo che potete ottenere è che lui colleghi il suono “acqua” con la presenza di acqua. Non riuscirete mai a spiegargli che lo stesso suono o un suono molto simile può indicare l’esatto opposto.

Tutte queste cose i bambini le imparano in un’età in cui non sono neanche in grado di allacciarsi le scarpe e le imparano in base ad un livello di stimolazione, ad un livello di informazione che proviene dal mondo esterno che è assolutamente elementare. Un bambino, intorno ai 2 anni, impara ad usare una parola che ha sentito al massimo 4 volte in maniera impressionantemente pertinente; realisticamente, 4 volte lui quella parola l’ha legata a quattro situazioni diverse, eppure lui già riesce in genere, senza grande fatica, ad usarla in modo pertinente in situazioni che non ha mai visto.

Quel bambino ha una serie di strutture cognitive già precostituite.

L’informazioneche lui riceve dal mondo esterno gli serve soltanto per colmare quell’ultimo piccolo tratto che distingue questa grammatica universale che lui ha già dalla specifica lingua naturale che sta imparando a parlare.

Questa di Chomsky è un’impostazione teorica che non è mai stata smentita ma che ha trovato ampie conferme.

Per Chomsky il linguaggio cresce con la crescita della menteun po’ come cresce un osso, per ragioni genetiche, tant’è vero che per ragioni strettamente naturali c’è una fase nella nostra evoluzione celebrale nella quale siamo in condizione di apprendere il linguaggio, e se per qualche motivo uno non apprende il linguaggio in quella fase (oltre i 15 anni d’età) non imparerà mai più bene il linguaggio.
Questo perché lo sviluppo del cervello raggiunge a quel punto una serie di modifiche tali che la disponibilità che la facoltà di linguaggio ha di questi principi e di queste strutture della grammatica universale non c’è più.

La sua è un’impostazione fortemente naturalistica, che rientra nel campo delle scienze naturali ed ha per oggetto la natura umana, cioè dei fenomeni naturali che definiscono dei requisiti e alcune prestazioni particolari di quella particolare specie che è la specie homo sapiens.

Vediamo che già in questa locuzione, una ricerca naturalista che ha per oggetto la natura umana, c’è per certi aspetti una sorta di rivoluzione conoscitiva perché, noi veniamo da una tradizione in cui si è sempre detto che ci sono le scienze naturali e ci sono le scienze umane, dove per definizione le scienze umane che studiano cose specifiche dell’uomo non sono scienze naturali, perché hanno per oggetto delle cose che vanno al di là del puro campo naturale e che riguardano la razionalità; quindi c’erano le scienze naturali che si occupavano dei fenomeni naturali e le scienze umane che si occupavano di questa cosa diversa, particolare e speciale che riguardava soltanto l’uomo.

Chomsky progetta una ricerca naturalistica che ha per oggetto la natura umana, dove il requisito della natura umana che si progetta di studiare naturalisticamente, quindi con gli strumenti specifici e i metodi delle scienze naturali, è esattamente quello che si è sempre chiamato lo spirito, il logos e la razionalità, cioè la creatività umana.
È un progetto rivoluzionario.

Questi requisiti non risentono delle modifiche storiche: quando noi parliamo di facoltà di linguaggio e di tutto ciò che questa facoltà di linguaggio è connesso, abbiamo a che fare con cose che non hanno niente di relativo, di storico.

Da un certo punto di vista Foucaultera considerato all’epoca il rappresentante per eccellenza della posizione opposta, tant’è vero che era sistematicamente attaccatoe criticato di essere un “relativista”.
Questo è un dialogo che si divide in due parti in maniera netta:

1° metà: si discute del concetto di natura umana;

2° metà: si discute di problemi di ordine politico, in linea di massima ruotando intorno alla questione se il concetto di natura umana può fungere da criterio per la politica o meno.

La prima ragione di fondo, per cui sono stati invitati Foucault e Chomsky, è che sono autori innovativi sul piano teorico, filosofico, concettuale, ma anche molto impegnati politicamente.

La domanda sulla natura umana, di Elders a Chomsky, è formulata nel senso di un dilemma, un out out, “questo o quello”.

Quello che ci costituisce come esseri umani, quello che definisce l’aspetto più proprio e più significativo del nostro esser uomini, deve essere considerato:

a) il prodotto di variegati fattoriesterni, (cultura, istruzione, educazione, storia, la pressione dei modelli culturali che variano da soggetto a soggetto, da società a società, ecc);

b) possediamo una natura comune grazie alla quale possiamo riconoscerci come esseri umani, che sono fattori organici, con i quali nasciamo, innati e che sarebbero comuni a tutto il genere umano.

