Per un’ermeneutica del desiderio

“È così evidente che gli ipnotizzatori, o semplicemente quelli che si sono interessati all’ipnosi, sanno bene che nessuna suggestione. per quanto ben riuscita, si impossessa totalmente del soggetto. Poniamo qui la questione – che cosa resiste? Ciò che resiste è il desiderio, è essenzialmente il desiderio di avere il proprio desiderio”. Jacques Lacan, Il Seminario. Libro V. Le formazioni dell’inconscio

 

Cenni etimologici

Nel De Bello Gallico di Giulio Cesare i desiderantes erano i soldati che aspettavano sotto le stelle i compagni che non erano ancora tornati dal campo di battaglia. Più precisamente, l’etimologia della parola “desiderio” fa riferimento alla pratica divinatoria degli aruspici, i quali osservando le stelle, in latino sidera, traevano profezie e vaticini. Quando le nuvole coprivano il cielo, in modo da rendere impossibile l’osservazione delle stelle, costituendo un cielo de sidera, gli aruspici percepivano l’incapacità di seguire la rotta segnalata dagli astri e, dunque, “una condizione di disorientamento, di perdita di riferimenti, di nostalgia, di lontananza, ma anche l’avvertimento positivo di ciò che è necessario alla vita, l’attesa e la ricerca della propria stella” (Ritratti del desiderio, Massimo Recalcati).

 

Cenni storici

L’indagine sul desiderio si è declinata nello sforzo diuturno compiuto dalla filosofia dell’antichità e della modernità, disciplina nella quale la considerazione del desiderio è nata come conoscenza razionale e dalla quale ha sviluppato un sempre maggiore livello di approfondimento, estendendosi anche all’ambito letterario, psicologico e psicanalitico. Delineando un sintetico arco storico e filosofico che abbracci antichità e modernità, si riscontra in Platone e Aristotele una prima definizione del desiderio come tendenza sensibile o razionale, che spinge a conseguire un bene conosciuto e non ancora posseduto e che per questo diventa piacevole. Epicuro, da parte sua, individuava l’origine del desiderio in un disagio relativo alla sanità del corpo o alla quiete dell’anima, legato sostanzialmente al fine di non soffrire dolore, dal greco aponia, e di non perdere la tranquillità, dal greco atarassia. Cartesio ha descritto il desiderio come “un’agitazione dell’anima causata dagli spiriti che dispongono a volere per l’avvenire le cose che essa si rappresenta come convenienti”, mentre Spinoza come la tristezza che riguarda la mancanza della cosa che amiamo. L’excursus filosofico contempla poi l’amplissima dialettica fra bisogno naturale e desiderio: il primo limitato ad una “mancanza di” che tende al proprio soddisfacimento con la ricerca di un oggetto reale e sensibile, tematica che ha fondato l’elaborazione marxiana in termini di dinamica economica; il secondo ricondotto, al contrario, alla volontà che si fa oggetto di sé medesima producendosi nel corpo, come pulsione atta a esprimere il piacere. In particolare, da questo secondo aspetto si apre la riflessione filosofico – psicanalitica di Freud, Jung e Lacan. Infine Heidegger ha riportato il desiderio all’ “essere per le possibilità…Nel desiderio l’Esserci (Dasein) progetta il suo essere in possibilità che non solo non sono mai afferrate (com-prese) nel prendersi cura, ma la cui realizzazione non è mai né seriamente progettata né realmente attesa”.

