Letteratura & Neuroscienza

CARI PSICOANALISTI LEGGETE KING

È abbastanza comune affermare che per amore si arriva a delirare, eppure il desiderio e il delirio, in quell’assurdo labirinto che è la mente umana, possono anche diventare feroci antagonisti. Chi nega o in qualunque modo scaccia dalla coscienza il proprio desiderio, sta già delirando. E non c’è energia mentale più potente, si direbbe, di quella dell’errore e dell’autoinganno. Per certi individui, rivelare a se stessi ciò che veramente amano è l’impresa più difficile. Tale è il loro orrore della verità, che sono capaci di costruire interi mondi fittizi per seppellirla più a fondo che possono. Ma più di tanto, per quanto si sforzino, non possono. Ed è qui che cominciano i guai. Tra i narratori più efficaci di questa ingegnosa trappola psicologica, il prolifico Wilhelm Jensen occupa un posto del tutto particolare. Da poco ristampata con le bellissime illustrazioni di Cecilia Capuana Gradiva (Donzelli) è l’unica sua opera, tra le decine che ne scrisse, ad essergli sopravvissuta. Lo scrittore tedesco pubblicò questa fantasia pompeiana, come la definì, nel 1903, quando era già avanti con gli anni e all’apice di una vasta ma effimera fama.

Sarebbe un vero peccato se anche Gradiva fosse scivolata nell’inesorabile gorgo dell’oblio. A rileggerlo oggi, questo breve romanzo sentimentale-archeologico, mascherato da storia di spettri, conserva una notevole forza di persuasione. Com’è noto, però, a garantire all’opera la sua durata nel tempo non furono né i lettori di narrativa né i critici letterari, ma l’interesse, quasi vampiresco, di Sigmund Freud. È questa circostanza a rendere del tutto eccezionale la fortuna dell’operetta di Jensen. Fu Carl Gustav Jung, nell’aprile del 1906, a mettere in mano a Freud Gradiva. Erano ancora lontani, Freud e Jung, dalla clamorosa rottura del 1912. Erano i tempi eroici della Società di Vienna, e quegli eccezionali speleologi procedevano solidali, come fossero legati in cordata, nei cunicoli e nelle voragini della coscienza umana. Le loro idee provocavano una generale diffidenza, che rafforzava la solidarietà fra gli iniziati. Ad ogni modo, il romanzo di Jensen, intessuto com’era di fantasie deliranti e sogni rivelatori, e pervaso da una potente corrente erotica, fece letteralmente balzare Freud sulla sedia. Durante le vacanze estive, trascorse come d’abitudine all’Hotel du Lac di Lavarone, Freud si mise all’opera componendo quello che sarebbe destinato a rimanere uno dei suoi saggi più limpidi e belli, intitolato Il delirio e i sogni nella «Gradiva» di W. Jensen, pubblicato la prima volta nel 1907. Quando si dice (giustamente) che Freud è un grande scrittore, è a testi come questo che bisogna pensare. Dando fondo alle sue innate qualità di narratore Freud riscrisse Gradiva creando quello che Giorgio Manganelli avrebbe definito un «libro parallelo». Ci si può rendere conto del valore e dell’importanza dell’impresa servendosi di un vecchio ma utilissimo libro curato nel 1961 da Cesare Musatti, intitolato Gradiva, che ristampa insieme il romanzo di Jensen e il saggio di Freud, accompagnati da un intelligentissimo commento.

L’interesse dell’autore dell’Interpretazione dei sogni per le avventure italiane del giovane archeologo tedesco Norbert Hanold è più che giustificato. La sua è una vicenda che rende manifesto, in modo molto più efficace di qualunque trattazione scientifica, il funzionamento della rimozione, che dei meccanismi della psiche umana è il più pericoloso e gravido di conseguenze. L’eroe di Jensen ha consacrato l’esistenza alla sua unica passione, l’archeologia. Solo al mondo, le uniche figure femminili che ha considerato sono fatte di marmo e di bronzo. E di una di queste figure arriva addirittura a innamorarsi. O perlomeno, così lui stesso crede che vadano le cose. Si tratta, ad ogni modo, di un’opera d’arte realmente esistente, e conservata ai Musei Vaticani: il bassorilievo di una fanciulla velata che cammina, dirigendosi chissà dove, sollevando con la mano un lembo della veste. L’elemento più notevole della figura è la posizione del piede destro, sollevato in maniera quasi perpendicolare al suolo. È questo particolare che genera in Norbert una vera ossessione per l’opera così leggiadra di un ignoto artista greco, da lui ribattezzata Gradiva, «colei che avanza», versione femminile dell’epiteto che in latino accompagnava abitualmente Marte.

