OMAGGIO A CARL GUSTAV JUNG
Se l’impianto teorico di Freud è intuitivo, quello… di Jung è visionario. Nessuno fra gli psicologi, prima e dopo di lui, ha osato tanto sul piano dell’immaginazione, nemmeno il suo seguace americano James Hillman. Gli archetipi sono forme a priori della natura umana che, come tali, organizzano dall’inconscio collettivo l’esperienza delle grandi masse umane. E come ogni cosa della natura, dal vento ai cataclismi, non hanno alcun senso morale: agiscono sulla base di istanze così vaste, così collettive, appunto, che gli individui ne possono essere travolti. Sotto lo stesso archetipo, quello dell’eroe, Colombo ha scoperto un nuovo continente, ma Hitler ha guidato la Germania negli abissi della peggiore guerra che l’umanità abbia mai visto. Solo l’individuazione può salvare l’individuo da questo trascinamento da parte del collettivo. La visione dell’individuazione è il vero colpo di genio di Jung, è il suo daimon. L’individuazione è il percorso sulla base del quale ciascuno di noi può realizzare l’essenza più profonda di se stesso. Ma “molti sono i chiamati, pochi gli eletti”, dice Jung riecheggiando la sapienza antica. Pochi sono quelli che compiono l’intero percorso per essere individui differenziati e allo stesso tempo utili strumenti consapevoli del proprio destino e della storia cui appartengono. Maturare significa sforzarsi, crescere, andare verso la perfezione del Sè. Tutti gli psicologi dopo di lui hanno seguito Jung sulle tracce di questa visione, parlando di “realizzazione di se stessi”. Pochi però lo citano. Ne sentono l’inarrivabile estraneità. Perché hanno intuito che l’individuazione seleziona e divide, non è per tutti, non è democratica. “molti sono i chiamati, pochi gli eletti”. Questo è Carl Gustav Jung. Prendere o lasciare.