Abeti…& ebeti

«Se fosse dato ai nostri occhi terreni di vedere nella coscienza altrui, si
giudicherebbe molto più sicuramente un uomo da quel che sogna, che da quel
che pensa»
(I miserabili, Victor Hugo)

Il dualismo tanto decantato e presente nell’uomo fra il suo credersi
razionale e contemporaneamente sentimentale, cioè fra il suo  pensiero e il
suo  sentire, ha origini lontane nella storia della cultura occidentale.

Già Eraclito sostiene che le emozioni si presentano sotto forma di
desiderio, infangando la purezza dell’anima razionale, come se ogni bramosia
umana, per il solo fatto di essere tale, debba considerarsi negativa.

Pitagora considera l’azione razionale della mente come espressione di
purezza, mentre tutto ciò che ha a che fare con il corpo, le sue emozioni e
bisogni, non solamente è negativo ma impedisce la funzionalità della mente
perché la tormenta con le passioni.

Solone intende il rapporto ragione-emozione, pensiero-sentimento come
svantaggioso, a meno che la parte razionale, quella più pura di se stessi,
non si allontani dal provare piacere oppure afflizione.

Ippocrate, colui che per primo sposta la sede della vita emotiva umana dal
cuore al cervello, continua a ritenere le emozioni essenzialmente
sfavorevoli, assimilandole ai  dolori morali, le pene, la tristezza, i
pianti, le paure e i timori, e lascia decisamente poco spazio alla gioia.

Socrate, padre della filosofia occidentale, considera ogni manifestazione
passionale umana come il risultato di errori logici, uno sbaglio evidente
rispetto al buon funzionamento dell’intelletto.

Platone, allievo di Socrate, attribuisce invece tre diverse anime all’uomo:
l’anima concupiscibile, quella irascibile e infine quella razionale.
Preferisce di gran lunga quella razionale, sostenendo che le altre due
conducono l’uomo al soddisfacimento dei propri appetiti (concupiscenza),
oppure a dare sfogo alla propria aggressività (irascibilità).

Gli stoici, che si rifanno largamente alle concezioni socratiche, ritengono
ostili tutte le passioni umane. Lo sono i desideri biologici, come la fame,
la sete e la sessualità, e lo sono pure gli appetiti che scatenano a loro
volta ulteriori emozioni, come la volontà del successo, il desiderio del
potere e della gloria, o quello di ricchezza.

Dobbiamo attendere Aristotele per assistere ad un radicale cambiamento di
rotta. Per lui, l’anima, che equivale alla mente, funziona secondo le
caratteristiche di una sostanza biologica con tre dimensioni: quella
vegetativa (che riguarda la nascita, la crescita, la nutrizione e la
sessualità), quella sensitivo-motoria (che concerne le percezioni, il
movimento e il linguaggio) e infine la  intellettiva, deputata al
perseguimento della conoscenza, attraverso l’esercizio del giudizio e delle
scelte di vita. L’aspetto più interessante di questa classificazione, e che
avvicina Aristotele alla nostra idea, è la reciproca integrazione di queste
tre dimensioni fra loro.

Tutte le posizioni filosofiche appena accennate propongono la stessa
raccomandazione educativa, che arriva fino ai nostri giorni, e secondo cui è
meglio non soggiacere al potere delle emozioni, che vanno controllate dalla
ragione. Non sono le emozioni che devono comandare la mente, ma è la
ragione, al contrario, che deve comandare e controllare l’agire umano
tenendo a bada le emozioni.

In effetti, Socrate non è nemico delle emozioni e considera importanti le
passioni per l’uomo, nel caso però in cui vengano controllate, oggi diremmo
canalizzate. Socrate ritiene, come si apprende dal Gorgia, che si possa
vivere delimitando appieno la propria animalità, specialmente nella sua
parte più istintiva. Ecco perché diventa compito della filosofia ammaestrare
l’uomo, insegnargli come controllare le passioni nocive e le emozioni che lo
rendono succube della propria fisicità, del corpo.

Identica è la concezione platonica, secondo cui il corpo è come una gabbia
per la mente, che è in esso incatenata. Il corpo è una forma e una materia
che, tramite il desiderio, aspira ad ottenere soddisfazioni sostanzialmente
fisiche e materiali, limitando l’esercizio da parte della mente della
propria razionalità. Così nasce il dualismo mente-corpo, dove il corpo può
soltanto disturbare l’anima, che è la mente raziocinante. Una mente che ama
non è una mente razionale, ma solo una mente in preda alle passioni più
turpi e istintive.

Il dualismo mente-corpo non è una invenzione filosofica platonica, perché lo
ritroviamo presente anche nella filosofia precedente, ma non è un dualismo
in cui la mente si contrappone al corpo, perché la dimensione fisica
dell’uomo
è parte integrante di quella mentale. Per Platone invece l’anima, cioè la
parte razionale della mente, è di natura divina, oltre la materia del corpo
e oltre la morte, in antitesi con il corpo.

Per esempio, la malvagità, considerata all’epoca una passione violenta,
risulta essere involontaria, perché essa si scatena in assenza di libero
arbitrio, quando cioè la ragione è sopraffatta da una incontenibile pulsione
aggressiva. È dello stesso parere anche Aristotele, quando sostiene che gli
atteggiamenti criminali nascono dalla irrazionalità e che il “malvagio è una
persona che non sa”. L’uomo emotivo è per Aristotele un uomo senza
controllo, incontinente, incapace di frenarsi oppure di ubbidire ai consigli
della ragione.

