…su Girard

Per Girard è precisamente nella rivelazione giudaico cristiana che avviene una vera e propria «rivoluzione copernicana nella comprensione del desiderio» (S 28), nel senso che solo nella Bibbia, e in particolare nei Vangeli, si ha una perfetta comprensione e rappresentazione della verità della natura umana, ovvero della violenza radicata nel mimetismo delle relazioni umane.
Che proprio il desiderio sia al centro della rivelazione biblica sarebbe, secondo Girard, desumibile fin dal cuore della Legge, dal Decalogo, e in particolare dall’ultimo dei dieci comandamenti, in cui, anziché un’azione (come nei precedenti comandamenti), si proibisce proprio un desiderio. Mentre gli altri comandamenti tentano infatti di elencare gli oggetti che è bene non desiderare per non cadere nella rivalità mimetica, nell’ultimo comandamento questo elenco si interrompe, per rivolgere l’attenzione «verso ciò che, o meglio verso colui che è sempre presente, il vicino, il prossimo, la persona di cui viene chiaramente desiderato tutto ciò che possiede» (S 28):

«Non desiderare la casa del tuo prossimo. Non desiderare la moglie del tuo prossimo, né il suo schiavo, né la sua schiava, né il suo bue, né il suo asino, né cosa alcuna che appartenga al tuo prossimo» (Esodo, 20, 17).

Questo comandamento non riguarda, secondo Girard, una deviazione patologica del desiderio, un fenomeno “secondario”, ma il desiderio in sé, il desiderio di tutti gli uomini (Cfr. S 26). Questa proibizione sarebbe cioè l’esisto di una conoscenza precisa dell’antropologia: le Sacre Scritture, proprio perché coscienti di ciò che struttura i rapporti tra gli uomini, ci mettono opportunamente in guarda dal «problema numero uno di ogni comunità umana: la violenza interna» (S 28) .
Emerge inoltre immediatamente una concezione del desiderio triangolare, in cui il modello è inevitabilmente attingibile da chi ci troviamo accanto, il prossimo . Abbiamo infatti visto come nessun’oggetto sia desiderabile di per sé, o, il che è lo stesso, come non si desiderino oggetti in quanto tali, ma perché qualcun’altro li desidera, li rende desiderabili. . Noi invece siamo soliti essere ciechi nei confronti delle rivalità mimetiche, e tendiamo a celebrare qualcosa come il nostro desiderio. Siamo «avidi di falso infinito» (S 30). In realtà, ciò che l’infinito del nostro desiderio nasconde è «l’idolatria del nostro prossimo, la quale è necessariamente associata all’idolatria di noi stessi» (S 30).
È proprio questo individualismo che porta, secondo la sapienza biblica, alla violenza: «noi siamo destinati a tributare al nostro prossimo un’adorazione che si trasforma in odio quanto più disperatamente cerchiamo di adorare noi stessi, credendoci “individualisti”» (S 30). In questo senso va letto il comandamento contenuto nel Levitico: «Amerai il prossimo tuo come te stesso» (Levitico, 19, 18), cioè, specifica Girard, «né più né meno» di te stesso (S 30) , evitando cioè fare di noi stessi o dell’altro un idolo da venerare.
(…)
A questa consapevolezza di Gesù fa da contraltare la Sua volontà di liberare l’uomo dalla violenza. Per raggiungere tale scopo, per Gesù non è sufficiente parlare di comandamenti o di divieti. Le proibizioni da sole, infatti, non farebbero che alimentare la tendenza mimetica alla trasgressione. Per sfuggire alla rivalità mimetica, occorre piuttosto «fornire agli uomini il modello che, anziché trascinarli nelle rivalità mimetiche, li protegga da esse» (S 34). Ecco che, offrendosi Egli stesso come modello, Gesù viene a realizzare, e non ad abolire, la Legge. «Egli – osserva Girard – non ci raccomanda di imitare lui stesso perché afflitto da narcisismo, bensì per distoglierci dalle rivalità mimetiche» (S 33).
Gesù, in realtà, ci invita non tanto ad imitare il suo desiderio, quanto piuttosto lo «slancio che lo dirige verso la meta che si è fissato: assomigliare il più possibile al Padre» (S 33). Gesù infatti non pretende di possedere un desiderio suo proprio; «il suo unico scopo è divenire l’immagine perfetta di Dio» (S 33). Gesù a sua volta, dunque, imita il Padre, Dio; «egli ci invita ad imitare la sua stessa imitazione» (S 33), «a diventare tutti degli imitatori del Padre non diversamente da lui» (S 33).

 
…su Girardultima modifica: 2012-12-05T18:32:03+01:00da allan11
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