 

Freud e la prospettiva ermeneutica

La svolta impressa dalla psicanalisi alla dinamica del desiderio è subito apparsa rivoluzionaria e innovativa, perché in essa il contenuto e il significato dei desideri sono stati travolti, negati, spostati, proiettati, rispetto a quanto avvertibile e valutabile nell’apparenza, attraverso l’introduzione della dimensione dell’inconscio come radice ultima del funzionamento della psiche. Il contributo fondamentale è rappresentato dalla psicanalisi di Sigmund Freud, al quale è stato attribuito da Paul Ricœur l’appellativo di “maestro del sospetto” per il suo ruolo attivo nell’indagine sull’inconscio e sulle forme di manifestazione dello stesso. Secondo la teoria freudiana, il desiderio nasce da un bisogno, all’inizio della vita esclusivamente organico e soddisfatto mediante pulsioni sessuali parziali, ma dal quale successivamente si autonomizza: il primo dei bisogni presi in considerazione da Freud, quello della fame (fase orale), trova soddisfazione nell’azione specifica che procura l’oggetto che manca, il cibo: il desiderio nasce in rapporto con le tracce mnestiche del processo che ha soddisfatto il bisogno. Se il bisogno ritorna e non trova soddisfazione, quest’ultima si attua tramite un corto-circuito psichico, ovvero l’avvertimento dell’eccitazione non soddisfatta porta al richiamo di quelle percezioni che in qualunque modo sono state connesse alla soddisfazione della stessa eccitazione ed esse fungono da equivalente completo all’oggetto mancante. Si verifica quindi un processo allucinatorio, definito da Freud come “un moto psichico che tende a reinvestire l’immagine mnestica corrispondente a quella percezione e a riprovocare la percezione stessa; dunque, in fondo, a ricostruire la situazione del primo soddisfacimento. È un moto di questo tipo che chiamiamo desiderio; la ricomparsa delle percezione è l’appagamento del desiderio”. Di conseguenza il desiderio freudiano non corrisponde a quello dell’adulto cosciente, ma è riconducibile ad un desiderio risalente alla prima infanzia, che si lega a tracce mnemoniche di cui il soggetto non sa nulla e che si incarna nei desideri attuali sottendendoli, e dando ad essi il loro ultimo vero significato. La soddisfazione allucinatoria, per la quale il desiderio ha efficacia di onnipotenza, non può infatti durare a lungo e viene sempre limitata dall’intervento della realtà, che rende frustrato il desiderio costringendolo all’insoddisfazione. Il desiderio tuttavia resiste, cerca comunque di realizzarsi e a questo fine si maschera: diventa cioè parte del mondo inconscio. Un esempio tipico di questa dinamica e preminente nel pensiero freudiano è la sessualità: il desiderio sessuale del figlio nei confronti del genitore del sesso opposto, descritto nel Complesso di Edipo o di Elettra, esprime la “sensualità” che sarà destinata a incorporare, soltanto più avanti negli anni, la sessualità propriamente detta. Il desiderio “sensuale – sessuale” nei confronti del genitore, infatti, viene frustrato dalla presenza di un “terzo”, il genitore dello stesso sesso, che attraverso la minaccia di castrazione ostacola il desiderio, lo contrasta, lo intimorisce; perciò il desiderio deve anche qui clandestinizzarsi, sedimentandosi nell’inconscio in un seguito di esperienze frustranti che non perdono le loro energie desiderative col passare del tempo. L’occasione nella quale è possibile approfittare della minore efficienza delle forze vigili della censura e allentare il controllo della coscienza sull’inconscio è individuabile nel sogno. Il sogno, definito come un appagamento mascherato di un desiderio latente, in accordo con la natura allucinatoria che l’attenuazione della vigilanza coscienziale produce, è riconosciuto come la “via regia” verso l’inconscio, del quale svela l’intima dinamica. Nel sogno la coscienza attua un processo di deformazione onirica, teso a trasformare il contenuto onirico latente in contenuto manifesto del sogno, in modo tale da rendere accettabile al controllo censorio coscienziale il contenuto dell’inconscio. La deformazione onirica si realizza attraverso quattro modalità, dette drammatizzazione, condensazione, spostamento e simbolizzazione. L’elaborazione freudiana consente di affermare che i desideri espressi nel sogno latente si riferiscono quasi sistematicamente a fatti della prima infanzia ordinariamente inaccessibili al di fuori del sogno, a desideri infantili che continuano a rimanere attivi nell’inconscio del soggetto diventato adulto, e che per le più svariate ragioni censorie non possono manifestarsi direttamente, La considerazione del sogno come chiave ermeneutica del desiderio inconscio è servita per comprendere la dinamica degli altri derivati indiretti, quali i sintomi: quando infatti il desiderio è troppo forte o troppo fortemente contrastato, nell’assenza quindi di equilibrio tra il principio di piacere e il principio di realtà, il sogno non è più sufficiente per soddisfarlo e deve trovare altre vie di esteriorizzazione, come ad esempio la psicosi o la nevrosi.

