STUDI SCIENTIFICI SULLA PATOLOGIA OMOGENITORIALE

Nel gennaio 2013 la Prima sezione civile della Cassazione ha sostenuto che si tratta di un «mero pregiudizio» affermare che sia «dannoso per l’equilibrato sviluppo del bambino il fatto di vivere in una famiglia incentrata su una coppia omosessuale», in quanto «non sono poste certezze scientifiche o dati di espe…rienza».
Seppur riferita ad un caso specifico (si è scelto il male minore rispetto ad un padre violento), in molti hanno visto in tale dichiarazione la prima apertura in Italia all’adozione da parte di persone dello stesso sesso. Sorprende la poca conoscenza della tematica da parte dei giudici, i quali hanno liquidato come “pregiudizio” una consistente mole di dati scientifici prodotti fino a oggi, contrari alla loro posizione. In questo dossier, in continuo aggiornamento, elenchiamo dunque in ordine cronologico la letteratura scientifica e autorevoli pronunciamenti su questa tematica, i quali dovrebbero convincere che la difesa della famiglia naturale non si basa affatto su un “pregiudizio”, ma su un “giudizio” fondato su basi razionali medico-scientifiche.
INDICE
1. Premessa
2. Situazione generale
3. Elenco degli studi scientifici
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1. PREMESSA
Nel trattare di situazioni delicate come l’orientamento sessuale, soprattutto quando si intrecciano a situazioni biologicamente anomale e discusse come la questione dell’affido di minori a persone omosessuali, una premessa può essere doverosa. Molti media sono un po’ troppo sbrigativi nel bollare come “omofobo” o “bigotto anti-gay” (o aprioristico, o dogmatico, o reazionario o retrogado) qualunque parere o studio che invece ha la prudenza di fermarsi a considerare davvero come stanno le cose. La ricerca della verità -anche quando è scomoda- è l’anima dell’indagine scientifica, essa non odia nessuno, non intende discriminare nessuno. Su questa delicata tematica al centro dev’esserci sempre l’interesse del bambino e non il (legittimo) desiderio di genitorialità degli omosessuali: vincere una battaglia politica, avere i media dalla propria parte, essere sostenuti “dal popolo della rete” non significa avere ragione. Troppe persone sono ferocemente impegnate a combattere i cattolici, rischiando di perdere di vista il nocciolo della questione: il vero interesse del bambino. Come ricordava il sapiente G.K. Chesterton: «Uomini che cominciano a combattere la Chiesa per amore della libertà e dell’umanità, finiscono per combattere anche la libertà e l’umanità pur di combattere la Chiesa».
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2. SITUAZIONE GENERALE
Le principali associazioni scientifiche mondiali hanno assunto una posizione favorevole o neutrale circa l’adozione da parte di figli da parte di coppie omosessuali. Tuttavia, almeno per quanto riguarda la più influente -l’American Psychological Association (APA)- alcuni ex presidenti hanno affermato che tale posizione sia tutt’altro che basata su evidenze empiriche: «l’APA», ha spiegato Nicholas Cummings, ex presidente APA, professore emerito di Psicologia presso l’Università del Nevada, «ha permesso che la correttezza politica trionfasse sulla scienza, sulla conoscenza clinica e sull’integrità professionale. Le persone non possono più fidarsi della psicologia organizzata per parlare di prove, piuttosto ci si deve basare per quel che riguarda l’essere politicamente corretti. Al momento la governance dell’APA è investita da un gruppo elitario di 200 psicologi che si scambiano le varie sedi, commissioni, comitati, e il Consiglio dei Rappresentanti». Ricordiamo che la principale ricercatrice dell’American Psychological Association che si occupa dei pronunciamenti ufficiali circa l’omosessualità, è Charlotte Patterson, lesbica, convivente e attivista LGBT.
Nonostante queste prese di posizione “politicamente corrette”, numerosi studiosi continuano a sottolineare come la vulgata della “no differences” (“nessuna differenza”) tra figli di coppie omosessuali ed eterosessuali, sia fondata su basi empiriche inesistenti o deboli, al contrario della stabilità di evidenze scientifiche che mostrano come il luogo ideale per la crescita di un bambino sia la famiglia formata da madre e padre biologici, meglio se sposati.
In particolare è stato fatto notare (vedi anche la voce creata su Cathopedia) che: a) in diversi studi i campioni di soggetti esaminati non sono adeguatamente selezionati e randomizzati, ad esempio quelli in cui il campione di analisi si propone in modo volontario; b) in molti studi il ridotto numero di figli di omosessuali esaminati non è rappresentativo (quasi sempre sotto le 40 unità); c) vi sono importanti difficoltà di esame a causa del numero ridotto del fenomeno e della sua dispersione geografica; d) la quasi totalità degli studi “neutrali” riguarda “famiglie” omosessuali femminili, dove il figlio è cresciuto inizialmente in una normale famiglia eterosessuale; e) gli studi ad intervista risultano in genere poco affidabili in quanto osservazioni qualitative-soggettive possono raccogliere alterazioni derivanti da desiderabilità sociale; f) una nuova elaborazione dei dati raccolti da alcuni dei primi studi porta a risultati diversi, e non è possibile distinguere se si tratti di errori statistici o di alterazioni volontarie dei ricercatori.
In definitiva, è condivisibile la constatazione di R. Schumm (2010) circa l’esistenza di un bias pro-omosessuale in molte ricerche al riguardo.
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3. ELENCO DEGLI STUDI SCIENTIFICI
Nel maggio 2013 la rivista “Early Children Develop­ment and Care” ha dedicato sette articoli alla figura del padre e del suo contributo allo sviluppo mentale del bam­bino. Viene confermato che padre e madre so­no ugualmente importanti per il figlio ed insostituibili poiché ognuno ha un suo ruolo indispensabile per l’equilibrio psicofisico del bambino. Nell’edi­toriale si ricorda che i figli di genitori con ruoli madre-padre differenziati «hanno capacità sociali più sviluppate e sono più pronti alla competizione» rispetto ai figli di genitori con ruoli non differenti. Inoltre, viene affermato, «i padri sembrano giocare un ruo­lo maggiore nel processo di apertura dei figli al mondo esterno che è legato allo sviluppo dell’autonomia e alla ca­pacità di affrontare i rischi». Invece, «le madri attribuiscono maggior valore al lavoro in casa, al supporto e­motivo per i figli e all’educazione ses­suale».
Nel novembre 2012 uno studio pubblicato su Demography ha mostrato forti limitazioni nell’interpretazione di uno studio precedente (Rosenfeld 2010) e utilizzando lo stesso insieme di dati di tale indagine, si è verificato che rispetto a quanto accade nelle tradizionali famiglie sposate, i bambini allevati da coppie dello stesso sesso presentano il 35% in meno di probabilità di progredire attraverso un percorso scolastico normale. Ha inoltre rilevato che «quasi nessuna delle ricerche che utilizzano campioni rappresentativi a livello nazionale ha incluso genitori dello stesso sesso come parte dell’analisi»
Nell’agosto 2012 uno studio su Child Development ha mostrato la fondamentale importanza della figura paterna nello sviluppo dell’adolescente, evidenziando il fatto che più tempo trascorre con il padre e maggiore sarà l’autostima del ragazzo, e migliori saranno le sue abilità sociali.
Nel luglio 2012, su Social Science Research Loren Marks della Louisiana State University ha mostrato l’infondatezza della posizione “possibilista” dell’American Psychological Association (APA), secondo la quale i figli di genitori gay o lesbiche non sarebbero svantaggiati rispetto a quelli di coppie eteorsessuali. Lo scienziato ha analizzato i 59 studi citati dall’APA per sostenere la propria tesi, dimostrandone l’inaffidabilità dal punto di vista scientifico e attestando notevoli differenze sussistenti tra figli adottati da coppie gay conviventi e figli naturali di coppie eterosessuali
Sempre nel luglio 2012 il sociologo Mark Regnerus dell’Università del Texas, basandosi sul più grande campione rappresentativo casuale a livello nazionale, ha pubblicato uno studio su Social Science Research con il quale, interrogando direttamente i “figli” (ormai cresciuti) di genitori omosessuali, ha dimostrato un significativo aumento di problematiche psico-fisiche rispetto ai figli di coppie eterosessuali. Lo studio ha ricevuto numerose critiche su alcuni quotidiani internazionali da parte di alcune fazioni di parte (come associazioni gay, militanti e anche scienziati ecc.) ma avendo superato la revisione anonima in peer-review lo studio può essere confutato soltanto attraverso una pubblicazione a sua volta pubblicata su una rivista scientifica di pari livello. Dall’altra parte l’indagine ha trovato il sostegno di un gruppo di 18 scienziati e docenti universitari attraverso un comunicato pubblicato sul sito della Baylor University. In ogni caso, l’Università del Texas ha comunque avviato un’indagine interna per analizzare nuovamente lo studio di Regnerus, pubblicando un comunicato finale con il quale si rileva che «nessuna indagine formale può essere giustificata sulle accuse di cattiva condotta scientifica», dato che «non ci sono prove sufficienti per giustificare un’inchiesta». L’indagine interna ha riconosciuto la legittimità del lavoro e la fedeltà al protocollo seguita dalla metodologia utilizzata. Occorre infine ricordare che, come accade in tutti gli studi scientifici, anche in quello di Regnerus esistono delle imprecisioni e lo stesso sociologo lo ha tranquillamente ammesso. Tuttavia questa ammissione è stata divulgata come un riconoscimento da parte dello studioso dell’inattendibilità del suo lavoro, ma in realtà egli ha semplicemente affermato: «Io ho parlato di “madri lesbiche” e “padri gay”, quando in realtà, non conoscevo il loro orientamento sessuale, conoscevo solo il loro comportamento di relazione omosessuale. Ma per quanto riguarda gli stessi risultati, io li confermo». L’importanza e la diffusione di questo studio nel campo scientifico è stata mostrata nelle dichiarazioni di Pietro Zocconali, presidente dell’Associazione Nazionale Sociologi (ANS) e di Antonio Marziale, presidente dell’Osservatorio per i Diritti dei minori e consulente della Commissione parlamentare per l’Infanzia, i quali hanno entrambi fatto riferimento a tale indagine.
Ancora nel luglio 2012 Daniel Potter dell’American Institutes for Research ha pubblicato sul Journal of Marriage and Family uno studio con il quale si è concentrato sui bambini cresciuti all’interno di relazioni dello stesso sesso, paragonandoli a quelli cresciuti con genitori di sesso opposto. Ha sottolineato come la ricerca mostri chiaramente che «i bambini cresciuti in famiglie tradizionali (vale a dire, con i due genitori biologici sposati) tendono a fare meglio dei loro coetanei cresciuti in famiglie non tradizionali».