Un misterioso concatenarsi di sogni e premonizioni induce Norbert a partire da un giorno all’altro per l’Italia, finendo per cercare le tracce della Gradiva tra le rovine di Pompei. E in effetti, la incontrerà, ma in carne ed ossa. Ma non si tratta di uno spettro autorizzato a vagare nella luce del sole nell’ora meridiana, come crede il giovane archeologo, ma della ben concreta e viva Zoe Bertgang, vicina di casa di Norbert e sua amica d’infanzia, ben decisa a sposarlo. È questo personaggio femminile l’invenzione più riuscita di Jensen, e la sua strategia finisce per affascinare Freud molto più dei sintomi di Norbert. Zoe comprende al volo che il giovane non solo l’ha totalmente dimenticata, ma la crede un fantasma del passato, morta a Pompei nell’eruzione del Vesuvio del 79 dopo Cristo. Ma la peggiore strategia da usare con un delirante è quella di sbattergli in faccia la realtà, nuda e cruda. Per tirare a sé Norbert, serve una lenza più sottile. Sarà necessario accettare il particolare ordine di realtà in cui vive Norbert, e aspettando di scardinarlo, prestarsi al ruolo del fantasma della fanciulla pompeiana morta sotto le ceneri del vulcano.

È fin troppo ovvio osservare come questa tecnica di guarigione finisse per affascinare Freud molto più dei sintomi del delirio e dei sogni di Norbert. Si può dire, senza paura di esagerare, che quella di Gradiva agli occhi di Freud sia un’allegoria non meno importante di quella di Edipo. Se Edipo è l’immagine più universale dell’uomo afflitto dalla nevrosi e imprigionato dai suoi sintomi, ebbene Gradiva, in questo stupendo teatro di marionette preso a prestito dalla letteratura, rappresenta tutte le virtù di colui che, seduto all’altro capo del famoso divano, tiene fra le dita il filo, fragile e prezioso, della guarigione. Scaltra, seducente, dotata di empatia a capacità intuitive, Gradiva è la santa patrona di tutti gli strizzacervelli a venire. Con l’importante differenza, però, che sia Freud che Musatti tengono molto a segnalare, che se Zoe alla fine del romanzo convola a giuste nozze con il suo stordito Hanold, non altrettanto possono fare l’analista e il suo paziente, che dovrà scegliere un reale oggetto d’amore una volta emerso dalle ceneri pompeiane della rimozione.

Chiuse le due Gradive, quella di Jensen e quella di Freud, il lettore d’oggi potrà provare un senso di malinconia, considerando quanto sia ormai diventata profonda e irreversibile la separazione fra psicoanalisi e letteratura. È come se la prima, tutta affannata a conquistarsi i suoi galloni scientifici, abbia deciso di volgere le spalle, con una buona dose di ingratitudine, a quell’inaffidabile e ciarliera sorella. È vero che moltissimi libri contemporanei di psicologia sono letteralmente infarciti di citazioni letterarie e cinematografiche. Ma le citazioni, per loro natura, sono frammenti e relitti. Vengono facilmente piegate alle finalità del discorso che le ingloba. Lampeggiano nella loro bellezza e vengono rapidamente dimenticate. Non producono mai immagini totali, capaci di segnare le svolte della conoscenza. Lo psicoanalista, sbagliando, non si sogna più di andare in cerca di nuovi Edipi e di nuove Gradive nei libri di Stephen King, o di Richard Ford, o di José Saramago. E anche la letteratura ha una buona parte della colpa. Saccheggiando da un secolo la psicologia del profondo, ha perso ogni forma di innocenza. A uno psicologo di oggi, non può che fornire l’idea di una minestra riscaldata. Mentre l’entusiasmo di Jung e Freud per Gradiva dipendeva in buona parte dal fatto che Jensen, pur essendo arrivato così vicino alle loro scoperte, non avesse mai nemmeno sfogliato L’interpretazione dei sogni.