 

L’esperienza post – freudiana

Nel cosiddetto dopo – Freud la psicanalisi si è trovata davanti ad un punto di biforcazione tra coloro che hanno proseguito a concepirla seguendo le orme di Freud, secondo un approccio di tipo evolutivista, e coloro che dal pensiero freudiano hanno tratto le basi per costruire una nuova concezione della psicanalisi, secondo un approccio di tipo strutturalista. Il modello evolutivista considera l’uomo come un organismo in potenza, in grado di svilupparsi attraverso stadi o fasi di sviluppo evolutivo; a questo gruppo di psicanalisti appartengono lo stesso Freud, Spitz, Mahler, Winnicott. Sull’altro versante, il modello strutturalista intende l’uomo come immerso in una struttura che lo anticipa e lo predetermina, e da questa dipende per il suo sviluppo; a questo gruppo appartengono Jacques Lacan, al quale si deve inoltre il merito della radicalizzazione e del superamento della prospettiva strutturalista, con anticipazioni del post-strutturalismo, e Carl Gustav Jung, che risente della tendenza strutturalista nella sua “psicologia analitica”. Lacan e Jung sono ricordati come i più importanti tra gli epigoni di Freud, prima discepoli e poi a loro volta maestri dissidenti. Inizialmente vicino alle concezioni del maestro, Jung a partire dal 1913, anno di pubblicazione di “La libido: simboli e trasformazioni”, comincia a maturare una teoria sensibilmente diversa da quella freudiana, soprattutto nell’ambito del desiderio e del sogno. L’impostazione junghiana considera il sogno come una Gestalt, ovvero come un’espressione del desiderio attraverso aspetti onirici di tipo fattuale e iconico. Se in Freud il sogno celava sempre un desiderio personale, non condivisibile con altri, nel quale chi sognava era il regista e lo sceneggiatore unico di una reminiscenza desiderativa infantile o generalmente passata, in Jung la dinamica è del tutto invertita, nel senso che il sogno viene identificato come una premonizione di ciò che potrà essere, una realtà potenziale il cui verificarsi deve essere ritenuto più o meno possibile. Il sogno nel pensiero junghiano è dunque prospettico, in quanto “anticipazione di future azioni consce che affiora nell’inconscio”, cioè desiderio dell’urgenza di soluzioni da prendere. Jung teorizza infatti che l’inconscio alla nascita contenga già delle impostazioni psichiche innate, trasmesse in modo ereditario e quindi collettive, corrispondenti agli archetipi di un inconscio collettivo, che viene distinto dall’inconscio personale che deriva direttamente dall’esperienza personale dell’individuo. Secondo lo psicanalista svizzero, la dinamica tra inconscio, collettivo e individuale, e conscio permette all’individuo di affrontare un lungo percorso per realizzare la propria personalità in un processo che egli denomina “individuazione”.