Chomsky afferma che il nostro comportamento linguistico è altamente creativo: se noi studiamo il modo in cui un essere umano in generale, un parlante, acquisisce questa competenza così creativa e innovativa scopriamo che lui lo fa in base a un insieme, una quantità di dati di basso livello (in linguistica si parla di povertà dello stimolo).

È come su uno avesse un computer e, molto curiosamente noi gli inseriamo, nella sua memoria solo 4 o 5numeri di telefono di persone che conosciamo e, quasi per magia, è ingrado di fornirci l’intero elenco telefonico.

Quali caratteristiche comuni hanno tutte le lingue?

Sulla base di quei pochi dati devo essere in grado in maniera piuttosto rapida di introiettare un sistema di limitazioni che ogni lingua ha. Per esempio:

– ci sono alcune lingue nelle quali il soggetto della proposizione deve essere per forza enunciato. Per l’inglese e il tedesco non si può dire “vado a casa” ma per forza “io vado a casa”; mentre in italiano il soggetto si può omettere;

– delle lingue prevedono il soggetto all’inizio di una frase, come il tedesco, altre come il francese in cui questo non è necessario;

– ce ne sono alcune, come il tedesco, in cui il soggetto va all’inizio della frase in alcuni casi, in altri casi va al secondo posto perché all’inizio deve andare il verbo.

Questi sono esempi di limitazione imposti dalla grammatica; tutte queste strutture in realtà noi le applichiamo quando parliamo di solito senza conoscerle.

Un bambino di 4 anni ha già incamerato quel sistemacoerente di vincoli che sono propri della grammatica; già sa, anche se non se ne rende conto, che la sua è una lingua nella quale il soggetto si enuncia o no.

Una delle cose da spiegare è come si fa, sulla base di dati così minimi, a costruire l’intero edificio della lingua in modo da inserirsi completamente in tale edificio.

Visto che riusciamo a fare queste cose, il nostro cervello deve contenere degli schemi, delle capacità e delle competenzeche gli permettono di fare questo tipo di operazione e che devono essere innate che hanno tutti e che devi avere dal principio indipendentemente da quello che ti arriva da fuori.

Gran parte del lavoro di Chomsky è consistito nel fatto di individuare questi schemi profondi.

Tutto questo Chomsky lo applica anche ad altri ambiti dell’intelligenza, perchèl’insieme di tutti questi schemi, di questi principi organizzatori lui poi li definisce come concetto di natura umana.

Nel campo del linguaggio,alla fine noi arriviamo a questa conclusione e cioè che, realisticamente, l’unica risposta possibile all’enigma che rappresenta la povertà dello stimolo è che ci devono stare queste strutture innate. Dato che nel linguaggio abbiamo questa capacità creativa (fare un uso infinito di mezzi finiti) ”), e che poi il linguaggio quale capacità creativa incide anche su tutte le altre capacità cognitive classicamente umane, i rapporti tra gli uomini, ecc. è verosimile che gli schemi, queste conoscenze innate di cui noi disponiamo presiedano non solo al linguaggio in senso stretto, ma anche
a tutta questa vasta area di facoltà e di capacità propriamente umane.

Risposta di Foucault.

La sua posizione è sensibilmente diversa da quella di Chomsky, non fosse altro perché lui esordisce dicendo che diffida dal concetto di natura umana e conclude dicendo che farebbe fatica a riconoscervi un concetto scientifico.

Foucault distingue i concetti scientifici da quelli che lui definisce indicatori epistemologici.
Lui dice che il concetto di vita, per esempio, non ha avuto la funzione di un concetto scientifico ma di un indicatore epistemologico. E gli sembra che il concetto di natura umana sia dello stesso genere.
Un concetto scientifico è un concetto che ha ripercussioni sull’oggetto della scienza, mentre un indicatore epistemologico ha ripercussioni sulle discussioni scientifiche e non sull’oggetto della scienza.

A questo proposito fa l’esempio del concetto di vita, e fa una breve ricostruzione della storia della biologia moderna.

All’inizio, dice, non interessava a nessuno di stabilire se un certo ente (diremmo noi) è un vivente o meno, se era di tipo minerale o animale ma, l’importante era classificare. Quindi, quando le ricerche biologiche hanno cominciato a svilupparsi, si partiva da una situazione in cui tutte le forme naturali, che fossero minerali, animali o vegetali, venivano classificate alla stessa maniera e, in definitiva. stabilirne la natura era irrilevante.

In un contesto del genere il concetto di vita non era acquisibile come concetto scientifico.