Nel marzo 2012 l’American College of Pediatricians ha preso posizione su questa tematica affermando: «i bambini allevati da due individui dello stesso sesso crescono in modo adeguato come i bambini allevati in famiglie con una madre e un padre? Fino a poco tempo la risposta univoca a questa domanda è stata “no”. Nell’ultimo decennio, tuttavia, organizzazioni sanitarie professionali, accademici, politici e mezzi di comunicazione hanno affermando che i divieti di genitorialità verso le coppie dello stesso sesso debbano essere tolte. Nel prendere questa decisione di tale portata, qualsiasi sostenitore responsabile dovrebbe basarsi su elementi di prova completi e conclusivi. Ma non solo non è questa la situazione, ma esistono al contrario prove tangibili che i bambini esposti allo stile di vita omosessuale possono avere un rischio aumentato di danno emotivo, mentale e anche fisico». Si è concluso quindi: «, l’American College of Pediatricians ritiene inopportuno, potenzialmente pericoloso e pericolosamente irresponsabile, per i bambini, annullare il divieto di adozione per i genitori dello stesso sesso. Questa posizione è radicata sulle migliori conoscenze scientifiche disponibili».
Nel marzo 2012 su Hormones and Behavior lo studio di Ruth Feldman intitolato “Oxytocin and social affiliation in humans” ha confermato, dal punto di vista psico-sociale dello sviluppo dei bambini, il beneficio della complementarità di una famiglia intatta, formata da una madre e da un padre, situazione ottimale per un sano sviluppo del bambino. Lo studio in particolare fa notare la differenza dei ruoli delle madri e dei padri, l’importanza di queste differenze per lo sviluppo umano, suggerendo che i sistemi umani dell’ossitocina possono spiegare le diverse e complementari funzioni materne e paterne» (pag. 380-391)
Nel dicembre 2011 su Archives of Sexual Behavior uno studio ha mostrato che le figlie 17enni di madri lesbiche, concepite mediante inseminazione artificale, sono più propense a segnalare a loro volta un comportamento omosessuale e ad identificarsi come bisessuali, rispetto alle figlie di genitori eterosessuali.
Nell’ottobre 2011 uno studio realizzato dal Melbourne Institute of Applied Economic and Social Research presso l’Università di Melbourne, ha scoperto che i ragazzi adolescenti (meno per le femmine) che hanno una figura paterna presente nella loro vita hanno significativamente meno probabilità di impegnarsi in successivi comportamenti delinquenziali rispetto ai loro coetanei orfani o senza padre. «Il senso di sicurezza generato dalla presenza di un modello di ruolo maschile in un giovane un effetto protettivo per un bambino, indipendentemente dal grado di interazione tra il bambino e il padre», ha detto il professor Deborah Cobb-Clark, direttore del Melbourne Institute e autore principale dello studio. Dunque è importante anche solo la presenza, senza valutare la qualità di questa figura. «I padri offrono ai bambini modelli di ruolo maschile e possono influenzare le preferenze dei bambini, valori e atteggiamenti, dando loro un senso di sicurezza e rafforzano la loro autostima», ha continuato. In particolare, lo studio ha rilevato che ogni forma di comportamento delinquenziale è stato ridotto di 7,6 punti percentuali per i ragazzi che vivevano con i loro padri biologici, e di 5 punti percentuali per quelli che vivono con il loro padre non biologico. «I padri sono associati ad una riduzione particolarmente grande di incidenza in comportamenti violenti e la lotta tra gang di ragazzi adolescenti»
Nell’agosto 2011 sul Canadian Journal of Behavioural Science uno studio a lungo termine ha esaminato come i padri contribuiscono a rendere i loro figli più intelligenti e meglio controllabili. La situazione muta notevolmente nei bambini con i padri assenti.
Il 29 agosto 2011 su The Australian viene citato il pensiero di David Blankenhorn, sostenitore dei diritti dei gay negli Stati Uniti, il quale riconosce: «Il matrimonio è fondamentalmente per i bisogni dei bambini. Ridefinire il matrimonio per includere le coppie gay e lesbiche eliminerebbe del tutto questo diritto, e indebolirebbe ancora di più nella cultura l’idea di base di una madre e un padre per ogni bambino».
Nel maggio 2011 lo psicoanalista Claudio Risé, sociologo e già docente di Psicologia dell’Educazione all’Università di Milano ha spiegato: «in assenza del genitore del proprio sesso, sarà molto difficile per quel bambino sviluppare la propria identità psicologica corrispondente. La psiche maschile e quella femminile sono molto diverse e l’identità complessiva si forma anche a partire dalla propria identità sessuale. Nel caso di maternità surrogata, lo sviluppo psicologico, affettivo, cognitivo di una bimba con due genitori di sesso maschile sarebbe in forte difficoltà: avrebbe problemi nel riconoscersi nel proprio sesso. Lo stesso accade al piccolo maschio […]. La vita umana è inscritta in due ordini: il dato naturale, biologico, e quello simbolico che il bambino ha iscritto nella propria psiche, conscia e inconscia. Entrambi presiedono allo sviluppo, alla manifestazione di una capacità progettuale, alla crescita di un’affettività equilibrata. Il padre è un individuo di genere maschile che ha scritto nel suo patrimonio genetico, antropologico, affettivo e simbolico la storia del proprio genere. Proprio perché è un maschio e non è una donna, non può avere né il sapere naturale profondo, né quello simbolico materno. I due codici simbolici, paterno e materno, sono molto diversi: la madre è colei che soddisfa i bisogni, il padre è colui che dà luogo al movimento e propone il limite: indica la direzione e stabilisce dove non si può andare».
Nel marzo 2011 sono apparsi i risultati di uno studio condotto dall’Istituto di ricerche economiche e sociali (ISER) dell’Università di Essex, Regno Unito. Dopo aver utilizzato un campione di 11.825 adulti e 1.268 giovani (età 10-15) è stato valutato il grado di felicità dei bambini nelle famiglie con alto e basso reddito verificando che l’influenza maggiore sulla felicità di un bambino è se esso vive con entrambi i genitori -maschio e femmina- e dal rapporto che hanno con essi, in particolare la loro madre.
Nel 2010 uno studio pubblicato su Marriage & Family Review ha esaminato la letteratura scientifica precedente mostra che essa «suggerisce maggiore conoscenza circa la stabilità delle relazioni omosessuali (lesbiche) di quanto precedentemente sospettato e che, in media, tali rapporti tendono ad essere meno stabili di quelli dei genitori eterosessuali sposati».
Nel 2010 sulla base del censimento USA del 2001, lo studio con conclusioni “no differences” di Rosenfeld (2010) ha esaminato (su oltre 700.000 casi) quanti ragazzi sono stati bocciati a scuola a seconda del nucleo famigliare: 6,8% i figli naturali di coppie eterosessuali, 9,5 e 9,7% i figli di coppie lesbiche e gay. A parità di fattori (reddito, residenza…) la probabilità è non statisticamente significativa, 7,94% (etero) e 9,07% (omo). L’interpretazione è stata messa in forte dubbio in quanto è stato fatto notare che tale divario non può risultare ai ricercatori come “non significativo”
Nel settembre 2010 su Archives of Sexual Behavior gli studiosi hanno mostrato che gli adolescenti cresciuti in famiglie lesbiche hanno meno probabilità di essere vittime di un altro genitore (la pedofilia è un fenomeno prevalentemente maschile) ma maggiore probabilità (le femmine) di essere a loro volta omosessuali o identificarsi come bisessuali (circa +200%), mentre i maschi sono meno predisposti a relazioni eterosessuali (-35%). Le ragazze mostrano anche un minore ricorso a protezioni contraccettive durante i rapporti sessuali (-35%), e sebbene questo non sia correlato a un aumento di rischio di malattie veneree, implica un maggiore ricorso alla pillola del giorno dopo (+560%).
Nel luglio 2010 sul Journal of Biosocial Science uno studio ha mostrato che «l’ipotesi che i genitori gay e lesbiche avrebbero più probabilità di avere figli gay, lesbiche, bisessuali o dall’incerto orientamento sessuale è confermata». La percentuale di bambini di genitori gay e lesbiche che hanno adottato un’identità non-eterosessuali a distanza di tempo è tra il 16% e il 57%.
Nel 2009 su Psychological Reports una revisione di 9 studi ha dimostrato che i bambini cresciuti con genitori gay erano (a) più propensi ad adottare interessi e attività omosessuali, (b) più propensi a segnalare confusione sessuale, (c) più suscettibili ad essere socialmente disturbati, (d) più propensi all’abuso di sostanze, (e) meno propensi a sposarsi, (f) più inclini ad avere difficoltà nelle relazioni d’amore, (g) meno religiosi e più non convenzionalmente religiosi, (h) più inclini ad avere difficoltà emotive, (i) più probabilità di essere esposti a molestie da parte dei genitori, e (j) più inclini al tradimento.
Sempre nel 2009 lo piscologo Trayce Hansen ha spiegato che la tesi per cui l’amore sia l’unica cosa di cui necessitano i bambini, al di là che venga da genitori etero o dello stesso sesso, «e tutto ciò che ne deriva, è falsa. Perché l’amore non è abbastanza! I bambini crescono meglio se allevati da una madre e un padre sposati. E’ in questo ambiente che essi hanno più probabilità di essere esposti alle esperienze emotive e psicologiche di cui hanno bisogno per crescere. Uomini e donne portano la diversità nella genitorialità; ciascuno da un contributo prezioso per l’allevamento dei figli che non può essere replicato dagli altri: madri e padri semplicemente non sono intercambiabili, due donne possono essere entrambe buone madri, ma non possono essere un buon padre. L’amore materno e quello paterno, anche se ugualmente importanti, sono qualitativamente diversi: ciascuna di queste forme di amore senza l’altra può essere problematica, perché ciò che un bambino ha bisogno è l’equilibrio complementare che i due tipi di amore dei genitori forniscono. In secondo luogo, i bambini progrediscono attraverso stadi di sviluppo prevedibili e necessari ed alcune fasi richiedono maggiormente il supporto della madre, mentre altre richiedono più la presenza di un padre. In terzo luogo, i ragazzi e le ragazze hanno bisogno di genitori di sesso opposto per essere aiutarli a moderare le proprie inclinazioni di genere. In quarto luogo, il matrimonio omosessuale aumenta la confusione sessuale e la sperimentazione sessuale da parte dei giovani: il messaggio implicito ed esplicito del matrimonio omosessuale è che tutte le scelte sono ugualmente accettabili e desiderabili. E quinto, se la società permette il matrimonio omosessuale dovrà anche permettere altri tipi di matrimonio. La logica giuridica è semplice: se non si vieta il matrimonio omosessuale per discriminazione, allora il divieto del matrimonio poligamo o di qualsiasi altro raggruppamento civile sarà anch’esso considerato discriminatorio. La saggezza accumulata di oltre 5.000 anni è giunta alla conclusione che la configurazione ideale coniugale e parentale è composta da un uomo e una donna: il matrimonio omosessuale sicuramente non è nel migliore interesse dei bambini».
Nel 2009 su Psychological Reports uno studio ha mostrato che in diversi studi sulla genitorialità gay, «taluni risultati potenzialmente negativi possono essere stati oscurati da effetti soppressori». Tuttavia, si prosegue, «le differenze sono state osservate, tra cui alcune prove in dissertazioni più recenti, le quali suggeriscono che l’orientamento sessuale dei genitori potrebbe essere associato con l’orientamento sessuale dei bambini in seguito all’emulazione e l’attaccamento all’adulto». Si conclude quindi che «la più recente ricerca sulla genitorialità gay continua ad essere viziata da molte delle stesse limitazioni delle ricerche precedenti in questo settore di studi, compresi gli effetti soppressori trascurati».