 

Jacques Lacan

Cenni biografici : Jacques Lacan nasce il 13 aprile 1901 a Parigi in una famiglia cattolica molto tradizionale, compie gli studi di medicina, frequentando contemporaneamente corsi di filosofia alla Sorbona. Acquista una precoce celebrità grazie alla sua tesi di dottorato su “La psicosi paranoica nei suoi rapporti con la personalità” nel 1932, nella quale pubblica e commenta le poesie di una sua paziente paranoica, diventata poi famosa col nome di Aimè, attirando l’attenzione dei surrealisti, che lo pubblicano nella rivista specialistica di Paul Eluard e che cominciano a definire Lacan “lo psicanalista surrealista”. La formazione di Lacan è influenzata da vari fattori, tra i quali la psicanalisi di Freud, gli aspetti ideologici del surrealismo francese legati all’ansia di rivolta linguistica e politica, l’insegnamento del filosofo Alexandre Kojève e dell’epistemologo Alexandre Koyrè, che tra il 1933 e il 1939 tengono a Parigi una serie di seminari sul pensiero di Hegel letto attraverso la loro peculiare interpretazione esistenzialista. Jacques Lacan è considerato uno dei padri fondatori della psicoanalisi in Francia, dove emerge negli anni Sessanta con la pubblicazione degli Ecrits (Scritti), grazie ai quali entra di diritto nei maître à penser della cultura francese, insieme con l’antropologo Lèvi-Strauss, il critico letterario Roland Barthes, lo storico Michel Foucault e il filosofo Louis Althusser. Al celebre Seminario, tenuto dal 1953 fino alla morte, partecipa infatti il tout Paris. Per quanto riguarda i rapporti con la psicoanalisi ufficiale, Lacan entra fin da subito in rotta di collisione con la direzione dell’Internazionale Psicoanalitica dominata in quel periodo, come oggi, dagli analisti anglofoni. Il conflitto sfocia nel 1936 nella sua espulsione, in seguito alla quale Lacan fonda una scuola chiamata École Freudienne de Paris, che egli stesso scioglie un anno prima della morte, avvenuta il 9 settembre 1981 a causa del cancro.

 