Per cercare le sue conferme più importanti, la scienza della psiche preferisce ormai battere i più severi sentieri della statistica, della biologia, delle scienze cognitive. Si potrebbe dire che, come il giovane Hanold di Jensen aveva rimosso la sua Zoe, illudendosi di amare una statua antica, così la psicoanalisi ha rimosso il potere simbolico, la forza di persuasione della grande letteratura. Ma tutte le rimozioni, lo insegna la scienza stessa, si trasformano in sintomi ben peggiori di ciò che si sotterra. Rischiano, insomma, di trasformare in deliri anche i saperi più complessi ed accademicamente corazzati.

Emanuele Trevi

http://lettura.corriere.it/cari-psicoanalisti-leggete-king/

 

 

E Dostoevskij svelò come nasce la mente

 

In un libro di Tagliagambe, tra letteratura e filosofia, indagati i meccanismi del pensiero

I romanzi dello scrittore russo portano in primo piano il rapporto tra i vari livelli dei processi mentali

Un secondo cervello che funziona come un’interfaccia tra il mondo fisico e quello delle costruzioni culturali

 

C’è stato un tempo in cui la letteratura e la filosofia sono andate molto d’accordo.Ma, secondo le malelingue, ciò è avvenuto principalmente perché la filosofia era una filosofia non sufficientemente rigorosa nel ragionamento e nella terminologia: una forma, essa stessa, di letteratura.Negli ultimi cento anni, una parte della filosofia ha deciso che era ora di svestire i panni della disciplina inconcludente e ciarliera, e che valeva la pena essere meno vaghi, e molto più esatti. E’ nata la «filosofia scientifica», che si propone di giungere «mediante l’analisi logica a conclusioni precise, articolate, e attendibili come i risultati della scienza contemporanea» (la definizione è di Hans Reichenbach).Secondo le malelingue, la filosofia scientifica paga un prezzo costante per riuscire ad essere chiara e razionalmente approvabile: essa risulta eccessivamente algida a chi le si accosta in modo non professionale, e «non tocca davvero il cuore» delle persone.

 

Ogni tanto, appaiono dei libri che riescono a mettere a tacere le malelingue.Si tratta di libri di argomento filosofico-scientifico che risultano al tempo stesso coinvolgenti, dal punto di vista emotivo, e impeccabili, dal punto di vista intellettivo.Questi libri riescono a condurre il lettore lungo un percorso argomentativo privo dei fumi, delle nebbie e dei disonesti giochi di prestigio della cattiva filosofia – e, al tempo stesso, lo fulminano, o lo appassionano, o lo rapiscono.Guardacaso, una caratteristica ricorrente di questi libri felici è il loro coraggio nel riprendere i contatti con la compagna di viaggio di un tempo, la letteratura.Mentre di solito si ritiene che una «filosofia scientifica», per essere tale, debba rinunciare a metafore, punti esclamativi e riferimenti a storie e personaggi romanzeschi, i testi di filosofia scientifica più riusciti sono quelli che riescono a far interagire scienza e letteratura, macchine di Turing e il Signor Granchio, Mach e L’Uomo Senza Qualità, misteri della coscienza e Orwell, e perfino biologia evoluzionistica e Mickey Mouse.

 

Naturalmente, affinché la letteratura risulti utile alla filosofia, essa va presa sul serio.Silvano Tagliagambe, nel suo ultimo libro Il Sogno di Dostoevkij.Come la Mente Emerge dal Cervello (Raffaello Cortina Editore, pagine 362, euro 24) la prende molto sul serio.Dostoevskij non si limita a comparire nel titolo: egli è uno dei protagonisti della trattazione, e le sue tesi sul funzionamento della mente sono discusse a fondo nel libro.Tagliagambe lo tratta né più né meno che come un filosofo: un filosofo che, scrivendo Le Memorie dal Sottosuolo e Delitto e Castigo, voleva opporsi alle tesi sostenute da Secenov, allora celeberrime in Russia, secondo cui la mente può essere ridotta a pura fisiologia, e secondo cui la coscienza non è altro che un riflesso.Tagliagambe spiega che quella polemica, che divampò a Pietroburgo a partire dal 1863-64, è il primo esempio di dibattito filosofico fra riduzionisti e anti-riduzionisti riguardo alla mente, che tanto ha infuocato in seguito le pagine delle riviste specializzate inglesi e americane.

