Summer of Love

Guardando. su Sky, un filmato rievocativo dell'”epoca hippy” come antesignana della libertà sessuale, notavo che la parola più usata per definire quella nuova sessualità “liberata” fosse “connessione”. Il sesso, cioè, come strumento per “connettersi” con le altre persone, per socializzare, insomma.
Esattamente come è ora con il proprio smartphone !!
La “solitudine di massa” è iniziata allora, si vede.
Oggi come allora la stessa sola “virtualità”.
“Connessione” fittizia, astratta, dove dell'”altro” non frega niente a nessuno. Sorta di antesignano degli odierni “selfie” o dei piatti al ristorante per il proprio solitario compiacimento.
YouPorn come ovvia conseguenza di quel tutto iniziato allora e pienamente realizzato oggi nella masturbazione assurta a globalizzazione.
Una bella rivoluzione di merda, non c’è che dire !!

“THE BEST”
La nostra è stata la prima generazione dove il Sesso è stato separato dalla Vita.
Ma quanto ci ha reso felici tutto ciò ?
Quella scissione se ne è poi portata dietro un’altra, ancora peggiore, ancora più profonda e radicale.
L’obbligo al *Piacere*, ben prima di qualunque altra cosa.
Non è strano, allora, di come sesso e droga si siano coniugati così perfettamente.
Il tutto, poi, con l’inevitabile risultato di separarci tra di noi, figli di quella generazione, in una lotta solo individuale.
Il primato del Piacere non può convivere con nessuna solidarietà tra eguali.
“Ognuno per sé e Dio per tutti”
Ma Dio non c’era e allora “ognuno per sé” e basta.
E i più deboli, in questa stupidissima lotta a chi “godeva” di più, soccombevano nelle droghe pesanti dove potevano trovare la pace senza sentirsi solo degli sconfitti..
Ieri è morto un mio caro amico di questa seconda categoria: quella degli sconfitti.
Troppo fragile per non restare schiacciato da questo macigno dove conta solo quello che hai e non quello che sei.
Senza o mezzi per difendersi da questa truffa della mia generazione, che credeva di essere la più libera e invece è stata la più schiava di tutte di quel Potere che ci ha giocati alla perfezione.
Tu come noi, ancor più di tutti noi.
Perché sconfitti lo siamo anche noi, non solo tu, mio caro amico “Best”.

RELAZIONE & CONNESSIONE
La prima concepisce la nostra vita sociale come un IO-TU,… cosa possiamo fare insieme, cosa posso fare per star bene con quella persona, cosa è meglio per noi due… e che si può riassumere, quindi, in “Individuo-persona”.
Viceversa la seconda, che sfocia nell’Utilitarismo, la concepisce come un IO-ESSO…non, quindi, chi-sei ma cosa ne posso fare di te, a cosa mi servi…che sfocia, quindi, in quell'”Individuo-massa” altrettanto caro a Capitalismo e Comunismo.
Questo secondo è il modello imperante oggi, ed è emblematico soprattutto nelle relazioni sessuali all’insegna del “chi rimorchio” oggi, nell’irresponsabilità delle conseguenze reclamate come Diritto all’aborto di quel bambino-ESSO e non TU alla base della sua serena eliminazione come di qualcosa di inservibile, inutilizzabile, e quindi, come tale, materiale di scarto.
Conseguenza di questa individualità massificata e senza personalità che ha anche la spudoratezza di ritenersi evoluta.

PS : BIOETICA

Prima di scendere all’esame dei problemi, va premesso che essi, come tutti i problemi di bioetica e di biodiritto e, più in generale, di disponibilità dell’essere umano, ricevono risposte differenziate a seconda che si muova dalla perenne contrapposizione dialettica tra: 1) la concezione utilitaristica dell’uomo-oggetto, uomo-massa, uomo-mezzo, come tale strumentalizzabile per finalità extrapersonali; 2) la concezione personalistica dell’uomo-valore, uomo-persona, uomo-fine, punto di incontro dell’antropologia e dell’umanesimo sia delle concezioni religiose monoteistiche sia delle concezioni autenticamente laiche (non laiciste-libertarie), che riconoscano kantianamente all’essere umano una dignità che ne fa un soggetto fine-in sé e non un mezzo.

