PSICOLOGIA PRENATALE

 PSICOLOGIA PRENATALE 1°

l periodo della gravidanza rappresenta quella fase unica del ciclo di vita di una donna in cui gli aspetti del cambiamento somatico e psicologico richiedono complesse capacità di adattamento. La gestazione implica nuovi equilibri riguardo all’identità individuale, di coppia, sociale ed una ampia mobilitazione fisica ed emotiva. Ogni gravidanza porta con sé il pericolo di uno scompenso, configurandosi come una fase di potenziale vulnerabilità.

Alcuni studi recenti hanno permesso di evidenziare come le emozioni materne influenzano il profilo neurofisiologico del feto. Le manifestazioni emotive si accompagnano ad alterazioni dei parametri psicofisiologici dovuti all’attivazione del sistema simpatico e parasimpatico ed al rilascio di sostanze come ormoni e catecolamine. In particolare le sostanze legate allo stress come i glucorticoidi attraversando direttamente la placenta, influenzano lo sviluppo del sistema nervoso del feto ( Morgan and Wang 2001). Se l’azione di queste sostanze risulta intensa e prolungata nel tempo gli effetti potrebbero ripercuotersi sul volume dell’ippocampo, sul sistema asse ipotalamo-ipofisi-surrene, sulla quantità dei recettori dei corticosteroidi, sulla vasocostrizione delle pareti dei vasi che portano sangue al feto, sul peso alla nascita, sulla circonferenza cranica del nascituro. La presenza di variabili psicologiche come ansia, depressione, irritabilità clinicamente rilevanti incrementa il rischio di stress e depressione post natale. La prevalenza di sintomatologia ansiosa è stimata tra il 33-50% (Lee et al., 2007; Faisal-Cury et al., 2007; Grant et al., 2008). La prevalenza di sintomi depressivi in gravidanza si attesta intorno al 10-20% (Evans et al., 2001).

Alcuni studi longitudinali hanno evidenziato una correlazione positiva tra l’ansia materna rilevata al terzo mese di gestazione, difficoltà di temperamento a due mesi e problemi comportamentali a quattro anni nel bambino. Da altri studi sperimentali si evince che l’alto livello di stress in gravidanza e quindi gli alti livelli di cortisolo nel sangue si correlano negativamente con lo sviluppo cognitivo e motorio valutato mediante la scala di Bayley (Bayley Scales of Infant Development, BSID, Bayley, 1993).

Da uno studio interessante di Field e collaboratori (2003) emerge una corrispondenza nel profilo biochimico contraddistinto da alti livelli di norepinefrine a bassi livelli di dopamina, tra le gestanti classificate come ansiose e quello dei loro bambini. I bambini di gestanti ansiose tendono ad avere un minore accrescimento fetale e fasi di sonno profondo più lunghe. L’esposizione a stress prenatale rappresenta uno tra i fattori di rischio in grado di influenzare qualitativamente l’evoluzione dello sviluppo del bambino (O’Connor et al. 2002; Field et al. 2003; Ruiz and Avant 2005).

I fattori ambientali influenzano l’attività neurale degli organismi (LeDoux 2002). Il sostegno sociale ed il supporto emotivo, la qualità della relazione di coppia, lo status socio-economico sono alcuni tra gli elementi capaci di funzionare come modulatori del di-stress e concorrere al benessere psicologico percepito.

Saranno significativi per la coppia degli spazi di riflessione costanti sui mutamenti in atto nella propria vita, una maggiore condivisione del tempo insieme importante anche per la strutturazione del futuro attaccamento padre-figlio. Vivere con consapevolezza questa condizione singolare concorre alla costruzione del benessere psicofisico del bambino e della diade madre-bambino. Il nascituro è un essere che già dal concepimento và percepito come una persona sensibile, portatrice di esigenze e capacità di apprendimento. Fin dalla gravidanza si sviluppa un legame emotivamente significativo tra la madre e il figlio, costellato da fantasie, desideri, paure, percezioni corporee ed emozionali. Essere autentici e istintivi nello strutturare un legame con lui rappresenta un punto di forza nella promozione della sua salute. La natura e l’intensità di questo legame varia notevolmente tra individui diversi.

Un bambino nasce nella testa e nel cuore prima che nel corpo, per cui diventa fondamentale durante i nove mesi di gestazione costruire uno spazio mentale ancor prima che materiale. Comunicando e percependo, sviluppando una forma di comunicazione o contatto emozionale, che manterrà una continuità quando sarà nato. Sappiamo che il feto è in continua transazione con il mondo esterno e apprende da questi costanti scambi.