Il ritorno a Freud e il linguaggio

Lacan ha lanciato la parola d’ordine del “ritorno a Freud”: egli si voleva come il vero interprete di Freud contro le deviazioni nella teoria e nelle pratiche analitiche, in opposizione alla corrente americana dominante nella psicoanalisi e a favore di una ripresa del pensiero freudiano secondo la sua particolare prospettiva. In molti contestano tuttavia il “ritorno a Freud” lacaniano, individuando nel francese un completo innovatore rispetto al tedesco. In realtà, il contributo innovativo di Lacan ha valore soprattutto filosofico. Freud apparteneva ancora alla cultura del positivismo ottocentesco, che pensava di fondare la psicologia, come generalmente le scienze umane, sul modello della fisica e delle scienze naturali, mediante l’applicazione della fisica newtoniana allo studio dell’uomo. Educato ad una mentalità positivistica, resa visibile inoltre dal tentativo di spiegare il funzionamento della psiche attraverso processi etiologici, Freud pensava che la psicanalisi fosse essenzialmente psicologia, che il suo metodo clinico fosse un metodo scientifico. Lacan, rivoluzionando il modo di pensare la psicoanalisi, introduce l’idea secondo la quale la scientificità della pratica psicoanalitica sia fondata sul linguaggio. La novità rispetto a Freud, che già aveva sottolineato l’estrema importanza del linguaggio, consiste in Lacan nell’affermare che “l’inconscio è strutturato come linguaggio”. Lacan infatti mette in luce come la psicoanalisi sia un metodo di cura che opera attraverso il linguaggio, non si avvale cioè di farmaci, sostanze chimiche o interventi corporali: l’analisi è sostanzialmente conversazione, parola. Di conseguenza, se l’analista cura attraverso la parola, cioè attraverso il linguaggio, questo significa che l’inconscio è esso stesso fondamentalmente linguaggio. L’idea di strutturare l’inconscio nel linguaggio diventa uno dei cardini del pensiero lacaniano, che si ispira a tal proposito agli studi del linguista svizzero Ferdinand de Saussure, considerato il fondatore della linguistica strutturale all’inizio del Novecento. Lacan pensa che, poiché l’inconscio è fondamentalmente linguaggio, allora esiste un inconscio perché noi siamo degli esseri parlanti; per il solo fatto di parlare abbiamo quindi un inconscio che è un effetto del linguaggio, secondo una concezione ereditata dal pensiero heideggeriano. L’innovazione filosofica di Lacan si traduce dunque nell’aver compreso che l’inconscio è una dimensione che si trova al di fuori dell’essere umano, che dall’esterno crea la struttura dello sviluppo psichico dell’uomo. Egli supera l’idea freudiana che la psicoanalisi avrebbe arricchito il mondo interiore, l’inconscio inteso come qualcosa che è dentro nell’uomo, nel suo profondo. L’inconscio per Lacan è invece qualcosa che si trova fuori dall’essere umano, in quello che lui chiama Altro (con la A maiuscola), vale a dire il linguaggio. Il linguaggio è l’Altro e l’Altro è il linguaggio, per il fatto che dalla nascita, pur nascendo nel corpo di nostra madre, il linguaggio ci viene insegnato dall’esterno: proviene di conseguenza dall’esterno l’inconscio stesso dell’uomo. La base dell’inconscio non è tuttavia l’interpersonalità, il rapporto col prossimo, come tendono a ridurre molte scuole postlacaniane. Lacan pensa hegelianamente l’inconscio come un’alterità assoluta che è quella del linguaggio. A tale proposito Lacan fa l’esempio del bambino che appena nato piange, spiegando come la madre interpreti il motivo del pianto usando parole. Nell’istante in cui la madre parla come l’Altro, compie due azioni simultanee, ma che per Lacan sono profondamente connesse: da una parte insegna il linguaggio al figlio, dall’altra interpreta il desiderio del bambino, traducendolo a parole. L’Altro fissa cioè il desiderio in una rappresentazione, che Lacan chiama – riprendendo un termine della linguistica strutturale – “significante”. Il bambino può dunque percepire il proprio desiderio profondo, responsabile del suo pianto, soltanto attraverso il linguaggio insegnatogli, cioè soltanto attraverso una fondamentale alienazione, per la quale giunge a sapere qualcosa del proprio desiderio perché l’Altro ha linguisticamente fissato che cosa egli desidera. Cosa tuttavia il bambino desiderasse veramente non può essere detto, proprio perché precedente al linguaggio e quindi alla traduzione linguistica del desiderio. Qui Lacan colloca il trauma strutturante l’inconscio e il punto focale del suo pensiero per quanto riguarda il desiderio, vale a dire la mancanza, denominata significativamente le manque-à-être, causata come da una dalla separazione da un oggetto, un “altro”, fonte come tale di desiderio. Il desiderio ostacolato viene rimosso e sostituito da una domanda di conoscere e avere, promuovendo in tal modo un discorso. Il discorso si pone così tra un bisogno, la mancanza, e la domanda, per cui deve necessariamente tenere in considerazione un Altro. Pertanto, nato da un oggetto mancante, il desiderio trova il suo fine in un Altro e più precisamente “nato dall’altro trova il suo senso nel desiderio dell’Altro: non tanto perché l’Altro detenga le chiavi dell’oggetto mancante, quanto perché il suo primo oggetto è quello di essere riconosciuto dall’Altro”. Ciò che l’uomo desidera è, quindi, che l’altro lo desideri: vuole essere ciò che manca a questi, essere la causa del suo desiderio. Per queste ragioni in Lacan il desiderio non può che essere legato in prima istanza al linguaggio, che fa posto al desiderio e nella sua prima manifestazione nello sviluppo dell’individuo si traduce in desiderio di sapere. In tal modo l’Altro non è più un interlocutore in carne e ossa ma lo stesso universo linguistico, il luogo del dispiegamento della parola che ospita il discorso dell’Altro.