Ad un certo punto, nello specifico alla fine del XVIII° sec., la descrizione e l’analisi di questi esseri naturali prese uno statuto diverso e acquisì una conformazione differente in parallelo con lo sviluppo della biologia. Allora, dice Foucault, possiamo dire che in questo caso il concetto di vita è stato responsabile dell’organizzazione del sapere biologico?

Curiosamente lui risponde di no.

Una risposta relativamente precisa alla domanda “che cos’è la vita?” e, quindi, una configurazione chiara, netta del concetto di vita, è emerso chiaramente alla fine di tutto questo. Non è che prima si è determinato il concetto di vita da cui poi si è determinata la biologia, che è la scienza che se ne occupa.

Quando si è scoperto il DNA, negli anni ’50, nel XX°sec., non solo la biologia già esisteva da 150 anni, ma soprattutto si è potuti procedere a quella stessa scoperta perchè da 150 anni c’erano degli studiosi, dei ricercatori, dei biologi, che facevano il loro lavoro di studio e di ricerca.

Quello che nota Foucault è che, è completamente illusorio pensare che uno prima ha identificato l’oggetto e poi ci ha costruito sopra una scienza ma è il contrario: prima si è cominciato ad usare questo criterio, questo concetto che era vago, generico, indistinto per separare un certo tipo di sapere, di competenza professionale e quindi anche di identità sociale, quella del biologo, da altre cose, per esempio dalla teologia (prima il discorso sulla vita era solo inerente a Dio). Quindi molto prima di sapere che cosa era la vita e che cosa no, innanzitutto si doveva istituire un campo specifico, e questa cosa si è prodotta sulla base di una serie di fatti concreti, reali.

Poi c’erano delle esigenze di tipo sociale: la biologia, per esempio, si è sviluppata in un periodo in cui, per ragioni di aumento di produttività, tutti gli stati erano interessati ad incrementare la popolazione, e per far ciò bisognava studiare in modo professionale e tecnico le condizioni di salute, e per fare questo ci volevano dei medici specializzati che non solo guarivano il malato, ma che studiavano in generale le condizioni degli organismi, ecc. Tutta questa serie di fattori hanno utilizzato questo concetto di vita.

Quello che veramente cambia, secondo Foucault, non è il fatto che si mette a fuoco meglio il concetto di vita. Quello che cambia è il regime discorsivo per cui si inizia a distinguere che di questa cosa ne parlano i biologi, che devono avere un laboratorio, che devono avere il microscopio.
Cambia l’organizzazione della conoscenza.

Per esempio, nel suo libro “Storia della follia”, sostiene che i folli ci sono stati sempre, ma lui mette a fuoco che soltanto in un certo periodo si cominciano a organizzare insieme una serie di pratiche che fanno sì che si crei una disciplina, un sapere specifico orientato allo studio della follia.

Quindi il concetto di vita ha avuto prima di tutto la funzione di organizzare e disciplinare in una maniera diversa i discorsi e le conoscenze; il che non vuol dire che queste conoscenze siano aumentate o che questi discorsi siano diventati più veri, ma che si sono organizzati in una maniera diversa.

Non è una conoscenza in più e perciò non è un concetto scientifico. È un indicatore epistemologico è una cosa che non coglie una verità oggettiva, ma organizza in una maniera diversa i discorsi, legittimando certe impostazioni e squalificandone delle altre indipendentemente poi dalla loro rispettiva maggiore o minore aderenza alla verità oggettiva. E, lui dice: secondo me il concetto di natura umana grosso modo è servito a fare questo, cioè è servito per esempio ad isolare le scienze umane e a farne una cosa specifica, particolare, separandola dalla teologia, dalla storia.

Un concetto scientifico è il concetto di molecola. Sicuramente non serve a distinguere la chimica e la fisica da altre forme di sapere; è semplicemente un concetto interno alla ricerca della chimica che a un certo punto è arrivato a identificare il proprio oggetto: cioè le particelle elementari di cui è composta la materia, in una maniera più articolata e più ricca.

Chomsky riprende la cosa dicendo che stato attuale delle cose, non sappiamo quali siano le caratteristiche nel nostro cervello che dovrebbero presiedere all’acquisizione del linguaggio. Noi sappiamo soltanto che qualcosa del genere deve esistere. Procediamo per via deduttiva.

Chomsky quindi dice: il giorno in cui noi fossimo in grado di dire esattamente in che consiste l’insieme di schemi mentali innati che definiscono la costituzione dell’uomo e che appartengono alla natura umana, io non avrei nessuna esitazione a dire che quegli schemi fanno parte della natura umana, sono parte integrante di quella che è giusto e logico chiamare natura umana.