Nei primi tre mesi di gravidanza sarà importante dedicare del tempo ad contrastare lo stress prodotto dalle responsabilità e dai timori emergenti. Dei massaggi circolari all’addome e una respirazione lenta e profonda potranno facilitare il rilassamento e favorire l’elasticità dell’ambiente uterino. L’ascolto della musica classica che ricalca il ritmo del battito cardiaco, ha un effetto rassicurante correlato a sua volta al rilascio nel circolo sanguigno delle endorfine.

Tra i tre e i sei mesi sarà utile conversare con il proprio bambino, cantare delle filastrocche, commentare e chiarire le proprie emozioni, esporre il bambino all’ascolto di suoni naturali. Gesti rilevanti in quanto facilitatori del successivo sviluppo linguistico, cognitivo, emotivo- affettivo.

Sarà stimolante toccare e sollecitare la pancia, replicare ai suoi movimenti che diventeranno sempre più regolari. In questa fase il bambino beneficerà delle carezze calde e vigorose del papà, capaci di alimentare fiducia e protezione.

Dal terzo trimestre la futura mamma potrà seguitare a cullare il proprio grembo producendo quelle stimolazioni vestibolari che confortano e allietano il bambino. Dondolarsi ed accarezzare faciliterà il suo sviluppo psicomotorio .

Immaginarsi con entusiasmo il futuro evitando di rimuginare su eventi dolorosi del passato, accettare le emozioni spiacevoli quando si presentano rassicurando il proprio bambino e consolandosi con frasi, immagini, pensieri positivi, rappresentano un primo passo verso la costruzione della salute psico-fisica del nascituro. Nello specifico l’uso dell’immaginazione ottempera a funzioni importanti come rendere espliciti significati inconsapevoli e regolare le emozioni.

Questo contributo si auspica di poter rappresentare una poliedrica occasione di riflessione e di aver puntato un faro sull’importanza che svolgono per il nascituro le capacità di relazionarsi, comunicare attivamente e di sintonizzazione emozionale sin dai primissimi istanti del concepimento.
 

PSICOLOGIA PRENATALE


Cosa e come “si apprende” prima della nascita

Si “nasce imparati”

Tutti i genitori che abbiano più di un solo figlio sanno che ciascuno dei loro bimbi manifesta già precocemente un “carattere” diverso da quello degli altri. Ciò avviene nonostante i piccoli vivano esperienze pressoché simili e crescano nella stessa famiglia. Questo sembra contraddire l’idea che la identità soggettiva dipenda dal tipo di ambiente e dalle specifiche esperienze di relazione dalle quali si è stimolati; sembra invece suggerire che “ci sia altro” che determini così precocemente tratti di personalità e modi di essere caratteriali a volte altamente specifici.
Ma c’è di più: anche i genitori che hanno un solo figlio o figlia “già grandicello/a” ricordano che qualche tratto caratteriale particolare (risultato poi stabile!) si manifestò già “da subito”, dai primissimi giorni di vita. Ci sono figli che “da subito” apparvero allegroni o scontrosi, o pigri, o iperattivi, o comunicativi o eccetera. Troppo “da subito” e troppo dall’effetto stabile, per poterlo far risalire a qualche elaborazione psichica di esperienze effettivamente vissute in pochi giorni dalla nascita.
A cosa altro attribuire, allora, quello che appare un “essere nati imparati”?

Le “conoscenze” innate

Al momento della nascita si possiedono già alcune “conoscenze” necessarie per la sopravvivenza immediata: si tratta di un insieme di “capacità” che -similmente al corredo istintuale di ogni specie- sono indotte da circuitazioni presenti nel Sistema Nervoso. Queste “capacità” si manifestano come risposte a stimoli specifici e sembrano essere “automatiche”, vale a dire né consapevoli, né dipendenti da alcun atto di volontà. Si tratta di capacità quali la suzione, la deglutizione, l’orientamento della bocca verso il capezzolo (quando esso appena sfiora una guancia) e altre ancora, tra le quali l’aggrapparsi, lo spingere con i piedi, e il nuotare tenendo la testa fuori dall’acqua! Queste “conoscenze neurologiche” sono iscritte nel Sistema Nervoso [1] e sono uguali in tutti gli umani; quindi, non spiegano le diversità osservabili tra i neonati: queste devono derivare dalla elaborazione di “esperienze diverse”, vissute in epoca prenatale che predispongono a “risposte diverse”.
Per avere “esperienze”, bisogna che gli organi di senso siano in grado di percepire i segnali ambientali; c’è allora da chiederci quando -nel corso dello sviluppo prenatale- gli organi di senso sono pronti a svolgere la loro funzione?

