DESIDERIO & PANICO

Mi son deciso a scrivere queste righe un po’ perchè son psicologo, un po’ perchè son psicoanalista, un po’ perche ho sofferto per venticinque anni di *Attacchi di panico* (DAP), un po’ perchè ne sono guarito e un po’ perchè non ne posso veramente più di leggere le complicate astruserie sull’argomento per ogni dove.

Ma partiamo dalla fine. Come iniziai a guarirne ?

Il giorno che ripresi in mano un libro di Umberto Galimberti, “Il corpo” , dove, dopo averla bypassata, tornai su una riga dove lui affermava che “…coloro che soffrono di Attacchi di panico hanno una scarsa *Intenzionalità*. Ora non chiedetemi quale riga perchè dovrei rileggerlo completamente per ritrovarla. Ma non è necessario.

Cosa significava quella parola, *Intenzionalità*, lo scoprì solo in seguito, scartabellando tra Dizionario di Filosofia e da lì, a seguire, cercando di comprendere quell’Edmund Husserl che ne era il principale esponente, non essendo io un filosofo come l’autore di quel libro.

A differenza che in italiano la parola Corpo, in tedesco, la lingua di Edmund Husserl, si dice in due diversi modi : Korper e Lieb
Il primo sta’ per “Corpo anatomico” e il secondo per “Corpo intenzionato”

E siamo daccapo.

Perchè questa distinzione è così importante per portarci alla soluzione del nostro problema ?

E perchè, ora, questa parola risuona associata a quella di Corpo ?

Chiunque conosca gli “Attacchi di panico”, li abbia provati anche una sola volta, sa bene come, in quei momenti, non ci si senta più padroni per nulla del proprio corpo che, anzi, va proprio da solo e per i fatti suoi, nell’imbarazzo lacerante che faccia la spia del nostro disagio sudando, tremando, asfissiando eccetera.

Quindi, se l’*Intenzionalità* è il rimedio, di certo è a quel corpo anarchico che bisogna rimediare.

Certo, la prima considerazione che chiunque conosca quei sintomi farà e che…”Certo, SCAPPARE era l’unico pensiero che avevo!”
Infatti.
Ma come PREVENIRE questa unica INTENZIONE ?
Si, perchè, anche “scappare” è una *Intenzione-Intenzionalita’*.

E così cominciamo a capire quello di cui stiamo parlando e alla quale abbiamo attribuito la condizione taumaturgica di tutto questo male.

Solo qui sta’ tutto il problema. Solo in questa parolina.

“Parolina” in cui risiedeva, da sempre, anche la mia ritrosia a scrivere qualcosa, come più volte ero stato invitato a fare, perchè rispondevo :”E come si fa’ a fare un trattato solo su una semplice parola ?” Vabbè, ma non è ora il momento dei ricordi.

Quindi eravamo rimasti alla ben nota “Intenzione di scappare a gambe levate da quella situazione imbarazzantissima”
Che, però, anche quella, non veniva mai, comunque, messa in atto, ma rimanendo solo come “pia” intenzione nella rigidità cadaverica del panico incombente.
E a nulla servivano abbigliamenti estivi a Natale che, tanto, quando meno te lo aspettavi, quelli partivano e neanche nudo in mezzo alla neve avresti trovato ristoro.
Come una Ferrari con il gas bloccato, il motore saliva di giri all’impazzata e il calore avrebbe liquefatto anche la calotta polare artica.

Non c’era rimedio.

Ma forse è meglio che ricominciamo dall’inizio e, così facendo, declinando quel concetto di “Intenzionalità” nel tessuto del racconto così da essere di facile comprensione senza scomodare più del necessario Edmund Husserl che non è proprio uno dei filosofi più facili da comprendere.

NADIA

Tutto cominciò in una primavera di tantissimi anni fa’.

Con un colpo di fortuna insperato ero riuscito ad avere un appuntamento con “la più bella della città”. O almeno così era unanimemente considerata Nadia da tutti quelli della mia età.
Dovendo far colpo mi ero vestito di tutto punto, trascurando, altresì, la primavera avanzata, e non guardando, quindi, troppo per il sottile la praticità ma solo l’estetica.
Mi pare di ricordare che mi fossi caricato di tutti i miei capi migliori che, sommandosi, non erano propriamente il massimo della leggerezza.

Cosa di cui non mi pentii subito ma che, nel prosieguo della giornata, maledì quando cominciarono le prime avvisaglie di “mancanza d’aria” nonostante stessimo andando con la mia auto a finestrini spalancati. Fu un crescendo che non accennava a smettere. Soprattutto quando ci fermammo in aperta campagna con l’intento, da parte mia, di baciarla. Solo da parte mia, però, che da parte sua non pareva esserci nessuna analoga intenzione (*intenzione*, appunto). Percepivo un muro invisibile tra me e quella ragazza che mi frenava. Mi teneva distante, gentilmente, e non mi dava la minima occasione di osare quel trasporto che sentivo per lei. La sua straordinaria bellezza faceva il resto ad inibirmi.

Non ricordo come proseguì la giornata ma solo quel “fuoco” che mi divampava dentro senza via d’uscita. Non tanto nel suo senso romantico ma bensì ben più letterale.

Avevo un caldo infernale che, suppongo, terminò solo quando ci lasciammo. Anche se con l’intenzione, da entrambe le parti, di rivederci. Ma non saprei dire se più per la mia testardaggine o perchè le interessasse qualcosa di me a parte la fiammante Lancia Fulvia coupé con cui, indubbiamente, faceva molto chic farsi vedere in città.

Solo molti anni dopo capì che si era trattato del mio primo “Attacco di panico”.

Ma allora, nei primi anni ’70, non sfiorava l’anticamera del cervello di nessuno chiamarli così. Fu solo negl’anni ’80 che cominciò a farsi strada questa definizione. Prima non aveva un nome e poteva essere qualunque cosa. Ovviamente le definizioni più tragiche erano le più gettonate. Come quelle di Schizofrenia, ad esempio. Cosa che non aumentava certamente la tranquillità di esserne vittime. Anzi.

Certamente era un sintomo di Ansia particolarmente forte. Ma altre classificazioni non ce ne erano.

Il caso volle, comunque, che di lì a poco, iniziò la mia avventura hippy, e di quel sintomo me ne dimenticai per alcuni anni, facendo la marjuana, abbondantemente, la funzione di calmante “naturale”, fin quando, avendo oramai raggiunto i limiti consentiti, dovetti riprendere gli esami universitari per conseguire quella laurea che avevo continuato a rimandare avendo affrontato, fino ad allora, solo uno o due esami, i più facili, all’anno.

E qui, ad un esame, quel sintomo ricomparve prepotentemente tanto dal doverlo abbandonare precipitosamente nonostante l’invito della professoressa a restare. Anche qui, però, la bellezza c’entrò qualcosa. Era infatti una professoressa molto bella e il panico mi assalse quando paventai di fare una figura meschina stante la mia preparazione della cui pochezza ero perfettamente consapevole. E passare per stupido con quella donna proprio lo trovavo insopportabile.

Già qui, però, trovai una prima soluzione a quell’attacco di panico rendendomi subito conto che era dovuto ad una mia effettiva mancanza di preparazione quello che generava l’ansia.
Tornai, quindi, preparatissimo, e la cosa non si ripetè più.
Almeno l’università era salva.

DESIDERIO & PANICOultima modifica: 2018-06-11T01:27:18+02:00da allan11
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