Questo è accaduto in molte epoche per concetti che da indicatori epistemologici sono diventati concetti scientifici.

Ad esempio il concetto di vita. Così come, rispetto all’800 quando non si sapeva quali requisiti e caratteristiche differenziassero un vegetale da un animale, nel momento in cui si è scoperto che tutte le cellule viventi di qualsiasi organismo hanno all’interno un filamento di D.N.A., a quel punto si è detto che quel filamento di D.N.A. che stabilisce e fissa la costituzione elementare della vita.

Chomsky pensa che il giorno in cui la ricerca avanzasse talmente da poter dire, non solo con un certo grado di approssimazione, che tipo di funzionamento hanno gli schemi cognitivi innati dell’essere umano, ma in concreto, a livello biochimico, in che cosa consistono, a quel punto, pensa che sarebbe giusto consideralo parte integrante della natura umana e considerare questo concetto di natura umana come un concetto scientifico.

È vero che ora questo concetto di natura umana è solo un indicatore epistemologico.

È un tipo di strategiche consiste nel fatto di dire che gli indicatori epistemologici non sono semplicemente qualcosa di opposto ai concetti scientifici, ma sono dei concetti non ancora sufficientemente trasparenti per essere considerati concetti scientifici, grazie ai quali però noi possiamo muoverci in maniera sperimentale alla ricerca di una risposta scientificamente legittima e plausibile a determinati interrogativi. Sono come delle guide.

Se torniamo a quest’epoca d’oro di fondazione del sapere scientifico, è interessante fare un confronto tra Cartesio e Newton.

In realtà sia Cartesio che Newton si trovano a lavorare con un tipo di meccanica, quindi con una concezione dei fenomeni naturali, che in realtà era molto riduttiva; il meccanicismo di quell’epoca presupponeva il fatto che un fenomeno materiale fosse fondamentalmente il fatto che due corpi diversi si scontrano.

Ora in un quadro del genere, nessuno dei due riusciva a spiegarsi i fenomeni sui quali doveva lavorare; il problema di Newton era quello di spiegare l’effetto a distanza.

Il suo lavoro era fondamentalmente quello di spiegare i movimenti degli astri: il cielo, la luna, le stelle e così via. La luna e le stelle non si scontrano mai, quindi da quel punto di vista, per un tipo di meccanica come quella di cui loro disponevano a quell’epoca, i fenomeni celesti erano dei fenomeni assolutamente inspiegabili.

Per riuscire a spiegarli bisognava inserire un concetto, che all’epoca non aveva né capo né coda, che era quello di “azione a distanza”.

Noi oggi diamo per assodato che ci sia un azione a distanza dei corpi fra di loro, ed è quello che chiamiamo in genere “gravitazione”: la forza di gravità è legata al fatto che le grandi masse corporee esercitano un’azione l’una sull’altra.

Cartesio fece la stessa cosa, perché il problema di Cartesio era quello di spiegare la creatività.
Cartesio dice che la mente umana va studiata in una maniera estranea al meccanicismo con cui si studiavano i fenomeni naturali nella sua epoca, come se nella testa ci fossero carrucole e ingranaggi, perché, se la mente funzionasse in maniera meccanica otterremmo il modo di parlare di un pappagallo, che significa parlare in una maniera non creativa, non appropriata ad una circostanza, ma ripetitiva. La nostra mente, invece, opera in modo creativo e quindi funziona in tutta altra maniera.

Da questo ne deduce che, accanto alla sostanza materiale ed estesa (res extensa), cioè il corpo, ci sia un’altra sostanza che evidentemente, visto che riesce a fare delle cose diverse deve essere diversa, quindi è una sostanza non estesa (res cogitans), non materiale.

In quel momento era un’ipotesi plausibile né più né meno di quanto era plausibile l’ipotesi di Newton della forza. L’una e l’altra cosa erano innovazioni teoriche, erano organizzatori epistemologici, ma con Newton la cosa ha funzionato, è riuscito veramente ad ottenere la teoria matematica della gravitazione universale.
Invece nel caso di Cartesio non andò allo stesso modo: l’idea che la mente potesse essere equiparata ad una sostanza materiale, non riuscì a mettere capo ad una teoria matematica della mente.

Per Chomsky ora è arrivato il momento di riallacciarci a questa intuizione cartesiana e di dire: il prossimo compito delle scienze è di arrivare finalmente ad una teoria matematica della mente, nella quale ovviamente non considereremo più la mente come una sostanza inestesa, la considereremo in altre forme, ma in cui l’obbiettivo resterà quello di coronare il sogno di Cartesio e cioè di dare anche della creatività umana una conoscenza effettivamente scientifica e solida.