La “nascita” degli organi di senso

Si parla di feto a partire dalla ottava/decima settimana di gestazione; prima di tale tempo si parla di embrione; a livello embrionale inizia la costruzione nervosa degli organi di senso, ma sarà solo a livello di feto che essi acquisteranno la funzione sensoria vera e propria.
Il tatto La pelle e il relativo sistema nervoso periferico munito degli organi percettivi si costruiscono entro l’ottava settimana; alla nona, toccando la pianta del piede, il feto risponderà contraendo le dita o raddrizzandole a ventaglio.
L’olfatto Alla ottava/nona settimana si costituiscono i bulbi olfattivi e già dalla settima è formato il nervo olfattivo. Anche se il feto non può evidentemente fare esperienza diretta degli odori, ha tuttavia una struttura nervosa capace di “memoria olfattiva” basata sugli stimoli olfattivi ai quali è soggetta la madre.[2]
Il gusto Alla dodicesima settimana è costituita in modo definito la sensibilità percettiva della lingua. Tramite ecografia, si osserva l’inizio di un’attività di deglutizione e di suzione; appaiono anche espressioni facciali di disgusto o di piacere a seconda degli stimoli gustativi ai quali è soggetta la madre.
L’udito Dall’ottava alla ventiquattresima settimana si struttura tutto l’apparato acustico. Alla venticinquesima settimana, il feto risponde a stimoli sonori, proporzionalmente all’intensità del suono o del rumore con reazioni quali sobbalzi, accelerazione cardiaca, movimenti di braccia e gambe. Osserviamo che si tratta di risposte proprie del feto, che si realizzano anche senza la mediazione emotiva della gestante.
La vista Alla settima settimana inizia a strutturarsi il nervo ottico; la completa attività visiva si realizzerà al sesto mese. Dopo tale tempo di gestazione, se nell’ambiente uterino si diffondono stimoli luminosi, si osservano contrazioni pupillari e aumento del battito cardiaco del feto. Esso, inoltre, reagisce agli stimoli tollerabili volgendo il capo verso la sorgente luminosa; agli stimoli molto intensi, reagisce girando la testa da una altra parte, per evitarli.
Lo sviluppo di organi di senso autonomi rende possibile che già a livello fetale ci sia percezione degli stimoli ambientali; il successivo sviluppo di strutture nervose renderà possibile fare autentiche esperienze soggettive, più propriamente psichiche che solo sensoriali.

La “aurora” della soggettività

Anche una esposizione sommaria (qual è riconosciutamene la presente), rende possibile evidenziare che già prima di venire alla luce, un neonato ha potuto fare qualche esperienza soggettiva del mondo. Vediamo quali e come.
Nei primi quattro/cinque mesi di gravidanza, il feto ha condiviso gli ormoni e i neurotrasmettitori prodotti dalla madre nel proprio organismo [3]. Dalla gestante al feto, “vengono passati” gli stati d’animo, le emozioni, i contenuti affettivi di azioni e parole: tutto ciò che la gestante ha vissuto per se stessa e in se stessa sul piano emozionale o del comportamento, “viene passato” al feto [4]. In questo modo, la gestante ha mediato tra il mondo e il feto, ed “ha insegnato” al feto risposte biochimiche agli stimoli.
Dal quinto/senso mese di gravidanza, il feto “non ha più bisogno” della mediazione della madre, e risulta senz’altro in grado di provare emozioni autonome, e “farsi un’idea personale”! [5]
Via via che si costituiscono circuitazioni nervose più mature, nel feto emergono funzioni più propriamente psichiche; si produce una capacità di autonoma valutazione degli stimoli, operata tramite associazioni tra i diversi stimoli esperiti e le proprie emozioni corrispondenti; si costituisce una memoria personale degli stimoli, e la “aspettativa” che quelli gradevoli si ripresentino e quelli sgradevoli no, eccetera.
Il processo di acquisizione di queste capacità si realizza intorno al quinto/sesto mese di gravidanza e costituisce l’abbozzo della soggettività e delle caratteristiche di personalità che il neonato paleserà già nei primi giorni di vita: è il processo psichico prenatale che ci proponevamo di spiegarci!
Abbiamo visto che nei primi mesi di gestazione la madre agisce sul feto come unica possibile mediatrice tra lui e il mondo. Il ruolo svolto dalla gestante resta comunque determinante anche nei mesi successivi al quinto, nonostante la autonomia sensitiva e psichica progressivamente acquisita dal feto.
Riproponendo l’esempio di un rumore improvviso e molesto che faccia sobbalzare il feto di “sua propria iniziativa”, è ancora possibile che la madre operi una “mediazione” tra il rumore (esterno) e la reazione di sobbalzo (interno) del feto: la gestante può “rassicurare” il feto sia inducendo in lei un momento di rilassamento (che sarà comunicato anche al feto per via biochimica), sia -per es.- ponendo “rassicurantemente” una mano sul ventre.
Peraltro, c’è da tenere presente che successivamente al quinto mese di gestazione non è solo la madre a poter realizzare “comunicazioni biochimiche” (dall’effetto emozionale) nei confronti del feto, ma che avviene anche il reciproco. Dotato ormai anch’egli di autonoma capacità di prodursi emozioni, anche il feto “comunica biochimicamente” con la madre, mettendo in circolo nell’organismo di lei ormoni specifici prodotti da lui, e aventi in lei un effetto emozionale assolutamente analogo! [6]
Il nostro esempio (banale, se si considera che ogni madre ne può testimoniare centinaia ben più significativi!), evidenzia tuttavia la possibilità di utilizzare la continuità della comunicazione tra madre e feto per operare una vera e propria educazione prenatale.