Nel novembre 2009 sull’American Psychologist è stata pubblicata una ricerca di Charlotte J. Patterson nella quale si conclude che i risultati «non forniscono alcuna garanzia per la discriminazione legale contro» le famiglie omosessuali in quanto i bambini si svilupperebbero in modo simile a quelli nelle coppie eterosessuali. E’ stato fatto notare in seguito che la Patterson è un’attivista omosessuale, convivente con tre bambini e ricercatrice di riferimento su questo tema dell’American Psychological Association. Nel suo studio ha riconosciuto che «la ricerca sui genitori gay e lesbiche e i loro figli è ancora molto nuova e sono relativamente scarsi gli studi longitudinali che seguono famiglie di gay e lesbiche nel tempo». Tuttavia la sua stessa indagine presenta numerosi difetti di campionamento, oltre al fatto che 44 bambini -come da lei utilizzati- non possono essere rappresentativi. In passato, dopo un’analisi dei suoi studi da parte di un tribunale della Florida, la Corte ha concluso che «l’imparzialità della Dr. Patterson è venuta in discussione quando prima del processo si è rifiutata di consegnare ai suoi legali le copie della documentazione da lei utilizzata negli studi. Questa corte le aveva ordinato di farlo ma lei ha unilateralmente rifiutato, nonostante i continui sforzi da parte dei suoi avvocati di raggiungere tale scopo. Entrambe le parti hanno stabilito che il comportamento della dott.essa Patterson è una chiara violazione dell’ordine di questa Corte. La dott.ssa Patterson ha testimoniato la propria condizione lesbica e l’imputata ha sostenuto che la sua ricerca era probabilmente viziata dall’utilizzo di amici come soggetti per la sua ricerca. Tale ipotesi ha acquisito ancora più credito in virtù della sua riluttanza a fornire i documenti ordinati»
Nel 2007 su Perspectives on Psychological Science sono stati pubblicati i risultati di studi tra donne omosessuali tra i 16 e i 23 anni, le quali, nel corso di 10 anni, per due terzi avevano cambiato la loro etichetta sessuale (“omosessuale”, “eterosessuale”, “bisessuale”) almeno una volta, e un quarto di esse aveva cambiato la propria identità sessuale più di una volta, mostrando dunque parecchia confusione e incertezza d’indentità.
Nel febbraio 2006 sul Journal of Family Issuses, lo studio “The ParentChild Relationship and Opportunities for Adolescents’ First Sex”, realizzato da Mark D. Regnerus e Laura B. Luchies, basandosi su 2000 adolescenti ha notato che la relazione padre-figlia, più che quella madre-figlia, è risultata essere un fatto fondamentale durante la transizione dell’adolescente alla fase della attività sessuale
Nel maggio 2006 uno ricerca sul Journal of biosociali Science ha chiaramente evidenziato che l’orientamento omosessuale dei genitori influenzava significativamente quello dei figli.
Nel 2006 i ricercatori Gunnar Anderson et al., nello studio intitolato “The Demographics of Same-Sex Marriages In Norway and Sweden”, pubblicato su Demography hanno rilevato che il rischio di divorzio è maggiore nei matrimoni dello stesso sesso. Non è stata rilevata, inoltre, nessuna variazione sulla notevole instabilità nel corso tempo, anche in funzione della nuova legge. Gli autori hanno stimato in particolare che in Svezia il 30% dei matrimoni femminili rischiano di finire in divorzio entro 6 anni, rispetto al 20% dei i matrimoni di sesso maschile e il 13% di quelli eterosessuali (pp. 76-89)
Nel novembre 2005 il presidente della Asociación Española de Pediatría (AEP), dott. Alfonso Delgado Rubio, ha affermato che l’adozione di bambini da parte di coppie omosessuali «non è la situazione ideale» per la loro crescita. Al contrario, «avere un padre e una madre è la situazione naturale e logica». L’opzione successiva, secondo i pediatri spagnoli, è l’adozione da parte di una donna o di un uomo single e senza un partner, anche se nemmeno questa può essere ritenuta una “situazione ideale”.
Nell’aprile 2005 uno studio su su Psychological Reports ha rilevato che il 50% degli abusi su bambini in adozione in una indagine sulla popolazione generale, e il 34% di abusi determinati dal DCF dell’Illinois, erano stati vittime di un genitore omosessuale.
Nel 2005 sul Journal Of Law & Family Studies è stato mostrato che la ricerca dice chiaramente che madri e padri sono essenziali per ottimizzare la crescita dei figli. La complementarità di genere offre ai bambini la possibilità di prosperare in un ambiente migliore, mentre altre forme familiari non sono altrettanto utili o salutari per i bambini. Ricerche sostanziali dimostrano infatti gli effetti negativi dell’assenza del padre, mentre si possono solo supporre le conseguenze negative dell’assenza della madre. Inoltre, si continua a leggere, i dati che emergono sul collocamento dei bambini in coppie omosessuali forniscono segnali di avvertimento significativi, suggerendo che ci sono differenze tra i bambini allevati da coppie omosessuali ed eterosessuali.
Nel febbraio 2005 su Psychological Reports sono stati analizzati i dati dell’Illinois child services dal 1997 al 2002, mostrando che gli omosessuali praticanti erano proporzionalmente più inclini ad abusare sessualmente dei bambini a loro affidati o adottati rispetto ai genitori eterosessuali.
Nel dicembre 2003 uno studio su Psychological Reports ha mostrato che nel campione selezionato la maggioranza di vittime di abusi sessuali aveva genitori omosessuali, arrivando a concludere che tali dati dovrebbero «mettere in discussione l’attuale politica favorevole all’adozione e all’affidamento a genitori omosessuali»
Nel 2002 su Regent Law Review University George Rekers e Mark Kilgus hanno recensito 35 dei migliori studi disponibili sulla genitorialità omosessuale pubblicati su riviste accademiche, arrivando alla conclusione che «tranne pochissime eccezioni, gli studi esistenti sulla genitorialità omosessuale sono metodologicamente errati e devono essere considerati non più di un lavoro-pilota esplorativo che suggerisce indicazioni per studi di ricerca rigorosi» (p. 345). Questi studi, hanno proseguito, «sono metodologicamente difettosi, fuorvianti, distorti, e forme di propaganda a sfondo politico che irresponsabilmente affermano conclusioni che non sono scientificamente giustificate» (p. 375)
Nel giugno 2002 i sociologi Kristin Anderson Moore, Susan M. Jekielek e Carol Emig, attraverso il loro studio, hanno dimostrato che esiste un ampio corpus di ricerche che indicano come i bambini si sviluppano meglio quando crescono con entrambi i genitori biologici, all’interno di un matrimonio. Hanno affermato in particolare: «non è semplicemente la presenza di due genitori, ma è la presenza di due genitori biologici che sembra sostenere lo sviluppo dei bambini».
Nel febbraio 2002 su su Psychological Reports uno studio ha rilevato che su 57 bambini cresciuti con genitori omosessuali, 48 presentavano una o più problematiche di vario tipo attribuibili al genitore omosessuale. Inoltre, il 27% delle figlie e il 20% dei figli erano a loro volta omosessuali
Nel gennaio 2001 su Marriage Law Project alcuni ricercatori hanno valutato 49 studi empirici sull’omogenitorialità evidenziando almeno un difetto fatale in tutti. Come risultato, essi concludono che nessuna generalizzazione può attendibilmente essere basata su tali ricerca e che l’affermazione che non vi sia alcuna differenza tra l’omogenitorialità e la genitorialità eterosessuale è priva di qualsiasi fondamento scientifico
Nel 2001 i sociologi Judith Stacey e Timothy J. Biblarz della University of Southern California hanno pubblicato su American Sociological Review una revisione di 21 studi precedenti sui figli di genitori omosessuali constatando che la ricerca non ha trovato differenze sistematiche tra i bambini allevati da una madre e padre e da quelli allevati da genitori dello stesso sesso. Tuttavia hanno mostrato che le madri lesbiche hanno avuto un effetto femminilizzante sui loro figli e un effetto mascolinizzante sulle loro figlie, tanto che essi riferiscono: «le ragazze adolescenti e i giovani adulti allevati da madri lesbiche sembrano essere stati più sessualmente avventurosi e meno casti, in altre parole, ancora una volta, i bambini (soprattutto le ragazze) allevati da lesbiche sembrano discostarsi dalla norma tradizionale basata sul genere, mentre i bambini cresciuti da madri eterosessuali appaiono conforme ad essa». Inoltre hanno rilevato più alti tassi di omosessualità tra i bambini cresciuti in famiglie omosessuali: «Riconosciamo i pericoli politici nel far notare che gli studi recenti indicano una maggiore percentuale di figli di genitori omosessuali che sono inclini a impegnarsi in attività omosessuali» (Stacy, J. & Biblarz, TJ (2001). Does sexual orientation of parents matter? American Sociological Review, 66 (2), pp. 159-183). Inoltre anche loro hanno anche osservato che in diverse occasioni tali ricerche offrivano risultati che venivano distorti dalla loro interpretazione in base alle inclinazioni degli studiosi. Hanno quindi concluso che le «pressioni ideologiche vincolano lo sviluppo intellettuale in questo settore». Tutto questo è avvenuto per «non attirare le ire degli attivisti omosessuali o incoraggiare la retorica anti-gay»
Nel 2000 i ricercatori Blanchard R, Barbaree HE, Bogaert AF, Dicky R, Klassen P, Kuban ME, Zucker KJ hanno pubblicato lo studio “Fraternal birth order and sexual orientation in pedophiles” su Archives of Sexual Behavior, nel quale hanno rilevato, tra l’altro, che la migliore evidenza epidemiologica indica che solo il 2-4% degli uomini attratti da adulti preferisce i maschi, al contrario, circa il 25-40% degli uomini attratti da bambini preferisce i ragazzi (maschi). Così, affermano, «il tasso di attrazione omosessuale è 6-20 volte superiore tra i pedofili» (p. 464).
Nel 2000 su Marriage Law Projecti i ricercatori Lerner e Nagai nella loro rassegna completa dei dati sui genitori dello stesso sesso hanno concluso: «L’analisi dettagliata delle metodologie di 49 studi proposti a sostegno della tesi che i genitori omosessuali crescono i figli nel modo più efficace dei genitori sposati biologici, dimostra che esse soffrono di gravi difetti metodologici».
Nel 2000 uno studio realizzato da R.N. Williams ha osservato che figli di genitori lesbiche avevano significativamente più probabilità di essere impegnati in relazioni omosessuali. Williams ha scoperto inoltre che diverse omissioni sono state fatte da altri ricercatori che hanno condotto la ricerca in queste aree (Williams, R. N. (2000). A critique of the research on same-sex parenting, in D.C. Dollahite, ed., Strengthening Our Families, Salt Lake City, Utah: Bookcraft, p.352-355.)
Nel 1999 su Violence and Victims è stata messa a confronto la vittimizzazione violenta subita tra gli uomini e le donne con una storia di convivenza dello stesso sesso e le loro controparti con una storia di matrimonio eterosessuale. Lo studio ha trovato che gli intervistati omosessuali, rispetto a quelli eterosessuali avevano significatamene più probabilità di: (a) essere stati violentati come minori e adulti, (b) essere fisicamente aggrediti da bambini, (c) essere fisicamente aggrediti da adulti dai loro partner. Lo studio, si conclude, «conferma che la violenza domestica è più diffusa tra coppie gay rispetto a coppie eterosessuali».