Una teoria matematica della mente non significa qualcosa di negativo, che noi trattiamo gli uomini come fossero computer, ma significa semplicemente una teoria che è capace, su quei fenomeni nei quali è in gioco la creatività, di fare quello che sinora non si è mai riusciti a fare e cioè renderli riconducibili a delle leggi fondamentalmente stabili e, quindi, metterci in grado di fare delle previsioni.

Finora niente di quello che ha a che fare con le qualità propriamente umane, e quindi con tutte le nostre capacità creative, è mai stato inquadrabile in una conoscenza di questo genere.

Foucault non risponde mai in maniera diretta.

Lui parte dicendo: io capisco questo tipo di impostazione in Chomsky perché lui viene dalla linguistica.
Fino al momento in cui Chomsky ha fatto partire le sue ricerche, il problema del soggetto parlante, e cioè appunto della creatività individuale del soggetto, non era stata assolutamente posto, era stato completamente oscurato da tutti i linguisti, in particolare da quello che allora era considerata l’impostazione linguistica più diffusa: il cosiddetto “comportamentismo”.

La popolarità di Chomsky è cominciata col fatto che, quando lui era molto giovane, più o meno intorno ai 28 anni, scrisse un’analisi critica assolutamente distruttiva del libro di Skinner che era considerato il capostipite del comportamentismo.

Questo Skinner aveva scritto un libro sul comportamento linguistico: era un libro che studiava il linguaggio umano con un’impostazione comportamentista.

Il comportamentismo, come impostazione, afferma che tutto quello che non è immediatamente visibile, riscontrabile e analizzabile nel comportamento non si deve considerare.

Quando analizziamo il comportamento linguistico di una persona, in genere ci verrebbe istintivo di immaginare che ci siano delle idee che lui esprime, delle intenzioni a cui lui da forma, e tutta una serie di entità che sono appunto entità di tipo psicologico e che noi non vediamo. Per i comportamentisti bisogna eliminarle.

Quando noi studiamo il comportamento della zecca, per esempio, non facciamo illazioni su quello che succede nella sua mente ma ci limitiamo a studiare il suo comportamento e, in base a quel comportamento, studiamo il rapporto fra l’organismo e l’ambiente. Per Skinner dovevamo fare anche per gli esseri umani la stessa cosa.
Chomsky dimostrò che il libro di Skinner era una cosa completamente inutile.

Negli Stati Uniti quando ci sono dibattiti di questo genere è dato per assodato che la persona che è stata criticata e attaccata risponda, o lui o qualcuno della sua scuola, invece in quel caso nessuno dei comportamentisti scrisse niente, perché appunto l’analisi che aveva fatto Chomsky era così rigorosa, precisa e impeccabile che diversamente non sapevano che dire.

Conclusione: il comportamentismo è finito e Chomsky diventò immediatamente il più importante linguista americano.

Foucault dice che l’impostazione di Chomsky è legata al fatto che lui si muove in una tradizione degli studi, quello della linguistica, in cui la liquidazione, l’oscuramento della creatività aveva proceduto in base al fatto che era stato eliminato il problema del soggetto parlante.

Il comportamentismo faceva come se il soggetto parlante non ci fosse, fosse semplicemente una specie di bussolotto vuoto nel quale entravano informazioni dall’esterno e uscivano informazioni dall’interno.

A questo punto Chomsky, per riuscire ad affrontare la questione della creatività ha dovuto reintrodurre il soggetto parlante e insistere sul fatto che c’è un oggetto, che è un problema e che va studiato; di qui anche l’interesse per una teoria matematica della mente, perché la mente è per definizione ciò che fa del soggetto parlante appunto un soggetto parlante.

Nella tradizione di studi in cui si è mosso Foucault, invece, quella della storia del pensiero, le cose stanno in termini esattamente rovesciati. Lui dice che anche nella tradizione della storia del pensiero c’è un oscuramento del problema della creatività, in una forma invertita, nel senso che si da per assodato che tutte le conoscenze, le acquisizioni conoscitive che siano nell’arte, nella scienza ecc., sono il frutto di singoli soggetti. È come se volta per volta l’unico modo per spiegare una nuova scoperta, una nuova impostazione, fosse quello di condurla a dei soggetti. Ad esempio: nasce la psichiatria clinica, perché? Perché ci sono state delle persone che hanno fatto queste scoperte.