 

Tagliagambe recupera una perduta perla di saggezza che animava gli scritti del «filosofo della mente» Dostoevskij non tutto lo psichico è cosciente, e accanto ai processi mentali visibili e controllabili vi sono quelli, sotterranei e tenebrosi, dell’inconscio.Certo, anche un riduzionista come Secenov può riconoscere l’esistenza dell’inconscio: ma il suo inconscio è insulso, privo di autonomia, e coincide con un meccanismo di stimolo-risposta.Se i pensieri e le decisioni fossero solo reazioni fisiologiche agli stimoli esterni, come pretendeva Secenov, allora non esisterebbe una spiegazione per quelle «rivoluzioni dello spirito» che, improvvisamente, giungono a sconvolgere la vita e la personalità degli individui. I romanzi di Dostoevskij mettono in campo proprio questo fenomeno, che rappresenta una sfida per ogni teoria della mente: il sovvertimento imprevisto, la «resurrezione», l’emergere di una «nuova concezione della vita».Quando Raskol’nikov, alla fine di Delitto e Castigo, accede all’«aurora di un avvenire rinnovellato» e a «una nuova vita», ci mostra il risultato di un processo nascosto ma ormai innegabile: l’azione «sotterranea» e soprattutto attiva dell’inconscio.Il libro di Tagliagambe è un lungo esame di come la mente possa essere attiva senza violare le leggi fisiche (ovvero, di come si possa riconoscere l’esistenza della mente senza cadere nel dualismo cartesiano).La mente è attiva nel senso che, quando percepisce gli oggetti del mondo, non è una tavoletta di cera che si limita a ricevere con docilità le loro forme, ma al contrario agisce e contribuisce prepotentemente a creare ciò che poi «vede» o «sente», selezionando alcune proprietà dal mondo, e impiegandole in virtù dei propri interessi.Secondo Tagliagambe, sono i «valori» (provenienti dai gorghi della storia evolutiva) che orientano questa «costruzione»: ed egli paragona con acume questi «valori» ai «metadati» che, assieme ai «dati» veri e propri, costituiscono qualsiasi oggetto digitale: senza metadati, che forniscono le istruzioni riguardo al modo corretto di decodificare il dato, nessun dato è fruibile, e un computer, pur possedendo l’informazione, non può usarla.

 

La mente è attiva anche nel senso che essa è capace di retroagire sul mondo fisico, modificandolo.Esaminando le più aggiornate teorie del funzionamento del cervello, Tagliagambe è in grado di dimostrare che la mente (definibile come il risultato dell’attività dell’«insieme dei circuiti cerebrali che gestiscono i comportamenti non automatici») non è solo un altro nome del cervello: essa può invece essere concepita come un «cervello nel cervello».Secondo Tagliagambe, il modo corretto di vedere la mente è dunque questo: una sorta di «linea di confine», un «meccanismo cuscinetto a due facce», una «barriera di contatto» fra l’ambiente fisico e l’universo della conoscenza.La mente sarebbe un’interfaccia: tra mondo fisico da cui tutti noi emergiamo, e mondo dei pensieri, delle teorie e delle costruzioni culturali, a cui faticosamente tendiamo allo scopo evolutivo di prevedere, trasformare e dominare quello stesso mondo fisico.In termini popperiani, il Mondo 2 (il mondo della psicologia) avrebbe la funzione di gettare un ponte fra Mondo 1 (il mondo fisico) e Mondo 3 (il mondo delle idee).La mente non è sede di un rispecchiamento (degli oggetti nel «teatro cartesiano» che è in noi), ma di una incessante frizione fra contenuti oggettivi di pensiero e realtà fisica, di uno sfregamento fra due dimensioni dell’esistenza che non si toccherebbero mai se non ci fosse la mente, a consentire loro di sfiorarsi.La mente non può quindi essere identificata col cervello: «per poter svolgere la sua funzione, l”‘interfaccia” non può identificarsi con l’una o con l’altra delle parti che deve mettere in comunicazione reciproca».Il Sogno di Dostoevskij è un libro molto ricco, in cui la vastissima cultura dell’autore viene messa al servizio del problema della natura della mente, senza imporsi limitazioni disciplinari.Tagliagambe, che è forse tra l’altro il massimo conoscitore di filosofia e scienza russa in Italia, saltella con disinvoltura da Edelman a Florenskij,. da Varela a Sestov, da Damasio a Vernadskij.E si trova ad affrontare, per inciso alcuni degli avvincenti enigmi che: assieme all’enigma del rapporto fra mente e corpo, tengono viva la filosofia: perché la matematica risulta «sorprendentemente efficace» (la domanda cara a Wigner), cos’è il tempo e come il suo mistero è connesso col mistero della mente, quali sono le caratteristiche «Oggettive» del mondo, quelle «indipendenti da noi».A questo riguardo, mentre in alcune pagine Tagliagambe concede che «le lunghezze d’onda» siano «qualcosa di oggettivo, la cui presenza vale a scongiurare il rischio» che il nostro modo di percepire e distinguere fra loro i colori poggi sul nulla, in altre pagine egli scrive che sono «un’innovazione e una creazione» non solo le qualità «secondarie», cioè le proprietà «dovute al funzionamento dei nostri organi di senso» – tipicamente: i colori -, ma «anche quelle tradizionalmente definite “primarie”, in quanto le si considerava possedute dai corpi osservati, la forma, il numero, la massa e il moto».Forse l’unico modo per evitare una contraddizione, qui, sarebbe aderire a quel «realismo interno» teorizzato da Hilary Putnam: una forma di realismo che ammette di avere senso solo dopo che sia stato attivato il filtro concettuale di un linguaggio (dice Putnam) o di una mente (dovrebbe dire Tagliagambe).Ma ogni buon libro di filosofia deve lasciare aperti più problemi di quanti ne chiuda.Questo di Tagliagambe risolve il problema di Dostoevskij, il quale giustamente non si capacitava che la descrizione «scientifica» di un pensiero – anche di un pensiero di Raskol’nikov – potesse essere questa: «… lì nel cervello, nei nervi… (oh via, che vadano al diavolo)… ci sono, ecco, una specie di codine, delle codine attaccate a questi nervi: bene, e non appena lì, queste codine si mettono a vibrare … ».