Nel 1999 sul Journal of Marriage and Family, lo studio Paternal Involvement and Children’s Behavior Problems di Paul R. Amato & Fernando Rivera ha verificato che i padri riescono a offrire un un contributo unico per il comportamento dei propri figli. L’influenza positiva della presenza della madre e del padre è stata confermata, è risultata indipendentemente e significativamente associata ai problemi di comportamento dei bambini. In particolare l’influenza paterna gioca un ruolo importante nel mantenere nel figlio bassi livelli di delinquenza e criminalità e abbassando le probabilità che la figlia adolescente possa entrare in stato di gravidanza. Questi risultati sono stati confermanti anche dopo aver controllato per il coinvolgimento della madre.
Nel marzo 1999 David Popenoe, professore emerito di Sociologia presso la Rutgers University, ha pubblicato il libro Life without Father (Harvard University Press 1999) mostrando come madri e padri svolgono ruoli diversi nella vita dei loro figli: «attraverso il loro gioco, così come nelle altre attività dei figli, i padri tendono a sottolineare competizione, sfida, iniziativa, l’assunzione di rischi e di indipendenza, mentre le madri, al contrario, forniscono sicurezza emotiva e personale». I genitori inoltre disciplinano i loro figli in modo diverso: «Mentre le madri forniscono una grande flessibilità e simpatia nella loro disciplina, i padri offrono prevedibilità e coerenza». Ed ancora: «Entrambe le dimensioni sono fondamentali per una efficiente, equilibrata educazione dei figli, in tre decenni di attività come scienziato sociale sono a conoscenza di dati in cui il peso delle prove è così decisamente schiacciante: nel complesso, per i bambini, le famiglie con due genitori eterosessuali sono preferibili alle altre forme di relazioni» (p. 176)
Nel 1997 sul Journal of Sex Research sono stati analizzati i profili di 2.583 omosessuali, scoprendo che il campo modale dei partner sessuali andava dal 101 al 500. Inoltre, il 10,2-15,7% ha avuto tra i 501 e i 1000 partner, un ulteriore 10,2-15,7% ha riferito di aver avuto più di 1000 partner vita sessuale.
Nel 1997 su Violence and Victims è stato analizzato un campione di 283 gay e lesbiche, i quali hanno riferito le loro esperienze sia come vittime che come autori di violenza nella loro relazione. I risultati generali indicano che il 47,5% delle lesbiche e il 29,7% dei gay è stato vittima di un partner dello stesso sesso.
Nel 1997 su University of Illinois Law Review Lynn D. Wardle si è occupato dell’uso improprio di studi di scienze sociali a confronto tra gli effetti della genitorialità omosessuale alla genitorialità eterosessuale, affermando: «collettivamente, gli studi di scienze sociali che pretendono di dimostrare che i bambini cresciuti da genitori che si impegnano in comportamenti omosessuali non sono soggetti a un rischio significativamente maggiore sono metodologicamente e analiticamente viziata, e cadono al di sotto degli standard di affidabilità necessari per sostenere tali conclusioni» (p. 852). Questi studi hanno ignorato gli effetti potenziali significativi dei figli di gay, tra cui un maggiore sviluppo dell’orientamento omosessuale nei bambini e svantaggi emotivi e cognitivi causati dalla mancanza di genitori di sesso opposto, e una precaria sicurezza economica (p. 833-920)
Nell’ottobre 1997 sul Journal of Child Psychology and Psychiatry sono stati mostrati i risultati di uno studio che ha confrontato trenta famiglie con genitori lesbiche e 42 famiglie con una madre single eterosessuale e con 41 famiglie formate dai genitori eterosessuali. I risultati hanno mostrano che i bambini cresciuti in famiglie senza padre fin dall’infanzia hanno vissuta con maggior intensità e interazione il rapporto con la madre, anche se sono stati percepiti meno cognitivamente e fisicamente competenti rispetto ai loro coetanei con un padre presente in famiglia
Nel 1996 sul Journal of Gay & Lesbian Social Services è stato analizzato un campione di 288 soggetti gay e lesbiche, rilevando una elevata incidenza di storie personali segnate dall’abuso nella loro relazione omosessuale.
Nel 1996 nell studio di S. Sarantokas intitolato “Children In Three Contexts: Family, Education, and Social Development”, pubblciato su Children Australia, si conclude che: «Nel complesso, lo studio ha dimostrato che i figli di coppie sposate hanno più probabilità di fare bene a scuola a livello accademico e sociale rispetto ai figli di coppie conviventi e omosessuali» (pp. 742-743)
Nel gennaio 1996 in uno studio scientifico su Developmental Psychology i ricercatori Tasker e Golombok, anche se hanno cercato di affermare il contrario, hanno rivelato attraverso i loro risutlati una connessione tra l’essere cresciuto in una famiglia lesbica e l’essere omosessuali, infatti nessuno dei bambini provenienti da famiglie eterosessuali aveva avuto una relazione lesbica o gay, al contrario, cinque (29%) delle diciassette figlie e uno (13%) degli otto figli cresciuti in famiglie omosessuali hanno riferito di avere avuto almeno una relazione dello stesso sesso. Lo studio ha presentato altre piccole manipolazioni interpretative
Nel 1995 su Developmental Psychology è stato fatto notare che il 9,3% di un gruppo di 75 figli di 55 padri gay o bisessuali sono omosessuali a loro volta, dato che è notevolmente superiore alla prevalenza di maschi omosessuali nella popolazione generale.
Nell’aprile 1995 su un campione casuale di 5.182 adulti da 6 aree metropolitane statunitensi sono stati interrogati in merito incestuosi rapporti sessuali durante l’infanzia. L’incesto è stato riportato in modo sproporzionato da entrambi i maschi e femmine bisessuali e omosessuali. 148 gay (7,7% del campione) ha 14 (50%) di persone dello stesso sesso, e 7 (22%) delle esperienze incestuose di sesso opposto, e 20 (69%) di persone dello stesso sesso e il 2 (3%) di esperienze sessuali di sesso opposto con altri parenti. 88 lesbiche (3% del campione) ha 2 (33%) di persone dello stesso sesso incesto e 7 (9%) di sesso opposto incesto e 1 (17%) di persone dello stesso sesso e il 10 (13%) di fronte- esperienze sessuali sessuali con altri parenti. Il 12% di 98 omosessuali maschi vs 0,8% su 1.224 maschi eterosessuali con un fratello segnalato fratello-fratello incesto. Questi risultati sono in accordo con quelli di altri studi in cui è stato segnalato l’incesto sproporzionatamente più da omosessuali. A differenza di una ipotesi genetica evolutiva, questi dati supportano l’alternativa che l’omosessualità può essere appreso, dal momento che gli omosessuali non producono figli a livelli sostenibili e l’incidenza dell’omosessualità varia in funzione di diversi fattori sociali. L’incesto non si può escludere una base significativa per l’omosessualità.
Nel 1994 su Archives of Sexual Behavior ci si è concentrati sugli episodi di attività sessuale non consensuale tra 930 uomini omosessuali attivi in Inghilterra e Galles. Il 27,6% di essi ha riferito di essere stato aggredito sessualmente da altri uomini, un terzo è stato costretto ad attività sessuali da altri uomini con i quali aveva avuto o stava avendo un rapporto sentimentale.
Nel 1994 una ricerca sul Journal of Divorce & Remarriage sono stati analizzati i dati di letteratura pubblicati sulla genitorialità omosessuale e dei suoi effetti sui bambini. Scrivono i ricercatori: «Ogni studio è stato valutato secondo gli standard accettati di ricerca scientifica. La scoperta più impressionante è stata che tutti gli studi mancavano di validità esterna, e non un singolo studio rappresentava la sub-popolazione di genitori omosessuali. Solo tre studi hanno soddisfatto gli standard minimi di validità interna, mentre gli undici restanti presentati hanno mostrato minacce mortali alla validità interna. La conclusione che non vi sono differenze significative nei bambini allevati da madri lesbiche rispetto a madri eterosessuali non è supportata dalla ricerca scientifica». Hanno inoltre aggiunto: «Un altro limite reciproco di molti degli studi è stato quello già identificato da Rees (1979), vale a dire, il desiderio politico e giuridico “di presentare una felice e ben regolata famiglia lesbica al mondo”» (p. 116)
Nel 1994 la Harvard University Press ha pubblicato un ampio studi dei ricercatori Sara McLanahan e Garry Sandefur sui bambini cresciuti con un solo genitore biologico. La loro conclusione è stata: «i bambini che crescono in famiglie con un solo genitore biologico hanno uno sviluppo peggiore, in media, rispetto ai bambini cresciuti in famiglie con entrambi i genitori biologici, indipendentemente dal fatto che la madre residente si sia risposata»
Nel dicembre 1994 sul Journal of Interpersonal Violence sono stati analizzati i rapporti intimi tra omosessuali, concludendo che la “violenza lesbica” non è un fenomeno raro. Quasi tutti gli intervistati (circa 300 soggetti) sonno stati vittima di uno o più atti di aggressione verbale da parte del loro partner durante l’anno precedente, e il 31% ha riferito uno o più abuso fisico subito, mentre il 12% ha dichiarato di essere stata vittima di un grave abusi fisici.
Nel 1993 su Families and Society sono stati sintetizzati i lavori Erik Erikson, uno dei più apprezzati psicologi dello sviluppo in tutto il mondo, notando che le madri e i padri amano in modo diverso e non sono affatto intercambiabili. Inoltre, gli adolescenti che hanno rapporti affettuosi con i loro padri presentano migliori abilità sociali, maggiore fiducia, e sono più sicuri nelle loro competenze.
Nel 1993 sul New Directions for Child and Adolescent Development lo studio intitolato “Distinctive role of the father in adolescent separation-individuation” di Shmuel Shulman e Moshe M. Klein, ha analizzato il rapporto tra il padre e l’adolescente, valorizzando il suo ruolo come unico. Hanno concluso: «i padri, più delle madri, trasmettono la sensazione agli adolescenti di poter contare su se stessi, così padri possono fornire un “ambiente facilitante” per il conseguimento, da parte dell’adolescente, della differenziazione dalla famiglia e del consolidamento dell’indipendenza» (pp. 41-53).
Nel 1992 sul Journal of Sex & Marital Therapy gli studiosi Freund K, Watson RJ hanno pubblicato lo studio “The proportions of heterosexual and homosexual pedophiles among sex offenders against children: an exploratory study”, analizzando i profili degli autori di pedofilia, da cui è emerso -seppur senza generalizzare- che la percentuale di pedofili veri tra le persone con uno sviluppo omosessuale è maggiore rispetto a persone che si sviluppano eterosessualmente. In particolare hanno rilevato che il rapporto tra vittime femmine e maschio era di circa 2:1, anche se il rapporto tra uomini eterosessuali e omosessuali è di circa 20:1. I due ricercatori hanno concluso affermando che i loro risultati «supportano l’idea che uno sviluppo omosessuale spesso non si traduce in androphilia [desiderio sessuale per gli uomini] ma in pedofilia [desiderio omosessuale di ragazzi]. Questo, ovviamente, non dovrebbe essere inteso come dire che gli androphiles possano avere una maggiore propensione ad offendere i bambini di quanto non facciano gli uomini gynephiles [interessati alle donne]» (p. 41).
Ne 1991 sul Journal of Social Service Research uno studio ha valutato la violenza domestica tra coppie omosessuali e eterosessuali concludendo che l’abuso tra partner lesbiche si verifica maggiormente (55%) rispetto ai rapporti eterosessuali (37 al 55%)