L’idea del progresso scientifico, per Foucault, era costituito in questa forma: l’appartenenza di questi singoli soggetti ad un epoca storica, e quindi ad un mondo culturale, era soltanto qualcosa che li frenava. Ad esempio: Pitagora ha scoperto il teorema nonostante il fatto che vivesse in quel tipo di cultura.

Come se volta per volta le circostanze storico-culturali fossero tutt’al più un freno e, le singole individualità arrivassero a scoprire una verità oggettiva, che stava già lì da se, per conto proprio, superando i limiti e i vizi della loro impostazione culturale.

Quindi le conoscenze scientifiche sono delle conoscenze che si accumulano l’una all’altra e, ogni nuova epoca fa un passo avanti rispetto a quella precedente grazie al fatto che dei singoli soggetti si elevano al di sopra e al di là delle regole convenzionali che vivono nel loro mondo.

Ora, lui dice che se consideriamo la creatività come un intreccio complesso tra regole e innovazione, un’impostazione del genere rendeva impossibile pensare alla creatività perché era volta per volta come se si accendesse una lampadina.

Foucault, proprio per aprire una breccia sulla questione della creatività, ha dovuto fare l’esatto opposto, cioè accantonare il soggetto individuale come soggetto del pensiero e della conoscenza, e insistere invece sulla creatività delle regole collettive, del tessuto generale della comprensione che è una cosa che non ha un soggetto vero e proprio: è quello che noi chiamiamo “la mentalità”, che finisce col produrre, tra le altre cose, delle innovazioni che nessun soggetto avrebbe potuto proporre e imporre da solo.

Questo è un passaggio importante che segna un punto di accordo che resterà, sino alla fine, il punto di accordo più solido.

Tutti e due concordano sul fatto che qui si sta mettendo a fuoco un tratto importante e significativo di quello che è il momento decisivo dell’umanità dell’uomo, cioè la creatività umana è caratterizzata dal fatto di essere la produzione di qualcosa di nuovo, a partire e sulla base di un insieme di vincoli e di regole.

Per certi aspetti si può dire che le regole sociali e collettive finiscono con il portare i soggetti a fare “di necessità virtù”, nel senso che trovandosi una serie di vincoli e di limiti uno, dovendoli rispettare, si trova ad inventare una cosa che altrimenti non gli sarebbe mai venuta in mente.

Anche se i vincoli e le regole che ciascuno dei due ha in mente sono qualche cosa di diverso:

Chomsky pensa fondamentalmente a dei vincoli inscritti nel nostro cervello, vincoli organici, interni;

Foucault invece ha sempre in mente regole e vincoli che vengono dalla cultura a cui apparteniamo, dalla mentalità dalla quale siamo formati.

Non è un miscuglio di regolarità e libertà, per cui si dice che la libertà è bella, ma ci vogliono anche le regole.

Una libertà che si concepisce in antitesi alle regole, non è una libertà.

Un passaggio importante nella risposta di Chomsky è una messa a fuoco più precisa di questo concetto di creatività.

Chomsky dice che bisogna distinguere tra creatività, nel senso alto del termine, e quella che lui intende. Quando parliamo del ruolo della creatività nella storia della scienza alludiamo a quel genere di creatività che prelude a qualche prestazione straordinaria, particolare; lui, invece, parla di una capacità, di una facoltà che hanno tutti gli esseri umani, un requisito che caratterizza la specie in quanto tale, che è il fatto di imparare questa cosa incredibile che è la creatività linguistica.

L’esperimento mentale che lui fa spesso è questo: se un scienziato marziano venisse sulla terra a studiare gli esseri umani e studiasse la prestazione cognitiva di Galileo, il marziano sarebbe colpito dal fatto che Galileo con pochissimi indizi, con operazioni rudimentali e in base a dati assolutamente rozzi è riuscito a costruire una teoria generale del movimento. Per questo marziano sarebbe assodato e implicito che questa è una prestazione cognitiva straordinaria e non si meraviglierebbe del fatto che succede raramente.

Se lo stesso studioso marziano passa a studiare un bambino di un anno e mezzo circa, che partendo da un insieme di dati molto rozzi, come sono i dati linguistici di cui viene fornito, all’incirca un anno dopo, riesce a padroneggiare in maniera adeguata un patrimonio linguistico che lo mette in condizioni di agire in modo creativo, cioè di rispondere a qualsiasi situazione con delle prestazioni linguistiche adeguate, probabilmente lui penserebbe che anche questa è una cosa straordinaria.