L’educazione prenatale

Etimologicamente, <<educare>> è “guidare fuori”, e verrebbe da dire che mai come nel tempo nella gestazione, è prevalente nelle future madri la attenzione a ciò che nel frattempo “è dentro”, e che sarà bene che venga guidato fuori nelle migliori condizioni. La consapevolezza di poterlo fare è importante: non è certo più importante ed efficace di un atavico istinto a farlo, (che resta comunque -e meno male!- insopprimibile) … ma siamo della sommessa opinione “che conti” anche una buona consapevolezza relativa a come e cosa si può fare.
Come e cosa si può fare, quindi, prima che il proprio bimbo venga alla luce?

La cura del corpo materno

La consapevolezza che sostanzialmente il feto “vive là dentro”, rende evidente che è senz’altro meglio non intossicare il corpo materno imponendo al nascituro la condivisione della presenza in circolo di alcool o nicotina … o peggio ancora! Si tratta di intossicazioni potenzialmente (ma saremmo indotti a dire certamente) responsabili di gravi danni metabolici che il feto porterà con sé anche nella vita adulta.
Né si tratta “solo” di risparmiare al feto la presenza di qualche agente tossico contingente: si tratta “anche” di evitare che sostanze tossiche di vario genere possano produrre vere e proprie assuefazioni a quelle sostanze, e possano quindi ingenerare nel neonato precocissime crisi di astinenza! [7]
Ciò -naturalmente!- oltre alle conseguenze immediatamente sanitarie, quali infezioni epatiche o renali o patologie di varia natura, di sempre difficile (o inefficace!) contrasto medico.

La cura della “mente” materna

Non ci permettiamo di fare alcun riferimento alla opportunità che nel corso della gravidanza si sospendano eventuali cure farmacologiche specificamente finalizzate al benessere psichico della gestante. In ogni caso è necessario (e di buona prassi consolidata!) che sia il Medico curante a disporre nel merito, e non esprimeremo alcuna nostra opinione inopportuna e incompetente.
La “mente” alla quale facciamo noi riferimento è quella di una gestante che “sta bene” e che -nella accezione che qui abbiamo data di questo termine- vuole “passare” al nascituro ogni cosa che a lui possa far bene.
Abbiano già accennato al fatto che anche solo porre rassicurantemente una mano sul ventre può trasmettere tranquillità al feto che già sente bene il contatto tattile! Abbiamo già accennato anche al fatto che uno stato di rilassamento che la madre induce in sé viene esteso al feto che percepisce il messaggio biochimico di calma e rilassamento che la madre “gli passa”.
Osserviamo ora -e un po’ più approfonditamente- che la tranquillità trasferita dalla madre al feto agisce correttivamente anche sulla risposta allarmata che il feto aveva appena allora data (e che ipotizzavamo relativa a un rumore improvviso). La correzione consiste non solo in un “cessato allarme” immediato, ma coinvolge l’intera associazione tra quel tipo di rumore e la valutazione di “molesto” (o di pericoloso) datane dal feto in piena sua autonomia. Una volta che il feto riceva la informazione che “va tutto bene”, ancora in piena sua autonomia può disconfermare l’esigenza di sobbalzare in presenza di quel rumore. [8]
Può apparire “piccola cosa”, ma non lo è: si tratta, invece, di un vero e proprio processo educativo: di un “guidare fuori” dal nascituro una competenza a riconoscere una qualità di “non molesto” (e non pericoloso) di quel tipo di rumore.
Quella “correzione” -via via che si farà sistematica- produrrà la qualità stabile di aspettativa preliminarmente positiva nei confronti dei “suoni e rumori” ai quali il feto sarà esposto; ciò gli permetterà persino di “farsi un gusto musicale” personale! In ogni caso, la tranquillizzante correzione materna consentirà al feto di valutare autonomamente (e senza affanni emotivi) quale tipo di atteggiamento assumerà nei confronti degli stimoli sonori; la valutazione personale sarà effettuata autonomamente, esclusivamente in dipendenza del tipo di risposta (biochimica ed emotiva) che il feto sentirà prodursi in sé. [9]
Da queste osservazioni emerge che tra gestante e feto -e viceversa!- c’è un rapporto di “scambio di informazioni” che la madre può senz’altro utilizzare per passare informazioni utili per uno sviluppo emozionale già in fase fetale.
Quali informazioni sono più opportune?
Ci sentiamo di poter dare qualche consiglio, pur molto generico.