Corollario della concezione utilitaristica è la massima disponibilità dell’essere umano: a) che, per l’utilitarismo pubblico-collettivistico, in nome dell’utile collettivo sono stati legittimati i più efferati misfatti contro l’uomo della storia umana (dalla rupe di Sparta alle sperimentazioni, sterilizzazioni, eutanasie ed aborti eugenetici di massa, quali quelli compiuti da pseudoscienze naziste e nipponiche, asservite ai più inumani totalitarismi politico-ideologici; b) che, per l’utilitarismo maggioritario di tipo anglosassone, in nome della maggiore felicità per il maggior numero a scapito di pochi, sono state legittimate sperimentazioni sui cosiddetti «soggetti predisposti» ad essere cavie (condannati a morte, moribondi, malati di mente, vecchi, bambini, studenti di medicina, malati non paganti, di basso livello culturale o appartenenti a paesi sottosviluppati); c) che, per l’utilitarismo individualistico-egoistico, in nome della maggiore felicità propria ed in un soggettivismo tendenzialmente senza limiti, che eleva la libera volontà individuale a summa lex, si legittima l’incontenibile politica della «liberalizzazione» (dell’aborto libero, droga, alcolismo, sterilizzazione anche irreversibile, transessualismo, locazione del grembo materno, eutanasia, suicidio, ecc.).

Corollario della concezione personalistica è il principio dell’indisponibilità dell’essere umano, che subordina la liceità degli interventi sul medesimo a un duplice ordine di limiti coessenziali: 1) i limiti oggettivi, segnati innanzitutto dai principi della salvaguardia della vita, integrità fisica e salute; della dignità umana; della eguaglianza e pari dignità dei soggetti umani; 2) i limiti soggettivi, segnati dal principio del consenso informato del soggetto

QUESTIONANDO DI UTILITARISMO E PERSONALISMO

LUI : Quello che ti sfugge è che è l’unica etica che abbia consistenza ontologica, nata per necessità. Tutte le altre sono derivate da questa per mito, fantasia, religione, instrumentum regni…

IO : In una prospettiva ontologica, conoscere, vivere consapevolmente, esseri coscienti è una forma più alta di essere e di vivere.
Il vivente ha un “se stesso”
Ciò vuol dire afferrare la propria esistenza come esistenza soggettiva (io); è la consapevolezza continua di essere persone viventi ed esistenti.
“Persona” è il “se stesso” umano che diviene esplicita nel linguaggio o nella riflessione scientifica e filosofica.
La coscienza e l’auto-coscienza sono materialmente fondate su circuiti cerebrali relativi a stati e processi cognitivi, emozionali e l’esistenza di stati e di operazioni mentali inconsci.

I pensieri immateriali sono presenti alla mente umana. Di conseguenza, la nostra mente possiede una dimensione immateriale, la quale è presente come
“atto” nella condizione corporea. “Immaterialità” è una forma di “consistenza ontologica”

Ne consegue poi che se la co-comprensione è una forma più alta di comprensione, l’auto-coscienza sociale non per necessità è più alta di una coscienza isolata, che suppone conoscere l’altro come ” un altro me stesso”.
Questo fatto suppone un’autocoscienza condivisa (nella famiglia, nelle relazioni sociali, nei rapporti con Dio).

Vedi, mio caro, la tua/vostra sarà pure l’ “unica etica che abbia consistenza ontologica, nata per necessità”, ma vedi, dovete essere rimasti allo stadio della scimmia che non è questione di “…mito, fantasia, religione, instrumentum regni…” ma di ALTO e BASSO.

Voi siete solo rimasti molto in basso nella scala evolutiva.