FREUD E IL SENSO DELLA DIVISIONE DEI RUOLI

«Ai bambini servono entrambe le figure» di Silvia Vegetti Finzi
Da tempo la psicoanalisi ha perso la capacità di sollecitare la riflessione collettiva sulle strutture profonde che reggono l’identità individuale e sociale e ciò proprio nel momento in cui si delineano radicali trasformazioni. A rompere questo silenzio giunge quanto mai opportuno l’invito che Ernesto Galli della Loggia rivolge agli psicoanalisti perché non temano di far sentire la loro opinione, anche quando non è conforme al « mainstream delle idee dominanti».
Ormai le psicoanalisi sono tante e non parlano «con voce sola» ma, come storica e teorica del campo psicoanalitico, farò riferimento a Freud, che non credo abbia esaurito il suo compito di fondatore e di maestro. Poiché da oltre un secolo i suoi eredi raccolgono e interpretano, attraverso la pratica dell’ascolto e della cura, i vissuti consapevoli e inconsapevoli della nostra società, mi sembra doveroso interrogare un sapere che si fonda sull’Edipo, così come è stato tramandato dalla tragedia di Sofocle. L’Edipo, che Freud definisce «architrave dell’inconscio», è il triangolo che connette padre, madre e figlio.
Entro le sue coordinate si svolgono i rapporti inconsci erotici e aggressivi, animati dall’onnipotenza Principio di piacere, «voglio tutto subito», che coinvolgono i suoi vertici. Per ogni nuovo nato il primo oggetto d’amore è la madre ma si tratta di un possesso sbarrato dal divieto dell’incesto, la Legge non scritta di ogni società. Questa impossibilità è strutturante in quanto mette ognuno di fronte alla sua insufficienza (si desidera solo ciò che non si ha) e alla correlata impossibilità di colmare la mancanza originaria.
Il figlio che vuole la madre tutta per sé innesca automaticamente una rivalità nei confronti del padre, che pure ama e dal quale desidera essere amato. La contesa, che si svolge nell’immaginario, termina per due motivi: per il timore della castrazione, la minaccia di perdere il simbolo dell’Io, e per l’obiettivo riconoscimento della insuperabile superiorità paterna. Non potendo competere col padre, il bambino s’identifica con lui e sceglie come oggetto d’amore, non già la madre, ma la donna che le succederà.
Attraverso questo gioco delle parti, il figlio rinuncia all’onnipotenza infantile, prende il posto che gli compete nella geometria della famiglia, assume una identità maschile e si orienta ad amare, a suo tempo, una partner femminile. Tralascio qui il percorso delle bambine, troppo complesso per ridurlo a mera specularità. Ma già quello maschile è sufficiente a mostrare come l’identità sessuale si affermi, non in astratto, ma attraverso una «messa in situazione» dei ruoli e delle funzioni che impegna tanto la psiche quanto il corpo dei suoi attori. Se, come sostiene Merleau Ponty, «noi non abbiamo un corpo ma siamo il nostro corpo», non è irrilevante che esso sia maschile o femminile e che il figlio di una coppia omosessuale non possa confrontarsi, nella definizione di sé, con il problema della differenza sessuale.
La psicoanalisi non è una morale e non formula né comandamenti né anatemi ma, in quanto assume una logica non individuale ma relazionale, mi sembra particolarmente idonea a dar voce a chi, non essendo ancora nato, potrà fruire soltanto dei diritti che noi vorremo concedergli.
Tra questi, credo, quello di crescere per quanto le circostanze della vita lo consentiranno, con una mamma e un papà.

