Donne & Gender

Oggi si nega che esista una “teoria del gender” e si afferma che l’unica cosa che si vuole è il riconoscimento dei diritti di quanti sono discriminati.

Ma, lasciando da parte le etichette, se andiamo alla sostanza delle cose, troviamo che i diritti che si presumono violati e che si vogliono riconosciuti consistono essenzialmente nell’affermata “naturalità” della condizione omosessuale.

Ora la presunta “naturalità” di una condizione che contraddice il sesso biologico delle persone presuppone che noi non siamo realmente determinati nel nostro essere dalla nostra condizione sessuale biologica, ma che siamo ciò che sentiamo di essere, indipendentemente dal sesso anatomico di nascita. Se questa visione delle cose debba essere chiamata “teoria del gender” o meno, non ha molta importanza.

Sappiamo, in ogni caso, che quanti la sostengono stanno cercando in tutti i modi di imporla in ogni ambito della società, considerando discriminatorio chi ad essa si oppone – perché sostiene che è la condizione determinata dal sesso biologico ad essere “naturale” – e accusandolo del “reato” di “omofobia”, cioè del rifiuto della condizione omosessuale come naturale.

Si parla di “reato” perché la pretesa che ad essere “naturale” sia, propriamente e realmente, la condizione umana determinata dal sesso biologico implicherebbe una ingiusta discriminazione nei confronti di quanti si sentono in contraddizione con esso.

Per non cadere in detta discriminazione e reato, perciò, bisogna prendere atto che la persona umana non è un essere biologico-strutturale ben definito fin dall’inizio della sua esistenza, con diritti e doveri che da questo derivano, ma bensì “una identità psichica che può essere o non essere in contraddizione con il suo essere biologico-strutturale proprio, senza che ciò implichi sostanziale differenza”.

La tendenza sessuale corrispondente al dato biologico, dunque, non sarebbe che una convenzione socio-culturale legata a situazioni e a pregiudizi sociali patriarcali ormai superati.

Questa visione della vita sessuale umana – che si chiami o meno “teoria del gender” – costituisca una violazione ed una discriminazione dei diritti non di una minoranza, bensì della maggioranza dell’umanità, in particolare della donna, in quanto naturale procreatrice ed educatrice, insieme al suo partner maschile, della vita umana nascente.

La negazione del fondamentale diritto delle donne ad essere se stesse, cioè esseri femminili, e la contraddittoria pretesa di conferire questo a persone di sesso maschile produce di fatto una lesiva discriminazione dei diritti delle donne di tutto il mondo.
Come, infatti è stato introdotto il termine “omofobia” per indicare la vera o presunta violazione dei diritti e discriminazione nei confronti di un’identità psichica in contraddizione con l’essere biologico-strutturale proprio, analogamente, e con maggior ragione, va introdotto il termine “ginecofobia” per indicare la violazione dei diritti e la discriminazione nei confronti dell’identità psichica della donna, in quanto inalienabilmente fondata sul suo essere biologico-strutturale innato

Secondo questa cultura Gender, il fatto di essere “donna” nel senso tradizionale, che legava insieme struttura biologica, naturale tendenza alla vita in comune con il partner maschile – intesa in senso non soltanto fisico, ma anche psichico e spirituale, quale integrazione di esseri complementari a tutti i livelli – maternità fisica e maternità spirituale, non avrebbe riscontro nella realtà, ma non sarebbe che una costruzione socio-culturale che la società di oggi deve rifiutare come non fondata in natura e perciò fonte di reazione e di discriminazione verso altri modi di essere e di sentire e di esercitare la sessualità.
In questa prospettiva il vincolo matrimoniale che unisce un uomo a una donna non sarebbe qualitativamente diverso o in alcun modo privilegiato rispetto al vincolo matrimoniale che unisce due uomini o due donne, ovvero anche più persone dell’uno o dell’altro sesso.

E se non c’è differenza qualitativa e privilegio, ovviamente non vi sarà alcun legame materno/paterno qualitativamente diverso fra una coppia biologicamente feconda e il figlio fisicamente da essa generato rispetto a quello che si crea fra due (o al limite più) persone dello stesso sesso e il figlio a loro affidato per adozione o generato per loro o per uno di loro in qualsiasi altro modo.

Se questo modo di intendere la sessualità, il matrimonio e la filiazione è corretto e fondato nella realtà, allora è obbligo che fin dalla più tenera età esso si insegni ai bambini.

Da qui l’idea di imporre questa visione della sessualità anche nelle scuole dell’infanzia?

Certo. Si dirà loro che essere donna (o uomo) non è un dato di natura, bensì una scelta psichica. Essi saranno perciò invitati a scrutare la propria tendenza e a incominciare al più presto a fare, riguardo ad essa, una libera scelta – eventualmente anche verso forme di tendenza sessuale varie e non catalogabili secondo le obsolete categorie uomo/donna.
In tal modo si sradicherà dalla loro psiche il pregiudizio che essere donna (o uomo) sia un fatto naturale dal quale discenderebbe il privilegio di essere la vera naturale partner dell’altro “sesso naturale” e la vera unica generatrice, e perciò madre, nutrice ed educatrice, della prole. Questo pregiudizio dovrebbe essere eliminato sul nascere, poiché sarebbe causa di discriminazione verso altri orientamenti sessuali, per i quali ovviamente, in detta prospettiva, il ruolo di coniuge, padre e madre non potrebbe essere considerato se non “contro natura”.

Dunque, fin dall’infanzia i bambini dovrebbero essere avviati a considerare del tutto normale la transizione dal genere tradizionalmente legato al sesso biologico al genere liberamente scelto – cioè dal genere femminile al maschile, o viceversa, ovvero dall’uno o l’altro a un nuovo genere di libera scelta – eventualmente anche con l’ausilio di cure ormonali o di interventi chirurgici.

Sappiamo che per una corretta crescita psico-affettiva i bambini hanno bisogno di un rapporto-confronto con la figura distinta del padre e della madre. Come cambierebbe questo rapporto?

Un altro pregiudizio che dovrebbe essere sradicato fin dall’infanzia è che il bambino avrebbe bisogno, per crescere psichicamente sano, delle figure tradizionali del “padre” e della “madre”, cioè dell’uomo e della donna biologici. Se fosse così, ovviamente si reintrodurrebbe il privilegio della “donna biologica” rispetto ad altre figure parentali.Ma ciò sarebbe causa di discriminazione e perciò violazione di diritti di una o più categorie.

Non potendosi tollerare discriminazioni verso alcun gruppo particolare, diverso o minoritario in una società moderna e democratica, bisogna che i bambini siano educati fin dalla più tenera età a considerare del tutto uguale la convivenza di minori con due persone di sesso diverso e la convivenza di minori con due (o più) persone dello stesso sesso, senza discriminazioni.

Se poi la condizione omosessuale – o eventualmente altra – non è più da considerare “innaturale”, non sarà proponibile alcun percorso “terapeutico” per il ritorno ad una condizione cosiddetta “eterosessuale”.

Ovviamente ogni transizione sarebbe lecita, purché sia ben chiaro che non c’è una condizione “naturale” privilegiata alla quale ci si debba orientare, e che perciò chi detiene una condizione di genere che coincide con quella biologica sia persuaso che può ritenerla esclusivamente come libera scelta e non come condizione naturale, e che dunque deve accettare il principio di poter transire, aiutato eventualmente dagli adulti di lui/lei responsabili, anche con opportune terapie, a qualsiasi altro orientamento.

Donne & Genderultima modifica: 2016-02-26T18:37:43+01:00da allan11
Reposta per primo quest’articolo