La parola di Gesù sul lettino di Freud
di Massimo Recalcati
in “la Repubblica” del 14 gennaio 2013
Alla fine della mia lettura de
I Vangeli alla luce della psicoanalisi di Françoise Dolto, ripubblicato
dopo circa trent’anni da una nuova piccola casa editrice milanese et al./edizioni, ho pensato: “ecco
un gioiello!”. A suscitare il mio entusiasmo diverse ragioni. La prima è la sua autrice: Françoise
Dolto. Amica e allieva di Jacques Lacan, originalissima psicoanalista con una propensione
particolare alla cura dei bambini, profondamente interessata ai processi di umanizzazione della vita
e agli snodi principali dello sviluppo psicologico del soggetto (infanzia e adolescenza), sino alle
angosce e alle responsabilità che investono i genitori, ma anche attenta alle trasformazioni della vita
collettiva e ai virtuosismi del desiderio e alla sua declinazione femminile, Dolto non si è mai
rifugiata in un linguaggio esoterico o specialistico, ma ha sempre cercato di rendere trasmissibile il
proprio pensiero. La sua originalità nel mondo della psicoanalisi è consistita anche dal fatto che non
ha mai nascosto la sua fede cristiana e la sua militanza cattolica. Fatto raro per uno psicoanalista che
si rifaceva all’insegnamento di Freud, seppur ripreso da Lacan. Per il padre della psicoanalisi,
infatti, l’uomo religioso è abbagliato da una illusione narcisistica.
A partire da Freud – forse con la sola eccezione significativa di Lacan – la tradizione psicoanalitica
ha sostenuto compattamente l’idea della religione come “nevrosi” o, addirittura, come “delirio
dell’umanità”. L’uomo religioso è l’uomo che rifiuta la responsabilità di affrontare le asprezze reali
della vita per rifugiarsi nella credenza illusoria di un “mondo dietro il mondo” – come direbbe
Nietzsche – , regredendo allo stato di un bambino che trasferisce su Dio tutti quei tratti di
infallibilità e di perfezione che prima attribuiva al proprio padre. Rispetto a questo schema Dolto
rappresenta una importante alternativa.
È questa la seconda ragione del mio entusiasmo di lettore. Dolto non entra mai nel merito di una
difesa di ufficio della religione contro la psicoanalisi. Ella pensa e ragiona da psicoanalista
interessata non tanto al fenomeno dell’uomo religioso o della credenza religiosa – interesse che ha
invece calamitato il pensiero di Freud – , ma alla lettura diretta dei Vangeli. Il suo discorso vira così
da una psicoanalisi del sentimento religioso in generale alla parola di Gesù. La lettura dei Vangeli
viene descritta come “un’onda d’urto” che mette a soqquadro la nostra rappresentazione ordinaria
della realtà. Dolto mette con decisione l’accento su Gesù come
maestro del desiderio: «Gesù
insegna il desiderio e trascina verso di esso», verso quella che Dolto definisce provocatoriamente
«una nuova economia dell’egoismo». Cosa significa? Gesù ci insegna a non avere paura di
accogliere la forza e la trascendenza del desiderio che ci abita e che spinge la vita umana al di là del
campo animale del soddisfacimento dei bisogni. L’egoista non è chi segue con fedeltà la chiamata
del suo desiderio, ma colui che pretende che gli altri si uniformino al suo. Chi invece segue con
decisione la chiamata del proprio desiderio, come fa, al limite della truffa, il fattore disonesto
raccontato in una parabola dall’evangelista Luca, non è un egoista in senso dispregiativo, ma
qualcuno che sa rendere la sua vita generativa. Per questo Dolto vede nel completamento cristiano
della Legge ebraica una sovversione radicale del rapporto tra Legge e desiderio. La forma più alta e
liberatoria della Legge non entra in conflitto repressivo col desiderio perché coincide in realtà con il
desiderio stesso.
In questo senso
Gesù insegna il desiderio, insegna a non rinunciare al proprio desiderio. Com’è
liberatoria questa versione della parola di Gesù rispetto alla sua riduzione ad un ammonimento
morale! Ecco allora l’ultima ragione – quella decisiva – per la quale la lettura di questo librogioiello
mi ha entusiasmato. È il modo in cui Dolto ribalta le interpretazioni più canoniche delle
parabole applicando l’arte dell’analista alla parola stessa di Gesù. Prendiamo come esempio quella
nota a tutti del buon samaritano. L’interpretazione catechistica la riduce al fatto che tutti noi
dovremmo dedicare del tempo a chi giace inerme e ferito sulla nostra strada, al nostro prossimo più
sfortunato. Dolto invece identifica il prossimo non con lo sventurato che chiede aiuto, ma con chi
offre in modo disinteressato il suo aiuto. Strabiliante!
Il prossimo è il buon samaritano! Ed è per questo, per come ci ha soccorsi e donato il suo tempo
senza esigere riconoscenza alcuna, né farci sentire in debito, che occorre amarlo, amare il
samaritano come nostro prossimo. Per questa ragione l’amore cristiano non ha nulla di consolatorio,
non è un rifugio illusorio, non è una negazione del carattere spigoloso del reale. L’amore in Gesù è
– come avviene nell’incontro con il buon samaritano – una forza che ci scuote e che porta con sé la
necessità dello strappo e della separazione. Nella celebre parabola del figliol prodigo tra i due
fratelli il peccato più grande – il solo che conta – l’ha compiuto chi si aspettava che l’eredità fosse
semplicemente una questione di clonazione, di fedeltà passiva al passato. Il figlio che resta accanto
al padre è il figlio nel peccato perché non accetta la Legge del desiderio che è la Legge della
separazione. Gesù è l’incarnazione pura di questa forza separatrice («Non sono venuto a portare la
pace ma la spada!»).
Molte delle parabole commentate da Dolto mettono il dito nella piaga mostrando il rischio che il
legame familiare scivoli verso un legame incestuoso che impedisce lo sviluppo pieno della vita. È
questo il caso dei racconti delle resurrezioni, come quella del figlio della vedova di Nain, della
figlia di Giairo o dello stesso Lazzaro. La parola di Gesù risveglia dalla morte perché strappa la vita
da legami mortiferi che non la fanno accedere alla potenza generativa del desiderio. “Vieni fuori!” –
il grido che Gesù rivolge a Lazzaro – deve essere preso come un nuovo imperativo categorico che
consegna la vita umana alla Legge del desiderio. “Vieni fuori!” significa: non stare nel riposo
incestuoso, non evitare il rischio della perdita, non delegare il tuo desiderio a quello dell’Altro, non
smarrire la tua più singolare vocazione!
È questo il volto di Gesù ritratto da Dolto che ribalta un altro luogo comune che vorrebbe liquidare
la verità del cristianesimo come un evitamento dell’incontro col reale (la morte, il sesso, la malattia,
l’angoscia, ecc). La lettura di Dolto rovescia anche questo pregiudizio mostrando come il reale
scaturisca proprio dall’incontro con la parola di Gesù perché questa parola spinge ciascuno di noi ad
assumere la Legge del proprio desiderio. Gesù non vuole proteggere la vita dalle ustioni del reale
non si offre come riparo consolatorio, né tantomeno pretende di guidare le nostre vite. Egli è
l’incarnazione della Legge del desiderio; non ci guida, ma ci attrae a sé.
È causa del desiderio e non emissario di una Legge sadica che opprime il desiderio.