Qualche “consiglio”

Ogni stato d’animo materno viene comunicato al feto: è allora certamente bene comunicare “pensieri positivi”, che inducano il bimbo in divenire a stati d’animo analogamente “positivi”.
Per la gestante, questo significa evitare di coltivare sentimenti di collera, o violenza e anche di ansia o malinconia.
Diciamo <<coltivare>> perché ci riferiamo a ciò che spesso appare crogiolarsi in quel tipo di pensieri; il nostro sommesso consiglio (e invito) è che anche le reazioni emotive inevitabili in risposta a stimoli sgradevoli vengano “tirate per le corte”, evitando che il messaggio bio-chimico della risposta emotiva materna, possa estendersi al feto che così si troverebbe pre-educato “a farla lunga” a sua volta.
Comunicare “positivamente”, per la gestante significa anche essere capace di tenere corpo e mente rilassati. Qualche facile esercizio di Training Autogeno (che potrà essere appreso in ogni Corso di Preparazione al Parto), sarà utile anche durante il periodo della gestazione, per rilassare corpo e mente di gestante e feto insieme. Anche la “armonia” biologica e la coerenza degli stati psicofisici di madre e feto potranno andare a costituire una pre-educazione a evitare conflitti personali.
Infine -e non certo ultimo per importanza- sarà bene che la gestante costruisca e mantenga intorno a sé un “clima di attesa” sereno, al quale saranno impegnati anche coloro che le sono intorno; è opportuno che ella trasmetta a se stessa e al feto l’informazione che … sta succedendo proprio una bella cosa!
Questo renderà possibile che il bimbo “nasca imparato” a proporsi un atteggiamento che -quanto meno- non escluda pregiudizialmente l’aspettativa che ciò che accade possa andare a finire bene: sarà il più bel regalo che gli si sarà potuto fare, addirittura “prima che tutto cominci”.

NOTE

[1] Il Sistema Nervoso di ogni specie -e quindi anche dell’Uomo- è una struttura corporea che sovrintende allo svolgimento delle funzioni più importanti ai fini della sopravvivenza. Tra queste funzioni c’è anche quel che appare essere il comportamento istintivo: esso -che risulta necessario e salvifico- è già attivo al momento della nascita per effetto di specifiche circuitazioni iscritte nel Sistema Nervoso. Le forme assunte dai Sistemi Nervosi di ciascuna specie si sono costruite per effetto dei rispettivi iter evolutivi e quelle forme -specifiche rispettivamente di ciascuna specie- sono trasmesse geneticamente per via di riproduzione, e sono uguali in tutti gli individui della stessa specie. Producono per questo comportamenti istintivi uguali in tutti gli individui di una stessa specie. Tutto questo, “vale” anche per l’Uomo, intendendosi che “si nasce imparati” (neurologicamente) a tutto ciò che è necessario alla sopravvivenza.

[2] Gli stimoli olfattivi e gustativi della gestante producono nell’organismo di lei -come in quello di tutti!- versamenti di sostanze (neurotrasmettitori e ormoni) che a loro volta generano le risposte biologiche che percepiamo come piacere o disgusto; queste sostanze entrano in circolo anche nell’organismo del feto che prova così le stesse esperienze biologiche “di natura organolettica” di piacere o disgusto provate dalla madre!

[3] Abbiamo già accennato alle sostanze biochimiche del “piacere e disgusto” che trasmettono al feto le stesse risposte appetitive o avversative proprie della madre; ma ciò che “passa” biochimicamente è molto di più.

[4] Le Neuroscienze contemporanee hanno verificato che tutte le emozioni sono veicolate dalla presenza nell’organismo di ormoni e neurotrasmettitori specifici. Per es. l’Adrenalina veicola emozioni di “inquietudine” (che possono andare dalla rabbia alla paura): in questo caso, il feto che abbia condiviso con la gestante la presenza di Adrenalina (prodottasi in lei, ma finita in circolo anche a lui!) non avrebbe potuto sottrarsi alla emozione di “inquietudine”. Allo stesso modo, una gestante che abbia avuto in circolo la Serotonina (che induce emozioni di calma e benessere) avrebbe “passato” al feto sia quell’ormone, sia la specifica emozione da esso indotta. Dal punto di vista del feto, si tratta di un apprendimento biochimico di tipo passivo, ma è possibile che la presenza in circolo di sostanze biochimiche specifiche produca una specifica sensibilità a quelle sostanze; ciò potrebbe avvenire perché -nel Sistema Nervoso del feto, allora in formazione- verrebbe promossa la crescita quantitativa di specifici recettori.
Se (se!) fosse così, si produrrebbe una vera e propria “predisposizione” a provare emozioni di “inquietudine” o “benessere” per effetto della presenza in circolo di quantità anche minime degli ormoni corrispondenti.