LA PSICOANALISTA SILVIA VEGGETTI FINZI
“SOLO LA COPPIA ETERO OFFRE EQUILIBRIO”

Ci scuseranno i lettori se ancora una volta affrontiamo la tematica dell’adozione per le persone dello stesso sesso (non sarà questo l’ultimo articolo), che, dopo la recente sentenza della Cassazione, risulta essere argomento decisamente “caldo”. Abbiamo segnalato pochi giorni fa una inaspettata presa di posizione contro il matrimonio e le adozioni per le coppie dello stesso sesso da parte di un importante intellettuale italiano, Ernesto Galli della Loggia. Da laico e non credente ha mostrato ancora una volta che l’opposizione alle nozze gay si basa sulla ragione naturale e non soltanto su argomenti teologici, e si è inoltre augurato che «personalità autorevoli (per esempio gli psicanalisti) non abbiano paura di far sentire la loro opinione: anche quando questa non è conforme a quello che appare il mainstream delle idee dominanti».
Il Corriere della Sera ha per l’occasione intervistato proprio una importante psicologa italiana, Silvia Vegetti Finzi, docente di Psicologia Dinamica presso l’Università di Pavia, membro del Comitato Nazionale di Bioetica e dell’Osservatorio Permanente sull’infanzia e l’adolescenza. La psicologa ha giudicato «quanto mai opportuno l’invito che Ernesto Galli della Loggia rivolge agli psicoanalisti perché non temano di far sentire la loro opinione» e ha voluto esplicitamente fare riferimento a Sigmund Freud, il quale come abbiamo già fatto notare, era decisamente contrario al comportamento sessuale. Il padre della psicanalisi definisce l’Edipo “l’architrave dell’inconscio”, cioè «il triangolo che connette padre, madre e figlio. Entro le sue coordinate si svolgono i rapporti inconsci erotici e aggressivi, animati dall’onnipotenza Principio di piacere, “voglio tutto subito”, che coinvolgono i suoi vertici. Per ogni nuovo nato il primo oggetto d’amore è la madre ma si tratta di un possesso sbarrato dal divieto dell’incesto, la Legge non scritta di ogni società». La rivalità con il padre, nell’immaginario, è automatica e termina per due motivi: «per il timore della castrazione, la minaccia di perdere il simbolo dell’Io, e per l’obiettivo riconoscimento della insuperabile superiorità paterna. Non potendo competere col padre, il bambino s’identifica con lui e sceglie come oggetto d’amore, non già la madre, ma la donna che le succederà».
Attraverso questo gioco delle parti, dunque, il figlio riesce a prendere «il posto che gli compete nella geometria della famiglia, assume una identità maschile e si orienta ad amare, a suo tempo, una partner femminile. Tralascio qui il percorso delle bambine, troppo complesso per ridurlo a mera specularità. Ma già quello maschile è sufficiente a mostrare come l’identità sessuale si affermi, non in astratto, ma attraverso una “messa in situazione” dei ruoli e delle funzioni che impegna tanto la psiche quanto il corpo dei suoi attori». Noi non abbiamo un corpo, ma siamo il nostro corpo dice, come dice Merleau Ponty, e «non è irrilevante che esso sia maschile o femminile e che il figlio di una coppia omosessuale non possa confrontarsi, nella definizione di sé, con il problema della differenza sessuale. La psicoanalisi non è una morale e non formula né comandamenti né anatemi ma, in quanto assume una logica non individuale ma relazionale, mi sembra particolarmente idonea a dar voce a chi, non essendo ancora nato, potrà fruire soltanto dei diritti che noi vorremo concedergli».
Contrariamente alla psicologa Vegetti Finzi si è posto lo psicoterapeuta Fulvio Scaparro, ma con argomenti tutt’altro che validi. Ha infatti sostenuto che i buoni genitori non sarebbero tali sulla base del loro orientamento sessuale, ma sul clima e l’attenzione che, di fatto, distinguono una buona famiglia da una che non lo è. In realtà Vegetti Finzi non ha affatto affermato che il problema sia o non sia la “bontà” dei genitori, ma ha basato il suo ragionamento sul complesso di Edipo e dell’impossibilità per due genitori dello stesso sesso di interrompere tale processo permettendo al figlio di acquisire una propria identità all’interno della famiglia. Anche con tutta la buona volontà che possono metterci, i “genitori gay” sono innanzitutto impossibilitati ad essere i genitori biologici del bambino e in secondo tempo impossibilitati a far confrontare il bambino con la differenza sessuale.
Scaparro ha anche sostenuto l’altro noto cavallo di battaglia: «oggi l’identità non si costruisce solo nel rapporto con i genitori. La famiglia in cui si diventa grandi non è solo la coppia genitoriale ma un’intensa rete di persone di ogni sesso che vanno dagli zii all’allenatore, agli amici dei genitori che diventano affettuosi modelli al di là del grado di parentela». Notiamo subito che Scaparro si riferisce al presente, come se in passato non ci fosse stata questa importante rete di relazioni. Anzi, siamo proprio in una società in cui la rete di parentela (unita e coesa) citata da Scaparro è in fortissima crisi, rispetto al passato: divorzi, madri e matrigne, padri e patrigni, fratelli e fratellastri, madri single, padri assenti ecc., e la situazione è certamente più drammatica proprio per i soggetti omosessuali, frequentemente in rotta con i propri genitori, anche a causa del loro comportamento sessuale. Sembra inoltre davvero contro-fattuale sostenere che la presenza dei due genitori sarebbe sostituibile con una buona rete familiare, ed inoltre non è realistico pensare che una figura esterna dalla famiglia in senso stretto sia in grado di interrompere il complesso di Edipo nel bambino, aiutandolo così ad assumere il proprio ruolo all’intero della sua famiglia.
Scaparro indica infine come fondamentale per il bambino «uno sviluppo cognitivo e psicologico equilibrato». Ed è proprio l’equilibrio quello che non può dare una famiglia composta da un doppio padre o una doppia madre, i quali pretendono di sostituirsi all’equilibrio naturale di un padre e una madre, naturale perché è la natura umana ad aver previsto che solo attraverso l’unione di queste due figure si può generare un nuovo essere umano. Lo sottolinea anche Francesco Paravati, presidente della Società Italiana di Pediatria Ospedaliera (SIPO): «Avere due mamme, una mamma che fa da papà diventa difficoltoso, anche nei riscontri dell’ambito sociale. Il punto principale è la crescita in uno stato di confusione per quanto riguarda i punti di riferimento genitoriali, importante nella vita psicologica di un bambino». Giuseppe De Mauro, presidente della Società Italiana di Pediatria Preventiva e Sociale (SIPPS), ha a sua volta sostenuto: «Se la famiglia è il punto di riferimento, allora io che sono figlio di due gay come posso fare tutto il contrario di quello che fanno i miei genitori? Ci sono attività e comportamenti che il bambino vuole condividere con il padre e altri con la madre. Noi dobbiamo combattere sul fatto che il nucleo uomo-donna-bambini non deve sfaldarsi»
Molto importante, in risposta a quanto detto da Fulvio Scaparro, il pensiero del filosofo Adriano Pessina, docente di Filosofia morale presso l’Università Cattolica di Milano, della quale dirige il Centro di Bioetica. Ha spiegato: «nel dibattito sull’omosessualità si tende a negare che esista una differenza fra maschile e femminile, sostenendo che sia indifferente essere maschio o femmina e che sia dunque indifferente che una coppia sia formata da un uomo e una donna oppure da due donne o da due uomini. Tanto l’importante sarebbe amarsi…». Ma il maschile e il femminile sono necessari per la definizione stessa della condizione umana, «e non si può certo sostenere che la differenza fra uomo e donna sia una teoria cattolica: è invece fondamentale persino per l’evoluzionismo». La complementarietà tra i due sessi «è decisiva per tutti: una società matura deve valorizzare la differenza, non mortificarla». Dunque a livello politico «è giusto che lo Stato tuteli con maggior vigore la famiglia eterosessuale come luogo della nascita. Un conto è parlare del riconoscimento di alcuni diritti giuridici degli omosessuali (che ritengo giusti), un conto è sostenere il diritto ad avere figli (come se esistesse, poi, questo diritto: nessuno ha diritto a un figlio, perché i diritti si hanno sulle cose, non sulle persone)».
Ha quindi aggiunto il filosofo: «la vera domanda è: qual è il “valore aggiunto” proprio dell’omosessualità che lo Stato può tutelare? Io non credo che nell’omosessualità ci sia un “di più”, ma sono disposto ad ascoltare dialogare. Vedo però qual è il “di più” dato dall’eterosessualità: il difficile equilibrio di una relazione che comprende le differenze fra maschile e femminile, che va anche al di là della questione dell’avere figli». Rispetto ai dati scientifici, «come tutti i dati della scienza vanno verificati, ma il problema va posto all’origine e non guardando i risultati. Di fatto ci sono bambini equilibrati che sono stati allevati da famiglie poligamiche, o che sono cresciuti in orfanatrofio. Il problema resta un altro: qual è il contesto ideale nel quale pensare lo sviluppo della persona? Le differenze fra maschile e femminile sono un aspetto decisivo dell’umano. Che non può essere negato». Concludendo ha anche smontato l’argomento ricattatorio basato sul fatto che l’Italia dovrebbe adeguarsi ad alcuni Paesi europei: «Questa è una valutazione di cui discutere. Le differenze non possono essere viste sempre e solo come un problema, ma anche come una possibilità. Perché invece di copiare dagli altri paesi non maturiamo insieme una scelta argomentata, non ideologica, in cui contino i valori umani e non solo la lotta per difendere i propri interessi più ancora dei diritti condivisi?».

http://www.uccronline.it/2013/01/19/la-psicologa-vegetti-finzi-solo-la-coppia-etero-permette-lequilibrio/

http://www.uccronline.it/2012/10/03/pediatri-italiani-sipps-crescita-peggiore-per-figli-di-coppie-gay/

http://www.uccronline.it/2013/01/16/pregiudizio-e-la-scienza-a-dire-di-no-alladozione-omosessuale/

http://www.uccronline.it/2013/04/12/scienziati-sociali-contro-le-adozioni-gay/

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http://www.uccronline.it/2012/07/22/nuovo-studio-maggior-disagio-per-bambini-di-coppie-gay/

http://www.uccronline.it/2012/07/01/gruppo-di-scienziati-conferma-lo-studio-sui-disturbi-dei-figli-di-genitori-gay/

http://www.tempi.it/adozioni-gay-si-parla-sempre-dei-diritti-degli-adulti-mai-del-bisogno-dei-bambini-di-avere-un-papa-e-una-mamma#.USUTz_L3H74

http://www.uccronline.it/2013/03/16/lo-psichiatra-renzi-adozioni-gay-ostacolo-al-normale-sviluppo/

http://www.uccronline.it/2012/09/06/chiusa-lindagine-su-regnerus-approvato-studio-sui-problemi-di-chi-ha-genitori-gay/

http://www.utexas.edu/news/2012/08/29/regnerus_scientific_misconduct_inquiry_completed

“FANTASMA DEL PADRE” (o della madre)