 

Il significante e lo stadio dello specchio

Secondo Lacan l’Altro, vale a dire il linguaggio, vale a dire l’inconscio, non è che un insieme di significanti che costituiscono la struttura nella quale l’individuo è inserito e dalla quale è determinato. Secondo il modello strutturalista, infatti, il corpo e la pulsione sono costantemente subordinati all’azione di un significante, in quanto il soggetto stesso è causato dal significante, è il significato del significante. Così la pulsione corporale e il desiderio non risultano qualcosa in grado di evolversi nel tempo, ma si costituiscono solo grazie all’azione del significante, il corpo cioè si pulsionalizza solo entrando nel campo dell’Altro, cioè del linguaggio. L’azione del significante sul soggetto si esprime nelle sue abitudini culturali e sociali, a partire dal neonato per arrivare all’adulto, attraverso tagli simbolici, che sottraggono godimento al corpo, poiché provocano la mancanza dell’oggetto, creano cioè fratture nella struttura. L’inconscio è dunque strutturato come un linguaggio, ma non tutto nell’inconscio è significante. Ciò che sfugge al livello del significante è un residuo del godimento, un resto della struttura che Lacan chiama oggetto piccolo (a). Questa mancanza è effetto della struttura, ma è inclusa nella struttura stessa, di conseguenza il significante di una mancanza nell’Altro è la base della logica del significante. Tale conclusione apre la psicoanalisi di Lacan al superamento della tendenza strutturalista, denotando l’inizio di un atteggiamento post-strutturalista destinato a segnare lo sviluppo della psicanalisi così come della filosofia, della politica e della letteratura. Il momento nel quale Lacan individua la frammentazione, la scissione tra struttura e oggetto piccolo (a) si realizza in quello che egli chiama “stadio dello specchio”. Tra i 6 e i 18 mesi, infatti, il bambino risponde in modo giubilatorio alla propria immagine riflessa nello specchio. Nello stesso istante in cui si riconosce comincia per lui il processo che Lacan chiama, con un termine ripreso dalla Coscienza infelice hegeliana, di alienazione: la sua immagine, e quindi il suo Io, si frantuma, si scinde alienandosi oggettivamente in un sé. L’Io del bambino si costituisce quindi come risultato della mediazione tra le due parti, cioè tra il sé oggettivo e l’immagine dello specchio, detta io ideale, che salva il soggetto dalla disgregazione, permettendogli il riconoscimento come Io. L’identificazione in un Io spinge di conseguenza il soggetto a cercare la propria immagine nello specchio, a entrare cioè nel campo dell’Altro, il che significa sottostare a delle leggi che inevitabilmente lo privano del godimento. Lacan parla di questa perdita di godimento in termini di “azione letale del significante”. Secondo questa concezione, l’Edipo risulta una limitazione del godimento, imposta dalla legge del padre, il quale interviene come rappresentante della legge dell’Altro, alla quale egli stesso è sottomesso. Accettando la legge paterna, il bambino si identifica con il padre e dal padre, considerato da Lacan il detentore del fallo, cioè preleva del campo dell’Altro dei significanti, dei tratti che lo rappresentano quali la storia familiare, la cultura, le abitudini, ed assume il suo giusto ruolo nella triade familiare. Successivamente, attraverso il processo di separazione, il soggetto si stacca dall’Altro, non mediante l’identificazione, che prosegue per tutta la vita dell’individuo, ma grazie all’oggetto piccolo (a), che in quanto residuo del godimento reciso dal significante, prende il posto dell’oggetto mancante, rendendo il soggetto un “soggetto desiderante”, mosso dal principio di piacere verso il recupero dell’oggetto perduto. L’esito di tale dinamica è quindi la costituzione dell’oggetto piccolo (a) che consente al soggetto di staccarsi dall’Altro, in virtù del fatto che l’oggetto piccolo (a) non appartiene al significante, ma è qualcosa di assolutamente personale, diverso da soggetto a soggetto. Lacan chiama fantasma i diversi modi con i quali ogni individuo articola il proprio rapporto di godimento con l’oggetto piccolo (a) ed è quindi il fantasma che distingue un soggetto dall’Altro.