[5] Il fatto che il feto sia in grado di percepire -per es.- i suoni (con un suo autonomo apparato acustico!) lo mette nella condizione di apprendere autonomamente che il mondo è rumoroso oppure silenzioso, e che suoni o silenzi possono producono piacere o fastidio. E non è tutto qui: la progressiva autonomia del feto nella percezione dei suoni, gli permette anche di sobbalzare “di suo”, se il suono lo sorprende; il feto -nel quale si sono prodotti centri nervosi specificamente finalizzati a questo- è in grado di valutare autonomamente che il suono sia risultato sgradevole; gli è già possibile provare autonomamente fastidio, persino se, invece, la madre non è stata disturbata più di tanto da quello stesso rumore.

[6] E’ cosi che si spiega la “incrollabile certezza” di ogni gestante di sapere continuativamente “se sta bene o sta male” e persino di “che umore” è il figlio che reca in seno: lo sa veramente perché condivide con lui la emozione che egli prova autonomamente e che le comunica biochimicamente in un moto reciproco di scambio di informazioni dall’effetto emotivo.

[7] E’ semplicemente tristissimo dover constatare che si possa “nascere imparati” alla tossicodipendenza, ma è così! L’effetto della condivisione madre-figlio dei biologismi di ogni genere si estende anche all’assunzione di “sostanze”, e può produrre nel feto (e nel nascituro poi!) tutte le stesse conseguenze biochimiche. Ci sentiamo di dire che è necessaria un’assoluta astensione.

[8] Ci consentiamo un commento scherzoso: in assenza di questa “correzione”, sarebbe comunque difficile che il feto non sobbalzasse ogni volta che la madre -amante della musica- si ponesse all’ascolto di qualche brano musicale che iniziasse con sonorità particolarmente “fragorose”. Né parliamo di “metallari”: il feto sobbalzerebbe anche per molte overtoures di Mozart!

[9] Negli ultimi decenni, una sorta di “libertarismo pedagogico” ha reso difficile parlare di <<educazione>> senza doversi sottrarre al sospetto che si stia parlando, invece, di “indottrinamento” o “condizionamento”. Si tratta di un malintendimento che considera equivalente l’impegno di “guidare fuori” il meglio e un presunto “porre autoritariamente dentro”, ma qui ed ora non abbiamo lo spazio di esporre la differenza … ammesso che ci sia chi non la vede da sé!
Ad ogni modo, ci piace “rassicurare” nel merito del fatto che il feto può scegliere autonomamente se -diciamo così- farsi piacere i brani mozartiani o “metallari”, perché egli feto -dal momento che ha certamente la capacità di prodursi emozioni autonome da quelle materne- risponde esclusivamente a quelle che sono le risposte emozionali sue proprie. Nello scherzoso esempio da noi proposto, la “tranquillizzazione” della madre otterrà che il bimbo possa non sobbalzare all’irrompere della musica … ma non potrà condizionarlo autoritariamente: se il bimbo “nascerà imparato” mozartiano o metallaro, dipenderà solo da lui!

 