…ora…con “Fantasma del padre” si intende quel momento in cui il bambino o la bambina prende coscienza di non poter essere il figlio o la figlia di due persone DELLO STESSO SESSO. Credo che non sia difficile da capire. A quel punto scatta l’esigenza di sapere chi è…l’ALTRO genitore, nel caso che sia figlio di un…a coppia di lesbiche dove una è la madre….O PEGGIO…..di chi è figli, chi l’ha partorito quindi…CHI E’ LA MADRE…ben più grave, nel caso di due maschi. Ora, io posso anche essere privato del padre, ancora ancora, ma ESSERE PRIVATO DELLA PROPRIA MADRE E’ UNA INFAMIA inaudita.
IDENTIFICAZIONE
Poi, comunque, ci sono i problemi di IDENTIFICAZIONE. Li spiego con un esempio semplice semplice. Immaginiamo che ad un bambino molto piccolo vengano regalati due cuccioli…un gattino e un cagnolino coi quali crescerà insiemo. Ora voi capite che così facendo imparerà a conoscerli ed a non aver paura, nelle loro differenze, ne dell’uno ne dell’altro. Imparerà che il cane ringhia quand’è arrabbiato e scodinzola quando è felice. Viceversa il gatto farà una specie di “ringhio” sommesso quando è felice e scodinzola quendo è nervoso. Imparerà che togliere la ciotola del cibo al cane è molto più pericoloso che toglierlo al gatto….e via dicendo. Ora, voi capite, che quando sarà grande, avendoli già conosciuti entrambi non avrà nessuna paura né dell’uno né dell’altro e si potrà rapportare con chiunque facilmente. Viceversa quello cresciuto con due gatti o due cani non avrà mai la dimestichezza con l’”animale” mancante che ha quello venuto sù con entrambi. Tutto qui !
RUOLI
Che poi sia sufficiente che uno dei due “genitori” INTERPRETI il ruolo del sesso mancante, come vorrebbero le organizzazioni gay…beh….con questo esempio sugli animalini voi capite ancor più facilmente come sia ridicolo pensare che un gatto che si finge cane, o viceversa, sia solo ridicolo e fattivamente impossibile.
Il bisogno del volto del padre
Autore: Marina Corradi intervista Claudio Risé
Il padre in provetta, il padre per sempre sconosciuto ridotto al seme anonimo della fecondazione eterologa, chi e cosa diventa nella storia del figlio in quel modo generato? Mentre i sostenitori dei referendum combattono perché anche questo tipo di paternità sia possibile, in nome del più ampio “diritto al figlio” da parte delle coppie sterili, la estromissione del padre non lascia indifferente la psicoanalisi. Ha scritto il professor Claudio Risè: «Il padre serve semplicemente a consentire che ogni cosa prenda il suo posto. A partire dal posto del padre si definisce l’ordine simbolico in cui si dispone il resto della famiglia. Il padre è figura del limite – “di qui non si può andare” – e di direzione, di senso – nel significato, appunto, di orientamento: “cerca la tua strada, che io comincio a proporti”. Limite e spinta direzionale che derivano anche dal fatto che ci ha messo al mondo lui, con quel primo getto ben centrato: la nostra storia è cominciata lì. E’ quindi lui la prima figura che ci garantisce un’appartenenza».
Troppo disinvolto dunque, professore, e forse anche pericoloso questo accantonamento del padre, ridotto a strumento anonimo, che con la battaglia per la eterologa si vorrebbe far passare?
«Credo che i sostenitori della fecondazione eterologa dovrebbero tornare a rileggersi il mito di Edipo, e Freud, e la psicoanalisi e la filosofia contemporanea, compreso Foucault e Lacan, che facevano poggiare sul “no” del padre tutto il sistema normativo e del diritto. Togliere di mezzo il padre significa togliere di mezzo il punto di riferimento simbolico dell’organizzazione normativa di tutta la storia dell’Occidente. Fino a oggi nella vita dell’individuo e nell’esperienza collettiva l’incontro con il principio d’ordine, con ciò che dà la propria collocazione nel mondo, è avvenuta nella relazione col padre. Ciò discende d’altra parte dalla nostra visione religiosa, che è quella della tradizione ebraico-cristiana».
Sul valore simbolico fondante della figura paterna molti, probabilmente, sarebbero d’accordo, ma venendo alla concretezza della legge 40 forse obietterebbero: d’accordo, con la fecondazione eterologa il padre è anonimo, tuttavia al momento della nascita del figlio il padre non biologico assume il suo ruolo paterno. Non è lo stesso?
«Il padre è figura dell’origine, e per questo deve avere un nome e un volto. Se noi non sappiamo quale è la nostra origine è molto difficile che riusciamo a individuare un destino. Possiamo sapere dove andiamo quando sappiamo da dove veniamo: la conoscenza delle origini è necessaria agli uomini. Diverso è il caso del padre adottivo, che raccoglie tutti gli aspetti simbolici della paternità. Il bambino sa che aveva un padre naturale, ma le radici affettive sulle quali crescere sono quelle che gli vengono presentate da chi lo ha accolto, con un gesto di amore e di ospitalità, e non per soddisfare un proprio bisogno. Nel caso della fecondazione eterologa, tuttavia, vorrei sottolineare, non è nemmeno detto che il padre sia concretamente presente una volta nato il bambino. Infatti in molti Paesi in cui questa pratica è permessa si prescinde del tutto dalla presenza di un padre, e la procreazione artificiale è aperta alle madri singles, o lesbiche, o alle coppie omosessuali. In questi casi il padre non c’è, semplicemente. Esistono siti Internet come www.mannotincluded.com, cioè “uomo non-compreso”, che alle clienti consentono di scegliere le caratteristiche somatiche del donatore anonimo: gruppo etnico, altezza, colore degli occhi. Una possibilità che corrisponde pienamente all’ideologia del “father disposable”, diffusasi in questi anni: il padre “usa e getta”, che serve e poi si butta via».
«Ora – prosegue Risè – ci sono Paesi come gli Stati Uniti che hanno ormai un’esperienza assai più lunga della nostra di come funziona questo trittico aborto-divorzio-procreazione artificiale. Si è prodotta una grande quantità di malessere affettivo e psichico, e quindi anche di costi economici rilevanti per la collettività. Il bilancio dei costi sociali di questi decenni di liberismo familiare non è estraneo, ritengo, al successo elettorale di Bush, che è stato votato da molti elettori, pure non favorevoli alla sua politica internazionale, in adesione alla sua svolta in difesa della famiglia».
Un voto di reazione, dunque, alla crisi dell’autorità paterna?
«Sì, i costi umani delle politiche di questi trent’anni negli Usa sono inequivocabili, e ampiamente documentati. Come spiego nel mio saggio “Il padre, assente inaccettabile” (Edizioni San Paolo, ndr), secondo i dati dell’ultimo censimento americano l’85% dei giovani in carcere è cresciuto senza un padre, come il 70% dei ragazzi devianti e il 63% dei giovani suicidi. Il 90% degli homeless, le persone senza fissa dimora, è pure cresciuta in famiglie senza un padre. Così, secondo il ministero della Giustizia americano, il 72% degli omicidi e il 60% degli stupratori viene da case in cui era assente il padre. I ragazzi senza padre esprimono comportamenti violenti a scuola in misura 11 volte maggiore rispetto ai coetanei. E il 69% dei bambini abusati sessualmente proviene da case in cui il padre, ancora una volta, manca. Dati che non vanno letti rigidamente, in base ad un’inesistente legge di causa-effetto, ma come prova di un altissimo fattore di rischio».
L’”assente inaccettabile”. Dunque, sembra paradossale e in ritardo la pretesa di rendere questo padre addirittura, qualora lo si voglia, anonimo.
«La questione della eterologa è discussa ormai anche in Gran Bretagna, come sappiamo il Paese che ha dato origine alla ricerca e alla legislazione sulla procreazione artificiale in Occidente. E proprio qui fa discutere una nuova legge governativa che chiede che il donatore sia sempre noto. La commissione di bioetica inglese ha dato parere favorevole, perché nessuno, ha dichiarato, può sottrarre al figlio il nome del padre».
L’eliminazione dell’anonimato, introducendo la possibilità di dovere riconoscere questi figli, e i loro diritti alla successione, cancellerebbe l’eterologa.
«Certo, ma la riconoscibilità del donatore va a toccare il punto centrale della questione. Il padre deve esserci. Se si sa chi è, c’è, in un modo sia pure stravagante, discutibile, ma c’è, nominalmente definito. E’ di nuovo possibile un teatro delle origini».
Cosa accade nelle famiglie in cui dopo una fecondazione eterologa il padre è sconosciuto ?
«Il padre sconosciuto è un fantasma attorno a cui si animano le insicurezze e i rancori familiari all’interno della coppia, e dei figli. E’ una mina vagante. Un conto è quando il padre assente è il risultato di una vicenda esistenziale, e un bambino abbandonato ha modo di ricostruire il suo passato nella rassicurazione affettiva fornita dalla famiglia adottiva. Siamo sempre nella vita, nei corpi, negli affetti, e tutto questo può essere elaborato psicologicamente. In questo caso invece, quando la vita è messa in provetta, i corpi e gli affetti diventano invisibili, il silenzio è assoluto, la vita in formazione è separata dal vivente, e quindi la sofferenza successiva sarà molto più forte».
Ma cosa c’è al fondo di questa progressiva espulsione del padre dalla società occidentale?
«La provetta è solo ultima tappa di un lungo processo. Il primo è stato il divorzio: oggi negli Usa oggi un matrimonio su due si conclude con un divorzio, nel 75% dei casi chiesto dalla moglie, e nel 92% dei casi la casa e i figli sono affidati alla moglie. Il padre appare letteralmente buttato fuori, espulso. L’altro punto che mi colpisce molto è la sua emarginazione nell’aborto. Nella 194, il padre non ha alcuna voce in alcun ambito, né giudiziario né consultivo. E’ tagliato fuori fin dall’inizio della procreazione, e questo ha provocato alcune tragedie finite sui giornali, ma determina molto più frequenti drammi silenziosi».
E la sterilità maschile, che lei definisce “somatizzazione della paura di procreare”, giunta a sfiorare il 40% dei maschi occidentali?
«Sintomo anche questa della insicurezza del proprio ruolo, in un sistema legislativo in cui il padre rischia di essere espulso con un divorzio, di non vedere o quasi più i suoi figli, e non ha voce in capitolo su un’eventuale gravidanza. Non è un quadro che promuova la pulsione/desiderio a riprodursi».
Ma, alle radici di tutto questo, cosa c’è stato?
«Il processo di secolarizzazione, cioè la separazione fra uomo e Dio, e la conseguente negazione del Padre celeste. Il padre terreno fonda la sua funzione simbolica e affettiva sulla relazione con l’archetipo del Padre celeste, che dall’Illuminismo in poi è stato progressivamente negato, fino alla “morte di Dio” del primo Novecento. Ora, sappiamo che a livello popolare queste elucubrazioni filosofiche non hanno vinto, e che soprattutto negli ultimi decenni c’è stata una forte reazione religiosa. Tuttavia la negazione del padre continua a ispirare le legislazioni dei paesi occidentali. La secolarizzazione, rifiutata dal sentire popolare, è ampiamente condivisa nella cultura delle classi dominanti, e la sacralità della vita umana e del padre è costantemente ignorata».
Il padre, lei spiega nel suo libro, è lo spirito d’iniziativa, là dove la madre nutre e soddisfa. Dove il padre è in crisi decade la vitalità dei popoli. Se l’America comincia a reagire, l’Europa pare ancora adagiata nel soddisfacimento dei bisogni individualistici. Quali prospettive intravede?
«L’America ha verificato prima il disastro, e ora comincia a correre ai ripari. Crogiolo di razze, memore ancora della antica spinta pionieristica, è un mondo più primitivo e dinamico, e mantiene la capacità di adesione all’istinto vitale. L’Europa dispone di ricchezze più consolidate, è più intellettualizzata, più lontana dalla sensibilità per la vita. Ha meno iniziativa, è meno veloce, meno audace, anche negli interventi per difendere se stessa. Tuttavia questa iniziativa in Gran Bretagna per restituire il nome ai padri anonimi delle provette è estremamente importante. Io credo al significato simbolico delle parole, e questo è, penso, l’inizio di una presa di coscienza. Si è fatto un grande errore, e ora forse si comincia a comprendere la necessità di tornare a dare un ordine alle cose, “nel nome del padre”».