Se questo marziano poi dovesse constatare che questa cosa, invece, la fanno tutti, evidentemente direbbe che in questo caso nella testa di questi bambini, a causa della specie a cui appartengono, ci deve essere qualcosa che li aiuta.

Chomsky dice che su questo terreno, quello della creatività nel senso elementare del termine di cui dispongono tutti gli esseri umani, forse qualche passo nel senso di un’autentica comprensione scientifica la si può fare, perché in definitiva è talmente evidente che subentrano degli schemi mentali innati che possiedono tutti, che costruire una ricerca e riuscire faticosamente a individuarli si può fare.

Questa risposta di Chomsky da un certo punto di vista è molto ragionevole, ma se ci ragioniamo, è di nuovo un tentativo intelligente di spostare la prospettiva in una direzione che per lui è più congeniale; proprio perché si tratta di qualcosa di eccezionale, la creatività scientifica difficilmente può essere ricondotta alla natura umana, perché sono pochi quelli che riescono a farlo.

Ma, subito dopo, dice se ci ragioniamo su in effetti per certi aspetti l’operazione che fa il bambino e l’operazione che fa lo scienziato, si assomigliano: tutti e due cioè riescono a ottenere un grande risultato da un piccolissimo bagaglio di informazione.

Quindi abbiamo visto che finché si parla di creatività c’è un accordo tra i due; quando si parla di natura umana le strade divergono completamente.

Uno grossolanamente potrebbe dire che il modo di procedere di Chomsky è naturalista, mentre quello di Foucault è di tipo storicista.

In larga misura questo sarà anche la maniera in cui poi Chomsky, alla fine, tira un po’ le fila della prima parte.

Dopo una serie di alti e bassi propone questo tipo di soluzione affermando che loro è come se stessero scavando una galleria nella stessa montagna, ma da due direzioni diverse.

Per Chomsky ogni atto di creatività scientifica dipende da due fattori: uno è rappresentato da un certo insieme di strutture costitutive della mente umana; l’altro è formato da alcune condizioni sociali e intellettuali.

Quindi, si potrebbe dire, fattori interni e fattori esterni; fattori naturali, organici e quindi costanti, contro fattori sociali e quindi storici e mutevoli.
Il punto sarà quello di capire in che cosa consistono gli uni e in che cosa consistono gli altri.

Foucault, in una certa misura, accetta questo tipo di quadro.

Ma il punto della natura umana è un punto in cui la divergenza rimane fino alla fine.

Foucault cerca una mediazione.
Dice che per certi aspetti stanno parlando di cose diverse: lui parla di quello che la conoscenza poi concretamente è e fa, e in questo caso non gli pare che quello che determini l’innovazione siano delle regole innate; mentre Chomsky probabilmente pensa alla struttura formale della conoscenza.

Prendiamo il caso delle lingue: è chiaro che, quando Chomsky parla della creatività linguistica, quello di cui lui sta parlando è relativamente indipendente da quello che concretamente, poi, noi diciamo.

Conta il modo in cui lo diciamo.

Lui studia l’acquisizione, il padroneggiamento della facoltà di linguaggio in quanto tale.

Un esempio del carattere intrinsecamente creativo della facoltà linguistica è il fatto che, noi ci troviamo adesso in una situazione nella quale nessuno di noi, prima si è mai trovato, alla quale, quindi, nessuno di noi è stato preparato in modo particolare, eppure diciamo tutti delle cose senza fatica particolare, e delle cose adeguate e pertinenti.

Quando facciamo un discorso del genere, stiamo completamente prescindendo da che cosa diciamo.
Se noi entrassimo nei contenuti, vediamo che sono diversi.

Quando passiamo dalla struttura formale del linguaggio, ai contenuti del linguaggio, e quindi ai concreti atti di parola, non solo il discorso cambia, ma soprattutto a quel punto, non sono più tanto le regole innate quelle che contano, ma diventano le regole contingenti legate al ruolo sociale, alla comunicazione sociale.

Chomsky ha di mira le forme della conoscenza, mentre lui ha di mira i contenuti.

Il disaccordo riprende quando si parla della politica.

Chomsky insiste sul fatto che queste fatidiche regole innate non hanno subito significativi cambiamenti, perché sono da considerarsi appartenenti alla costituzione genetica della specie umana; dice che molto probabilmente, visto che stiamo parlando di quei vincoli naturali preposti alla facoltà linguistica, e visto che a quanto sappiamo gli esseri umani hanno cominciato a parlare già dall’epoca di Cro-Magnon, è molto probabile che queste strutture di cui stiamo parlando, dall’epoca di Cro-Magnon ad oggi, non sono cambiate.