 PSICOLOGIA PRENATALE 3°

  Secondo le organizzazioni LGBT ed anche diversi psicologi alla moda, un nucleo familiare composto da persone dello stesso sesso offre le stesse opportunità di crescita e sviluppo equilibrato per i figli di quelle offerte da una “tradizionale” famiglia eterosessuale. Si tratta di affermazioni effettuate per lo più sulla base di studi parziali e carenti da un punto di vista sperimentale e metodologico, quando non viziati da un evidente pregiudizio come spesso messo in evidenza da altri autori (Rosenfeld 2010, Schumm 2010a, Schumm 2010b, Marks 2012)
Gli studi di neurobiologia invece forniscono indicazioni di tutt’altro avviso. Queste ricerche hanno il vantaggio di essere basate su disegni sperimentali molto più solidi e difficilmente sono influenzate dall’orientamento ideologico e culturale degli autori.
E’ ormai chiaro che il periodo perinatale, l’infanzia e l’adolescenza sono fasi della vita caratterizzate da una elevata neuro-plasticità che rendono il cervello particolarmente sensibile a rimodulazioni indotte dai fattori ambientali. L’esposizione ad avversità come lo stress o la deprivazione materna possono indurre cambiamenti persistenti di tipo neuroendocrino, comportamentale e metabolico. Si tratta di effetti che possono essere ritenuti adattativi verso situazioni sfavorevoli. Tuttavia questi adattamenti sono spesso di tipo maladattativo e determinano un aumento della suscettibilità dell’individuo a patologie di tipo cardiovascolare, sindromi metaboliche, problemi di tipo cognitivo e disordini affettivi.
Gran parte degli studi si sono concentrati sull’interazione madre-bambino, mettendo in evidenza che durante il periodo post-natale, la mancanza di cure materne nella forma di deprivazione o di un prolungata separazione fra madre e bambino possono avere conseguenze di lungo termine che riguardano la reattività allo stress del sistema ipotalamico-pituitario-adrenalinico (HPA). Recentemente molte ricerche hanno messo in evidenza come anche la figura paterna sia di grande importanza per lo sviluppo equilibrato della prole sia attraverso le cure dirette che questo può fornire sia influenzando la qualità delle interazioni fra madre e bambino. Di grande interesse è al riguardo lo studio di Bambico et al. 2013 compiuto su una specie di topi monogami caratterizzata da cure bi-parentali. E’ stato osservato che la deprivazione paterna comporta anomalie e disturbi neurologici misurabili.
Ancora di maggiore interesse (e preoccupazione) è il fatto che questo tipo di disordini indotti dalla rottura o dalla mancanza del rapporto madre-figlio e/o padre-figlio potrebbero essere trasmessi anche alle successive generazioni attraverso meccanismi di tipo epigenetico* (Maccari et al. 2013, Braun et al. 2014).
Da queste indicazioni appare evidente che l’adozione omosessuale e/o da parte di single o peggio le pratiche di utero in affitto e fecondazione eterologa praticate dallo stesso tipo di soggetti dovrebbero essere valutate molto attentamente in quanto espongono i bambini a gravi rischi di natura sanitaria e psicologica che potrebbero addirittura riguardare anche le generazioni successive.

*epigenetica: branca della genetica che studia tutte le modificazioni ereditabili che variano l’espressione genica pur non alterando la sequenza del DNA, e quindi i fenomeni ereditari in cui il fenotipo è determinato non tanto dal genotipo ereditato in sé, quanto dalla sovrapposizione al genotipo stesso di “un’impronta” che ne influenza il comportamento funzionale. 

 

 PSICOLOGIA PRENATALE 4°

 

LA DIADE MADRE-BAMBINO


“La “diade” madre-bambino è una espressione del dottor Berge. Questa diade esiste, essa caratterizza la realtà dell’epoca in cui il lattante non può essere separato dalla madre senza pericolo di provocare in lui una rottura esistenziale : dall’autismo al vero e proprio suicidio.” “Si tratta di uno stato detto FUSIONALE, di fusione cioè tra l’organismo del bambino e l’organismo della madre, e la rottura di questo stato, o anche solo la… sua sospensione prolungata, provoca effetti che possono anche non essere evidenti a breve scadenza, ma che risultano indelebili a lunga scadenza. Le tracce di queste rotture precoci e i loro effetti affiorano nelle psicoanalisi di adulti come altrettante tappe pericolosissime vissute dopo la nascita “

 

Bibliografia : F. Dolto “Le cas d’Agnés: à quelques jours, perte de l’image du corps olfactive: se laisse mourir” in “L’image incosciente du corp”….e “Le cas de Sébastien: une entrée dans l’autisme à cinq mois”…ed. du Seuil

 

 PSICOLOGIA PRENATALE 5

 

 L’approccio etologico nella teoria dell’attaccamento  

 

Nel 1951 Bowlby venne a conoscenza del lavoro di Konrad Lorenz sull’ imprinting che evidenziava che in alcune specie animali il comportamento d’attaccamento, cioè un forte legame nei confronti di una specifica figura materna, può svilupparsi senza che il giovane animale riceva cibo; negli anni successivi Bowlby sviluppa una teoria che ritiene possa contenere tutti quei fenomeni studiati dalla psicoanalisi come le relazioni d’amore, l’angoscia di separazione, il lutto, la difesa, la collera, la colpa, la depressione, il trauma, il distacco emotivo, i primi anni di vita; secondo Bowlby il legame del bambino con la madre è il prodotto di un preciso ed in parte preprogrammato sistema di schemi comportamentali che normalmente si sviluppano durante i primi mesi di vita e che hanno come risultato prevedibile di mantenere il bambino in prossimità della madre.