PATOLOGIA BAMBINI CRESCIUTI DA OMOSESSUALI

La rivista scientifica “Social Science Research” ha pubblicato due studi molto interessanti sulle problematiche dei bambini cresciuti all’interno di una relazione omosessuale.
Sono studi importanti in quanto riequilibrano le posizioni in campo: finora, infatti, le prime ricerche su questo tema hanno sostenuto la non-differenza, negando le diversità tra i bambini di coppie eterosessuali e omosessuali, successivamente ricerche promosse dalla lobby gay hanno tentato addirittura di sostenere una crescita migliore da parte dei figli di omosessuali. Ma, come ha spiegato Francesco Paravati, presidente della Società Italiana di Pediatria Ospedaliera (SIPO), «le problematiche delle “nuove famiglie” sono fenomeni recenti, tutti i risultati di qualunque organismo scientifico sono perciò preliminari e non definitivi». Anche Rosa Rosnati, docente di Psicologia sociale alla Cattolica di Milano, ha spiegato che attualmente le ricerche sul tema «sono su gruppi molto piccoli e condotte a breve termine. È ovvio che un bambino possa vi­vere con due genitori dello stesso sesso. Dal punto di vista biologico e psicologico, però, un figlio ha bisogno di un uomo e di una don­na per crescere. Poi, certo, ci possono essere figure sostitutive, che assicurano buone rela­zioni. Ma un conto è ciò che è preferibile e un altro è la capacità di adattamento dell’essere umano».
Uno di questi due nuovi studi è quello del sociologo dell’Università del Texas, Mark Regnerus, il quale vanta di un impianto metodologico inedito quantitativamente e qualitativamente, sia perché si basa sul più grande campione rappresentativo casuale a livello nazionale, sia perché per la prima volta fa parlare direttamente i “figli” (ormai cresciuti) di genitori omosessuali, dimostrando che il 12% pensa al suicidio (contro il 5% dei figli di coppie etero), sono più propensi al tradimento (40% contro il 13%), sono più spesso disoccupati (28% contro l’8%), ricorrono più facilmente alla psicoterapia (19% contro l’8%), sono più spes­so seguiti dall’assistenza sociale rispetto ai coetanei cresciuti da coppie etero­sessuali sposate. Nel 40% dei casi hanno contratto una patologia trasmissibile sessualmente (contro l’8%), sono genericamente meno sani, più poveri, più inclini al fumo e alla criminalità.
L’autore dello studio ha spiegato che non si vuole esprimere un giudizio sulle capacità genitoriali delle coppie dello stesso sesso, ma prendere semplicemente atto di una diversità di questi figli, che si traduce spesso in un problema. Tuttavia si domanda se valga la pena «spendere un significativo capi­tale politico ed economico per supportare queste nuove ma rare famiglie, quando gli a­mericani continuano a fuggire dal modello di genitori biologici eterosessuali sposati, di gran lunga più comune ed efficace e ancora, alme­no a giudicare dai dati, il posto più sicuro per un bambino». Anche lui riconosce che i pochi studi finora pubblicati, che sostengono la teoria della “nessuna differenza” tra bambini cresciuti in famiglie etero e gay, «si basano su dati non casuali e non rappresentativi, utilizzano campioni di piccole dimensioni che non consentono la generalizzazione alla popolazione più ampia di famiglie gay e lesbiche».
Il secondo studio è stato realizzato da Loren Marks della Louisiana State University, nel quale si critica fortemente la posizione dell’American Psychological Association (APA), secondo la quale i figli di genitori gay o lesbiche non sono svantaggiati rispetto a quelli di coppie eteorsessuali. La studiosa ha analizzati i 59 studi citati dall’APA per sostenere la propria tesi, dimostrando che essi mancano di campionamento omogeneo (1), gruppi di confronto (2), caratteristiche del gruppo di confronto (3), presenza di dati contraddittori (4), portata limitata degli esiti dei bambini studiati (5), scarsità di dati sul lungo termine (6) e mancanza di potenza statistica (7). La conclusione è che le forti affermazioni, comprese quelle compiute dall’APA, non sono empiricamente giustificate. La ricercatrice si è dunque allineata al giudizio del prestigioso psicologo Nicholas Cummings, ex presidente dell’American Psychological Association, secondo cui «l’APA ha permesso che la correttezza politica trionfasse sulla scienza, sulla conoscenza clinica e sull’integrità professionale. Il pubblico non può più fidarsi della psicologia organizzata per parlare di prove, piuttosto si deve basare per quel che riguarda l’essere politicamente corretti. Al momento la governance dell’APA è investita da un gruppo elitario di 200 psicologi che si scambiano le varie sedi, commissioni, comitati, e il Consiglio dei Rappresentanti. La stragrande maggioranza dei 100.000 membri sono essenzialmente privati dei diritti civili». Secondo David J. Eggebeen, del Department of Human Development and Family Studies della Pennsylvania State University, lo studio della Marks «offre argomenti ragionevoli per una maggiore cautela nel trarre forti conclusioni basate sulla ricerca disponibile».
E’ inutile dire che la prevedibile reazione (a dir poco animalesca) della lobby gay a questi risultati è stata davvero violenta. I commenti sono stati questi: “odiosi bigotti”, “gregari dell’Opus Dei”, “dovrebbero vergognarsi”, presentano dati “”intenzionalmente fuorvianti” e “cercano di screditare i genitori gay e lesbiche”, “scienza spazzatura” e “disinformazione pseudo-scientifica”. Addirittura qualcuno ha auspicato «l’inizio della fine della credibilità di Mark Regnerus per le agenzie di stampa rispettabili». Altri parlano anche di minacce personali alla sua famiglia. Tuttavia, come ha fatto notare il “New York Times”, al di là dell’isterismo omosessualista, «gli esperti esterni, in generale, hanno detto che la ricerca è stata rigorosa, fornendo alcuni dei migliori dati sul tema». Ma che però non sarebbero «rilevanti nel dibattito sul matrimonio e adozione gay». Non la pensa così W. Bradford Wilcox, docente di Sociologia presso l’Università della Virginia, secondo cui invece «lo studio di Regnerus ci sta portando ad un nuovo capitolo. Il primo capitolo ha suggerito che non vi è alcuna differenza, il secondo ha detto che ce ne sono e il terzo capitolo sta cercando di capire le differenze».
Sono arrivate anche critiche serie, come è normale per ogni studi scientifico, le quali si sono concentrate quasi esclusivamente sullo studio di Regnerus. Tuttavia, anche tra i polemici come il demografo Cynthia Osborne, si riconosce che «lo studio Regnerus è il più scientificamente rigoroso della maggior parte degli altri studi in questo settore». Allo stesso modo, il sociologo della Pennsylvania State University Paul Amato, scrive che «è probabilmente il meglio che possiamo sperare, almeno nel prossimo futuro». Walter Schumm, docente di “Family Studies and Human Services” presso la Kansas State University ha commentato: «Una cosa è certa: questo studio rappresenta un serio tentativo di ottenere informazioni obiettive che raramente sono state disponibili prima, e non deve essere liquidato semplicemente a causa del disagio che può provocare». Anche per uno dei più noti network scientifici, PhysOrg, lo studio «fornisce nuove e convincenti prove che numerose differenze di benessere, sociali ed emotive, esistono tra i giovani adulti cresciuti da donne lesbiche e coloro che sono cresciuti in una famiglia tradizionale».
Alle normali critiche ricevute, inoltre, i due ricercatori -Mark Regnerus e Loren Marks- hanno puntualmente ed esaurientemente risposto (qui e qui), confermando che «i bambini sembrano più adatti ad avere una vita adulta con successo quando trascorrono la loro intera infanzia con i loro padri e madri biologici sposati e specialmente quando i loro genitori restano sposati anche dopo» (in linea, oltretutto, con tutta la mole di studi disponibili oggi).

29 dicembre 2013 |
Lo studio: al bambino servono mamma e papà

http://www.prolifenews.it/economia-e-vita/lo-studio-al-bambino-servono-mamma-e-papa/

STUDI SCIENTIFICI SULLA PATOLOGIA OMOGENITORIALEultima modifica: 2014-09-28T13:25:15+02:00da allan11
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