 

Reale, simbolico, immaginario

La teoria precedentemente delineata porta Lacan alla distinzione di tre registri, grazie ai quali è possibile leggere il rapporto tra significante, oggetto mancante o oggetto piccolo (a) e fantasma: si parla di un registro del reale, di un registro dell’immaginario e di un registro del simbolico. Il registro del reale coincide con la realtà esterna al soggetto, con il mondo empirico esterno. Il registro dell’immaginario coincide con il pensiero del soggetto, con il mondo interiore e coscienziale. Il registro del simbolico rappresenta la specificità dell’inconscio, essendo l’insieme dei simboli, cioè dei significanti, costituenti il linguaggio. L’introduzione del terzo registro stabilisce l’ennesimo aspetto di innovazione rispetto alla teoria freudiana. Lacan infatti spiega come Freud abbia costruito una teoria dell’immaginario e non del reale, riconoscendo nelle emozioni, negli stati d’animo e negli affetti le cause dell’inconscio e della realtà del dolore di un paziente. Secondo Lacan, al contrario, colui che piange e perché piange va dall’analista, cerca sempre il reale, vale a dire la causa reale del suo dolore, l’oggetto mancante, attinto dal registro del reale, che ha provocato la sua sofferenza. L’angoscia, la depressione e le altre forme di risposta emotiva al dolore della manque-à-être non sono che gli effetti riscontrabili nel registro dell’immaginario suscitati dall’impossibilità di colmare la mancanza. La vera ragione del pianto non può che rimanere il reale irraggiungibile per ciascun uomo, il primordiale desiderio che, sottoposto all’azione letale del significante attuata nel registro del simbolico, provoca l’alienazione del soggetto che entra nel campo dell’Altro, che impara cioè a parlare. Inoltre, da esperto conoscitore della logica e dell’algebra, pensando che la scienza dell’inconscio avesse bisogno di strumenti in aggiunta anche geometrici, Lacan ha approfondito una branca delle matematiche che si chiama topologia, che studia i rapporti fra gli spazi e la loro struttura interna. Se si considera l’inconscio come uno spazio – che non è possibile definire mentale, ma uno spazio circoscritto dal linguaggio – lo si può allora descrivere in modo geometrico. Lacan ritiene che sia possibile matematizzare l’inconscio, e collegare tra loro geometricamente i registri del reale, dell’immaginario e del simbolico.  Nei seminari Encore e Les non-dupes errent egli spiega il legame tra i tre registri utilizzando il modello del nodo borromeo. La caratteristica di questo nodo è quella di essere formato da tre anelli, a due a due scollegati, che stanno insieme solo perché sono legati a tre. Infatti è sufficiente tagliarne uno perché anche gli altri due si liberino. Le proprietà di questa costruzione permettono a Lacan di parlare di effetto di nodalità o di ternari età pura e semplice. La funzione del nodo non è quella di fondare un ordine, una gerarchia nella quale poter incastrare i tre registri reale, immaginario e simbolico. Lacan stesso afferma: “Ciò che dobbiamo trovare non è la diversità della loro consistenza, è la consistenza stessa, cioè quel che non si può dire, questa consistenza stessa in quanto non li diversifica, ma li annoda soltanto”. Non a caso Lacan parla di reale, immaginario e simbolico oltre che con la definizione di registri, anche con il significato di dit-mansion, cioè di dimensioni compresenti e concatenate che rappresentano le dimore del dire, cioè i luoghi della diversa manifestazione del linguaggio nella struttura dell’inconscio.

http://2.bp.blogspot.com/_2CfPH35d5FM/S0oKZ7-uwVI/AAAAAAAAAAs/5VVf1Gc4xnU/S600/borromeeelliptique2.jpg