Praticamente al livello dei serpenti e de ….https://www.youtube.com/watch?v=O-ESkpIk9gk

EUDEMONISMO & UTILITARISMO

Amartya Sen è un premio Nobel per l’Economia (1998) che però si pone in orizzonte ben più alto di quello UTILITARISTICO prevalente andando ben più in profondità all’essere umano e alle più consuete concezioni di benessere economico come appagamento dei desideri, felicità o soddisfazione delle preferenze, proponendo misure più adeguate della libertà e della qualità della vita degli individui.
Ha smontato l’ideologia del prodotto interno lordo quale indicatore assoluto spiegando che il benessere sia una funzione complessa, una derivata della qualità della vita e quindi inaffrontabile dal lato esclusivamente quantitativo, non descrivibile solo con numeri e grafici.
Sen intende quindi proporre, in contrasto con una teoria del benessere sociale centrata sull’appagamento mentale soggettivo e non coincidente necessariamente con livelli adeguati di vita, una prospettiva tesa all’effettiva tutela di aspetti centrali di detto benessere umano.
Per l’utilitarismo ciò che conta sono gli stati di cose, la sua è un’impostazione aggregativa, non è sensibile a come le utilità sono di fatto distribuite, ma si concentra esclusivamente sull’utilità complessiva, tralasciando l’importanza dell’individuo come tale che diviene un ‘tramite per progetti collettivi’.
Il merito di Sen è di aver usato nuove categorie, capaci di superare i limiti delle analisi economiche tradizionali.
Grazie agli studi di Sen si viene infatti a delineare un nuovo concetto di sviluppo che si differenzia da quello di crescita.
Lo sviluppo economico non coincide più con un aumento del reddito ma con un aumento della qualità della vita.
Ed è proprio l’attenzione posta sulla qualità, più che sulla quantità, a caratterizzare gli studi di questo economista.
I “beni primari” di cui dice Rawls e le “risorse” di cui scrive Dworkin sono agli occhi di Sen degli indicatori assai imprecisi e vaghi di ciò che si è realmente liberi di fare e di essere. Ancora più vago e impreciso è il “reddito”, poiché una persona malata e bisognosa di cure è sicuramente in una condizione peggiore di una persona sana avente il suo stesso reddito.
La conclusione a cui Sen perviene passando dalla critica delle altrui posizioni è che il grado di eguaglianza di una determinata società storica dipende dal suo grado di idoneità a garantire a tutte le persone una serie di “capabilities” di acquisire fondamentali funzionamenti, ossia un’adeguata qualità della vita o benessere generale (cioè non ristretto entri parametri strumentali o economici).
Fedele a questa impostazione, Sen è giunto, nei suoi scritti successivi, a tratteggiare una teoria dello sviluppo umano in termini di libertà (development as freedom).
E, nel fare ciò, si è direttamente riallacciato alla tradizione greca, inaugurata da Aristotele, dell’ EUDAIMONIA : l’espressione greca eudaimonìa non corrisponde affatto alla sua usuale traduzione inglese in “happiness” (felicità), ma ha piuttosto a che vedere col termine “fulfillment”, che vuol dire *REALIZZAZIONE COMPLETA DI SE’ * e che può essere resa con la bella immagine di una “vita fiorente” (flourishing life), ossia di una vita che fiorisce in tutte le sue potenzialità.
L’eudaimonìa quale la intende Sen si contrappone direttamente al vecchio ideale della Welfare economics, che bada soltanto al benessere materiale: ma si oppone anche alla formulazione monistica che dell’eudaimonìa ha dato lo stesso Aristotele.
Secondo Sen, infatti, l’eudaimonìa deve portare ad uno sviluppo pluralistico, per cui “esiste una pluralità di fini e di obiettivi che gli uomini possono perseguire”. L’errore commesso da Aristotele sta nell’aver individuato una “lista” di funzionamenti universalmente valida, trascurando di fatto l’individuo.
Secondo Sen, invece, essendo tanti i fini e gli obiettivi che ciascun individuo può legittimamente perseguire, anche le “capabilities” sono una pluralità.
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ONTOLOGISMI

“Il mondo ha due volti per l’uomo, in conformità al suo duplice modo di essere.
Duplice è il modo di essere dell’uomo, in conformità al dualismo delle parole-base, che egli può pronunciare.

Le parole-base non sono singole parole, ma coppie di parole.

Una parola-base è la coppia Io-Tu.
Un’altra parola-base è la coppia Io-Esso; senza mutare questa parola-base, si può sostituire a Esso anche Lui o Lei.

Con ciò anche l’Io dell’uomo ha due volti.

Poiché l’Io della parola-base Io-Tu non è lo stesso Io della parola-base Io-Esso.