 

http://www.swif.uniba.it/lei/rassegna/020831b.htm

 

 

 

ECCO PERCHE’ LA SCIENZA MODERNA HA FALLITO

 Nel corso del progresso scientifico, i profumi sono divenuti molecole che si fissano sui recettori sensoriali delle pareti nasali; i colori, un’eccitazione selettiva dei neuroni visivi secondo l’energia dei fotoni incidenti; i suoni, onde elastiche che fanno vibrare le membrane dell’orecchio interno. Profumi che non odorano, colori senza colore, suoni muti, che forse si rispondono attraverso la comune eccitazione di qualche sinapsi all’interno del cervello. La familiarità con il mondo non è massima, è nulla. La ragione è semplice: abitare una casa non è farne una rilevazione precisa, né conoscerne i princìpi di costruzione. È viverci.

Quella grande impresa che aveva promesso agli umani di svelare la verità e invece ha prodotto astrazioni, di assicurare la libertà e invece ha regalato il determinismo assoluto, di promuovere l’autonomia e invece si è diretta verso la soppressione del soggetto mediante la sua oggettivazione, di rendere l’umanità forte e potente con la tecnologia ma che insieme alla potenza ha posto le premesse per l’autodistruzione del pianeta mediante le armi nucleari e chimiche e più in generale l’inquinamento e il degrado ambientale.

La conclusione è spietata: oggi disponiamo di tante più informazioni che in passato, ma non possediamo più conoscenza, siamo più ricchi, longevi e potenti ma non sappiamo più nulla circa il senso della vita. E tutto ciò non avviene per inadeguatezza dello sforzo scientifico o perché la strada del progresso è molto lunga: il problema è l’essenza stessa della scienza moderna

. Ora, per principio la scienza moderna spoglia la natura di ogni valore morale. Essa non si interessa alla natura in quanto tale, ma alle sue strutture matematiche. Le sue strutture possono certo aiutarci a manipolare la natura, ma, per principio, non possono assolutamente dirci niente su ciò che dobbiamo fare. E questo, ripetiamolo, non è dovuto al fatto che la scienza non sarebbe ancora abbastanza sviluppata, ma all’essenza stessa della scienza moderna».

 

http://www.tempi.it/olivier-rey-scienza-moderna-fallimento

 

Letteratura & Neuroscienzaultima modifica: 2013-09-15T22:54:00+02:00da allan11
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