WINNICOTT e la “Madre sufficientemente buona”

A cosa servono le mani della madre? Da sempre, la madre accarezza, cura, accoglie. Non solo nelle favole edificanti, nella tradizione retriva, nei consolatori racconti dei mass media: anche la stessa psicoanalisi ha per molti versi mantenuto ferma questa impostazione. Riservandosi, semmai, di indicare il lato oscuro di questa immagine celestiale: quella della madre cattiva, anaffettiva, carnefice delle anime e del futuro dei propri figli.
Massimo Recalcati, dopo la brillante ed epocale descrizione della figura del padre di Il complesso di Telemaco, volge il suo sguardo al materno. E inizia, appunto, sfatando la visione semplificata del materno come cura o come veleno. La madre, secondo Recalcati, è sempre una madre multiforme, dove convivono molte possibilità diverse: non solo la mamma angelo, ma anche la mamma coccodrillo, non solo la madre della sentenza inappellabile, ma anche la madre che sa perdere il proprio figlio, non solo l’accuditrice della prole, ma anche la moglie, l’amante, la donna.
Recalcati ci guida allora con mano sicura lungo una galleria di figure del materno, tratte dalla sua esperienza clinica, dall’attualità ma anche dalla Bibbia, da libri e film e, in definitiva, dall’esperienza di tutti. Così ci aiuta a riconoscere nella grande varietà delle madri possibili il profilo di una madre reale, non ideale, in cui le possibilità convivono e lottano tra loro per il sopravvento.
E, soprattutto, sottolinea l’importanza di non dimenticare mai, che si sia genitori o si sia figli, che una madre è innanzitutto una donna e che la sua femminilità non può che essere la base di ogni maternità: quando la donna si annulla per diventare madre, la famiglia soffre e rischia la catastrofe.

Dopo aver indagato la paternità nell’epoca contemporanea con “Il complesso di Telemaco” e altri libri, Massimo Recalcati volge lo sguardo alla madre, andando oltre i luoghi comuni, anche di matrice psicoanalitica, che ne hanno caratterizzato le rappresentazioni più canoniche. Attraverso esempi letterari, cinematografici, biblici e clinici, questo libro racconta i volti diversi della maternità mettendo l’accento sulle sue luci e le sue ombre. Non esiste istinto materno; la madre non è la genitrice del figlio; il padre non è il suo salvatore. La generazione non esclude fantasmi di morte e di appropriazione, cannibalismo e narcisismo; l’amore materno non è senza ambivalenza. L’assenza della madre è importante quanto la sua presenza; il suo desiderio non può mai esaurire quello della donna; la sua cura resiste all’incuria assoluta del nostro tempo; la sua eredità non è quella della Legge, ma quella del sentimento della vita; il suo dono è quello del respiro; il suo volto è il primo volto del mondo.

 

È imperturbabile, Massimo Recalcati. Voce ferma, guarda dritto negli occhi. Entrando nel suo mondo tutto ha un ordine preciso. Perché a parlare è l’esperienza sul campo di uno psicanalista lacaniano, del fondatore della onlus Jonas (il Centro di clinica psicoanalitica per i nuovi sintomi), del direttore scientifico dell’Irpa (l’Istituto di ricerca di psicoanalisi applicata). Recalcati si concentra sulla famiglia e dà un ordine preciso alle figure di madre e padre, emancipate da sesso, biologia e sangue.

Bene inteso, il pensiero di Recalcati è agli antipodi rispetto alla «marmellata confusa della genitorialità». No dunque, all’«appiattimento di madre e padre», ma sí a una visione nuova, che viaggia attraverso le funzioni. Funzioni che possono essere svolte da chiunque, indipendentemente dal sesso. Purché restino distinte. Recalcati ha bene in mente il quadro completo. Perché alle spalle c’è «la ricerca sul campo che ha caratterizzato il lavoro degli ultimi anni», spiega. Ha approfondito il processo di filiazione, «cosa rende umana la vita, cosa la umanizza». C’è l’approfondimento sulla figura del padre, c’è quella sul figlio. E ora approda alla madre.

Un approdo che avviene attraverso un libro, “Le mani della madre. Desiderio, fantasmi ed eredità del materno”, presentato ieri a Udine in prima nazionale con una lectio magistralis ospitata nell’ex chiesa di San Francesco. Un po’ di gel fra i capelli, una giacchetta e un paio di jeans. Piú gli immancabili occhiali dalla montatura pesante. Cosí, con semplicità, rimette ordine in temi complessi e viene fuori che la maternità non è altro se non «libertà». «È rinuncia al potere – spiega –, è il dono della libertà per chi è stato nostro. Parte di noi, senza essere noi. In questo senso tutte le madri sono Maria, perché portano in sé un figlio che non è loro. Il dono della maternità è rinunciare al potere. Il dono della maternità è ospitare la vita senza vantare il diritto di proprietà». E i papà? «La paternità è una responsabilità senza proprietà».

I diversi ruoli di papà e mamma si rispecchiano anche nelle funzioni utili al bambino. «Non è importante chi sostiene una o l’altra funzione – sottolinea Recalcati –, l’importante è che siano due ruoli distinti indipendentemente dal sesso. Andiamo verso un tempo in cui la famiglia non sarà piú quella che abbiamo conosciuto. Veniamo da una coppia bianca di eterosessuali con uno o due figli, ma le famiglie sono altro. Sono monoparentali, omogenitoriali, frutto di incontri fra chi genitore lo è già».

Il focus dunque non è sulle figure, ma sui compiti. «La funzione paterna è veicolare il senso della legge. Anche il desiderio deve avere una legge, altrimenti è godimento distruttivo – spiega Recalcati –. La madre invece ha il compito di incarnare una cura diversa da tutte le altre, la cura per il particolare che sa rendere unico il figlio. La seconda funzione della madre è trasmettere il sentimento della vita, il senso. E infatti è provato che le depressioni materne ostacolano il desiderio vitale del figlio».

Ed è cosí che si approda alle patologie. «L’infanticidio è presente nel libro – dice l’autore –, in particolare nel capitolo del complesso di Medea. Medea è una figura tragica del teatro di Euripide, uccide i propri figli perché non è rispettata come donna da Giasone. Un’evidenza che la maternità può scompensarsi in modo patologico quando non sono integrate bene la funzione femminile e quella materna». Se prevale la funzione materna, «allora si cade nella “madre coccodrillo” che divora i propri figli, il corrispettivo del padre padrone. Ma la madre coccodrillo, mentre uccide il proprio frutto, uccide anche la donna che è in lei», precisa Recalcati. Se invece a prevalere è la funzione femminile, scopriamo una nuova patologia, propria dei nostri tempi. È la madre Narciso, «la madre che uccide la madre – chiarisce lo psicanalista – perché vive la maternità come un handicap. E come Medea uccide i propri figli, la madre Narciso uccide il suo essere madre».

Al netto di patologie e devianze, «esiste una buona madre – rassicura Recalcati –. Una madre sufficientemente buona è una madre che continua a esistere anche come donna».

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http://it.wikipedia.org/wiki/Donald_Winnicott

WINNICOTT e la “Madre sufficientemente buona”ultima modifica: 2015-05-12T14:02:29+02:00da allan11
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