Le parole-base non asseriscono qualcosa che stia fuori di esse, ma una volta pronunciate dànno vita a un esistente.
Le parole-base non si possono pronunciare separate dall’essere.

Quando si pronuncia il Tu, con esso si pronuncia anche l’Io della coppia Io-Tu.
Quando si pronuncia l’Esso, si pronuncia anche l’Io della coppia Io-Esso.

La parola-base Io-Tu può essere pronunciata soltanto unitamente alla totalità dell’essere.

La parola-base Io-Esso non può mai essere pronunciata unitamente alla totalità dell’essere.

Non v’è un Io in sé, ma solo l’Io della coppia Io-Tu e l’Io della coppia Io-Esso.

Quando l’uomo dice ‘Io’, intende uno di questi due.
Quell’Io che egli intende è presente quando parla.
Anche quando l’uomo dice Tu o Esso, è l’Io dell’una o dell’altra parola-base che è presente.
Essere Io e dire ‘Io’ sono una stessa cosa. La stessa cosa è dire ‘Io’ e dire una delle sue parole-base.
Chi pronuncia una parola-base, ‘entra’ nella parola e vi sta”.

[…]

“L’Io della parola-base Io-Tu è diverso della parola-base Io-Esso.

L’Io della parola-base Io-Esso appare come una individualità e acquista coscienza di sé come soggetto (dello sperimentare e dell’utilizzare).
L’Io della parola-base Io-Tu appare come persona e acquista coscienza di sé come soggettività (senza un genitivo dipendente).

L’individualità appare in quanto si distingue da altre individualità.
La persona appare in quanto entra in relazione con altre persone.
Questa è la forma spirituale della indipendenza naturale, quella è il legame naturalizzato.

Lo scopo dell’autoseparazione è sperimentare e utilizzare, e lo scopo di questi è la ‘vita’, cioè la protrazione di quel continuo morire che è la vita dell’uomo.

Lo scopo della relazione è la sua stessa essenza, ovvero il contatto con il Tu; poiché attraverso il contatto ogni Tu coglie un alito del Tu, cioè della vita eterna.

Chi sta nella relazione partecipa a una realtà, cioè a un essere, che non è puramente in lui né puramente fuori di lui. Tutta la realtà è un agire cui io partecipo senza potermi adattare a essa.

Dove non v’è partecipazione non v’è nemmeno realtà.
Dove v’è egoismo non v’è realtà. La partecipazione è tanto piú completa quanto piú immediato è il contatto del Tu.
È la partecipazione alla realtà che fa l’Io reale; ed esso è tanto piú reale quanto piú completa è la partecipazione”.

Il regno dell’esso, il regno degli utensili e dell’utile. Questo regno dei mezzi non ci permette di realizzare la nostra totalità. Chi limita la sua dimora ad esso rimane a metà.

Soltanto quando vediamo oltre la dimensione dell’esso la dimensione del tu, il nostro mondo inizia ad essere realmente abitato, orientato verso un compimento, anzi, desideroso di pienezza.
Quando diciamo tu, non stiamo più nel regno dell’utile, del mezzo. Siamo già nella dimensione dell’“in-utile”, della gratuità e della complicità.

«Chi dice tu non ha alcun qualcosa, non ha nulla. Ma sta nella relazione (Bezeihung)».
È qui la linea di demarcazione tra l’esperienza io-esso e l’esperienza io-tu.
«Divento io nel tu; diventando io, dico tu. Ogni vita reale è incontro».

L’uomo diventa io a contatto con il tu. Il mondo non ci dona la possibilità piena di personalizzarci. Solo il contatto con il tu fa fiorire l’essenza dell’io.

AMORE SENZA FINE
In quest’epoca di “cattivo infinito” l’Amore è stato separato dalla VITA generandone solo la sua astrazione culminante nell’idiozia assoluta de “La madre è un concetto antropologico”, dove, cioè, viene negato “l’infinito dell’amore” frutto di quella scissione che solo nella vita ha il suo senso profondo ed emblematico, per essere sostituito dalla sua parodia nell’esibizionismo osceno di poveri “cosi” nel carnevale degli “ultimi uomini” chiamato Gay pride.

Summer of Loveultima modifica: 2018-08-12T15:07:42+02:00da allan11
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