Questo Foucault non lo vede come un problema.
Poi Chomsky dice che dovrebbe esistere una giustizia migliore.

È del parere che una società giusta è una società che realizza al massimo le potenzialità creative degli esseri umani, limitando il più possibile il potere di strutture come le multinazionali, i grandi apparati militari, che costringono queste potenzialità creative all’interno non tanto di vincoli e di gabbie, ma impongono, mettono al primo posto obiettivi e valori che non sono quelli degli esseri umani.

L’obiettivo di Chomsky, allora, è quello di considerare giusto e buono tutto ciò che va in direzione di una maggiore promozione dell’espressione, della creatività e della libertà umana, e quando questa sua idea di giustizia è in contrasto con la legalità ufficiale (perché le leggi, essendo fatte dai governi ed essendo, i governi, molto spesso espressione di questi grandi interessi economici) lui ritiene giusto entrare in contrasto con questa legalità ufficiale.

Questo è il concetto di *disubbidienza civile*.

Lui fa un esempio elementare dove dice che considera ingiusta la guerra in Vietnam, perché nessuno l’ha convinto del fatto che viene fatta veramente per difendere e per promuovere la libertà umana. Ha invece la netta impressione che venga fatta nel nome e negli interessi di grandi centri di potere, e che nel nome e negli interessi di questi grandi centri di potere vengono uccise le persone; ragion per cui condivide l’azione degli studenti pacifisti degli Stati Uniti, che bloccarono illegalmente dei treni che si sapeva fossero carichi di armamenti, destinati alle truppe che dovevano andare in Vietnam.

Fa anche l’esempio del semaforo, e dice che è vero che bisogna rispettare i semafori, ma sarebbe assurdo che facessero una contravvenzione ad uno che è passato con il rosso, se passando con il rosso ha impedito ad un pazzo criminale di fare una strage.

Allora, fin qui sembra tutto molto banale e molto semplice; ma l’intervento di Foucault a questo riguardo è importante.

Lui dice che fin qui è d’accordo, ma gli sembra curioso che Chomsky faccia questa cosa in nome di un modello di giustizia ideale.

Come a Chomsky dicesse che rifiuta il concetto di giustizia che gli vogliono imporre con le leggi dello stato, ecc.., e si appella invece ad un criterio di giustizia che pretende di essere assoluto, indipendente da questo condizionamento sociale, perché si appella alla natura umana.

L’idea di Foucault è, che questa potrebbe essere un’ingenuità perché, nel momento in cui Chomsky elabora il suo concetto di giustizia ideale, ed è convinto del fatto che questo concetto di giustizia ideale sia aderente alla natura umana in quanto tale, e quindi indipendente da qualsiasi vincolo e costrizione sociale, lo fa appartenendo, lui stesso, ad una determinata società.

Oltretutto, appartenendo ad una determinata società che lui stesso intende contestare e rifiutare

Quindi Foucault si chiede: “Non c’è il rischio che il modello di giustizia, a cui tuti appella, in realtà sia modellato, sia ripreso esattamente da quel tipo di società che pretendi di contestare?”

Lui fa l’esempio delle rivoluzione socialiste dell’800.

Dice che, nell’800, i socialisti erano contrari ai valori borghesi, perché dicevano che la borghesia li opprimeva; sennonché è successo che quando hanno preso il potere hanno cominciato a costruire casette popolari, ad incrementare la produzione, e hanno mostrato di avere un’idea, di quale dovesse essere la felicità umana, che era modellata sui valori della piccola borghesia, di cui loro avevano detto peste e corna.

Il sospetto che avanza Foucault, quindi, è che quando noi ci opponiamo ad un modello di giustizia, che è quello che secondo noi è imposto da una struttura sociale, dobbiamo sempre essere consapevoli del fatto che, l’altro modello di giustizia, quello che noi opponiamo a questo contesto sociale, molto probabilmente è figlio di questo contesto sociale né più né meno di quello.

Per Foucault essere consapevoli di questa relatività dei propri valori, è il primo requisito per poter avere una prassi politica onesta; quando uno non è più consapevole di questa relatività è convinto che i suoi valori sono quelli assoluti, necessari perché aderenti alla natura umana, mentre gli altri sono quelli disumani.

Per Foucault non c’è un criterio naturale, assoluto, universale di giustizia modellabile sulla natura umana. Volta per volta ciascuno è vincolato ad una rete di rapporti di potere, e si muove all’interno di questi rapporti di potere e lo deve sapere.

Filosofia Teoretica – CHOMSKY – FOUCAULTultima modifica: 2016-05-10T02:12:05+02:00da allan11
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