 

    L’approccio etologico nella teoria dell’attaccamento

 

Nel 1951 Bowlby venne a conoscenza del lavoro di Konrad  Lorenz sull’ imprinting che evidenziava che in alcune specie animali il comportamento d’attaccamento, cioè un forte legame nei confronti di una specifica figura materna, può svilupparsi senza che il giovane animale riceva cibo (Bowlby, 1969).

La lettura dei dati di Lorenz, confermati attraverso ripetuti esperimenti, rivelò a Bowlby  “un nuovo universo, in cui scienziati di grande calibro stavano studiando le specie non umane, indagando su molti dei problemi che noi stavamo affrontando nello studio della specie umana, in particolare investigando su quella relazione relativamente durevole che in molte specie si stabilisce dapprima tra i piccoli e i loro genitori e più tardi tra coppie di compagni, e sulle cause che possono incrinare questa relazione” (Bowlby, 1988, p.23).

Negli anni che seguirono Bowlby approfondì i concetti base dell’etologia con l’aiuto di Robert Hinde studiando le possibili connessioni con la specie umana; un obiettivo fondamentale era comprendere la natura del legame che il bambino sviluppa nei confronti della madre per comprendere la reazione del bambino alla separazione o alla perdita della figura materna (Bowlby, 1969).

Nel 1957 venne presentato alla British Psychoanalitic Society il primo di tre lavori  The nature of the child’s tie to his mother , che costituisce la prima formulazione della teoria dell’attaccamento e che utilizza in larga misura concetti tratti dall’etologia.

In questa prima versione della teoria vengono descritti cinque modelli di comportamento che contribuiscono all’attaccamento (il succhiare, l’aggrapparsi, il seguire, il piangere e il sorridere) e che si .organizzano focalizzandosi su una specifica figura materna durante la seconda metà del primo anno; Bowlby rivisita l’eredità di Freud ma confuta la teoria della pulsione secondaria che spiega il legame che il bambino ha con la madre con il soddisfacimento,  da parte di quest’ultima, delle esigenze fisiologiche del bambino (Bowlby, 1969, 1988; Bretherton, 1991); a partire da quel primo lavoro, rivista anche l’alternativa kleiniana riguardo al legame madre-bambino, Bowlby elabora sempre più compiutamente la sua teoria.

In  Attachment and Loss (1969) è ormai definito uno schema concettuale che può, secondo Bowlby,  rappresentare un’alternativa alla classica metapsicologia, in grado di contenere tutti quei fenomeni studiati dalla psicoanalisi come le relazioni d’amore, l’angoscia di separazione, il lutto, la difesa, la collera, la colpa, la depressione, il trauma, il distacco emotivo, i primi anni di vita (Bowlby, 1988).

In questo lavoro è ampiamente sviluppata l’ipotesi di Bowlby che si basa sulla teoria del comportamento istintivo: il legame del bambino con la madre è il prodotto di un preciso ed in parte preprogrammato sistema di schemi comportamentali che normalmente si sviluppano durante i primi mesi di vita e che hanno come risultato prevedibile di mantenere il bambino in prossimità della madre; la versione della teoria proposta  nel lavoro del 1957 che descriveva i cinque modelli comportamentali, considerata  una teoria delle risposte istintuali parziali, viene in questo lavoro successivo sviluppata alla luce di una migliore comprensione dei sistemi di controllo: in questa teoria aggiornata i cinque modelli di comportamento vengono incorporati tra i nove e i diciotto mesi di vita del bambino  in sistemi più complessi organizzati ed attivati secondo un fine stabilito, mantenere la vicinanza con la madre.  

 

 BIBLIOGRAFIA:
–Bowlby J. (1969) Attachment and Loss, vol. 1: Attachment, Basic Books, New York  (trad.it.: Attaccamento e perdita, vol. 1: L’attaccamento alla madre, Bollati Boringhieri, Torino, 1972);

 

–Bowlby J. (1988) A Secure Base, Routledge, London (trad. it.: Una base sicura. Applicazioni cliniche della teoria dell’attaccamento, Raffaello Cortina, Milano, 1989);

 

–Bretherton I. (1991) Le origini e gli sviluppi della teoria dell’attaccamento, in Attachment across the life cycle, Tavistock/Routledge (trad.it.: in C.M. Parkes, J. Stevenson-Hinde, P. Marris (a cura di) L’attaccamento nel ciclo della vita, Il Pensiero  Scientifico, Roma, 1995).

 

 
                                             Massimo Guido
                              Medico Psichiatra Az. U.S.L. Roma F

                                      Psicologo Clinico
                                      Psicoanalista Società Psicoanalitica italiana

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

PSICOLOGIA PRENATALEultima modifica: 2015-03-06T12:44:15+01:00da allan11
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