 

L’etica della psicoanalisi

Uno dei seminari più interessanti dal punto di vista filosofico tenuti da Lacan si intitola “L’etica della psicanalisi” , nel quale egli si sofferma sulla figura dell’analista, rivalutandone il ruolo da scienziato dell’anima a istanza etica per il soggetto. Lacan in questo seminario ribadisce l’assioma secondo il quale ”l’inconscio è strutturato come linguaggio”; in questo modo afferma che lo strumento con cui l’analista e il suo paziente lavorano, cioè il linguaggio, non è un mero strumento per conoscere qualcosa di esterno, ma è esso stesso l’inconscio che viene analizzato. In altri termini, lo strumento di analisi dell’inconscio fa parte della stessa sostanza dell’inconscio, cioè l’analisi stessa fa parte del processo inconscio. Tale considerazione mette in luce una differenza fondamentale della psicoanalisi rispetto alle scienze della natura come la fisica, per le quali gli strumenti conoscitivi sono assolutamente diversi dagli oggetti conosciuti. Da perito hegeliano, Lacan riconosce questa differenza, poiché comprende che se la psicanalisi tratta dell’ethos nel senso greco, cioè come carattere e costume delle persone, allora esso non è il suo oggetto di studio, ma la stessa psicanalisi è etica: come la psicanalisi è essenzialmente linguaggio e in quanto tale può agire sull’inconscio, così soltanto nella misura in cui le si attribuisce eticità essa può influire sull’ethos. L’analista è dunque un agente etico, perché inizia il paziente – cioè il soggetto – ad accettare il proprio desiderio o, come dice Lacan, ad essere fedele al proprio desiderio. Freud pensava che i sintomi psicopatologici fossero causati dalla rimozione, dovuta all’azione censoria della coscienza nei confronti di un desiderio inconscio, non conforme all’immagine che l’Io ha creato di sé. Il superamento della patologia psicotica o nevrotica si realizza nella consapevolezza maturata dal paziente di aver tradito attraverso la rimozione il proprio desiderio. Per Lacan l’azione etica della psicoanalisi consiste non nel costringere, reprimere o frenare il desiderio, quanto piuttosto nell’accettazione da parte del soggetto; non si tratta, quindi, di limitarsi a riconoscerlo, ma eticamente di rendersi conto di non poter prescindere dal proprio inconscio e dal proprio desiderio. Il desiderio, spiega Lacan, è la materia prima del nostro inconscio e la fedeltà al desiderio è dunque la sola via di superamento del sintomo. “Dietro il teorico ultraumanista dell’inconscio strutturato come linguaggio, dobbiamo sempre vedere all’opera il Lacan neoesistenzialista che interroga la differenza sessuale e il mistero irrisolvibile del desiderio umano. Dietro il Lacan matematico dei grafi, delle formule algebriche, della topologia c’è sempre il Lacan surrealista e joyciano de lalingua come vita immersa nel bagno del linguaggio, del soggetto come assoggettato al desiderio.” Massimo Recalcati, Ritratti del desiderio, Breve ritratto di Jacques Lacan

 

 Fonti: – L. ANCONA, C. VIGNA, P. SEQUERI, L’enigma del desiderio, ed. San Paolo – L. ALTHUSSER, Freud e Lacan, Editori Riuniti – M. RECALCATI, Ritratti del desiderio, Raffaello Cortina Editore – F. ALBANESE, Pillole di Lacan. Lacan e lo strutturalismo – S. BENVENUTO, Jacques Lacan: ritorno a Freud – S. BIANCARDI, Il nodo borromeo e la geometria di Lacan – N. ABBAGNANO, G.FORNERO, Itinerari di filosofia, ed. Paravia

Per un’ermeneutica del desiderioultima modifica: 2013-07-10T15:09:00+02:00da allan11
Reposta per primo quest’articolo