Nello stesso tempo, Aristotele non nega l’importanza della parte emotiva
presente in ogni individuo, perché la considera, se gestita secondo giusta
misura, un importante mezzo di adattamento all’ambiente. La ragione e la
passione, l’intelletto e il sentire, sono espressioni importanti di ogni
mente umana e, secondo Aristotele, sono due forme di energia che muovono il
corpo e la mente verso il perseguimento di un unico scopo, o verso il
raggiungimento di un unico fine.

Molti secoli dopo, l’affetto, l’affectus latino, cioè il legame che si crea
fra la mente che scopre il mondo e tutto ciò che lo abita, verrà considerato
espressione finale di uno stato mentale niente affatto negativo, perché con
l’affetto si diventa creativi.

L’amare e l’odiare seguono processi neuro-cognitivi molto simili a quelli
del pensiero, perché questi sentimenti in realtà forniscono rappresentazioni
mentali con le quali ogni persona reagisce ai sentimenti stessi. Le emozioni
sono parte costitutiva del nostro pensare, perché grazie ad esse anche
l’energia
e la volontà che impieghiamo nel ragionamento acquistano un valore e una
importanza diverse.

Se io penso alla Luna, volendo scoprire il suo moto di rivoluzione intorno
alla Terra, sono immerso in una serie di reazioni emozionali che riguardano
me e la Luna, il rapporto che io ho con essa. E proprio in base a tale
rapporto io avrò un particolare modo di pensare alla Luna e al moto che
voglio indagare.

Se questo rapporto è carico di reazioni emozionali positive io dirò che sto
studiando un argomento interessante, perché il termine interessante deriva
dal latino  inter  esse, che significa “nel, fra l’essenza”. Qualche cosa di
interessante è dunque nell’essenza, dentro  l’essere.

È proprio all’interno di questa dinamica che acquista significato
l’imperativo
dell’Oracolo di Delfi, il celebre “conosci te stesso”, perché si riferisce
alla conoscenza delle nostre potenzialità, grazie alle quali impariamo in
quale direzione andare, diventando al contempo consapevoli dei nostri punti
deboli, per sapere cosa dobbiamo evitare durante il percorso.

Per fare tutto ciò è però importante comprendere che è necessario entrare in
contatto con i nostri sentimenti più profondi e per fare ciò dobbiamo
diventare sinceri, almeno con noi stessi. Purtroppo per noi, presi dalla
frenesia della vita quotidiana, siamo spesso vittime del nostro stesso
andare veloce e non siamo più in grado di soffermarci sulle cose quanto
basterebbe per capire le nostre reazioni emotive e sentimentali.

In effetti, viviamo sentendo che qualcosa accade dentro di noi e ci
lasciamo, per esempio, dominare dalla paura, dalla tristezza, dalla
frustrazione, dall’abbattimento e dall’ansia senza l’intervento della parte
razionale di noi stessi.

Cosa fare di fronte ad avvenimenti come questi? I consigli che tutte le
filosofie del mondo danno da sempre a noi uomini, ci dicono che l’unica cosa
che possiamo fare è prendere coscienza della natura di queste emozioni, dei
sentimenti, per capirne l’origine, oppure le circostanze che li provocano.
Solo in questo modo, dopo parecchi anni di allenamento, potremo sviluppare
comportamenti idonei e atteggiamenti mentali utili a fronteggiare le nostre
emozioni.

Si tratta di esercitarsi quotidianamente a riconoscere le nostre emozioni
nelle nostre azioni e pensieri, sapendo che nella mente il sentire e il
pensare funzionano senza mai abbandonarsi e quando siamo noi a volerli
separare nascono allora i veri problemi.

È un vero e proprio allenamento, come fossimo sempre in palestra (del resto
si dice spesso che la vita sia come una palestra.), grazie al quale
abituiamo noi stessi a ragionare con le emozioni e ad emozionarci con la
ragione, senza ergerci a giudici di qualsiasi causa morale o giudizi etici.

Diventare consapevoli dei propri stati emotivi significa capire come
ragioniamo di fronte alle sfide della vita e della società, senza rinnegare
la parte più importante della nostra esistenza, cioè il  sentire,
l’affettività,
il  legame emozionale con le cose e le persone.

Acquisire consapevolezza circa se stessi è possibile, anche se sembra una
impresa difficile. Conoscere le dinamiche che generano in noi stati emotivi
positivi e negativi, dai quali traiamo successivi ragionamenti,
rispettivamente positivi e negativi, è un’azione fondamentale per la
gestione della nostra vita.

Con il passare del tempo, se ci abituiamo a questo stile di vita, a mano a
mano che esso ci diventa familiare, riusciremo a guardare noi stessi con
maggiore verità, senza eliminare il sentire e le emozioni dalla nostra
esistenza, ma inserendole nella dinamica quotidiana, affidando proprio a
loro il ruolo che biologicamente reclamano.

http://lasottoculturadelrelativismo.myblog.it/archive/2010/06/07/inconscio-affettivo-e-inconscio-cognitivo.html

Detto in sintesi

“Interessante”, il sentire, l’emozione che si prova per qualcosa,  deriva dal
latino  inter  esse, che significa “nel, fra l’essenza”.
Qualche cosa di interessante è dunque nell’essenza, dentro  l’essere.

Nella mente il sentire e il pensare funzionano senza mai abbandonarsi e
quando siamo noi a volerne smussare il primo, nascono allora i veri
problemi.

Diventare consapevoli dei propri stati emotivi significa capire come
ragioniamo di fronte alle sfide della vita e della società, senza rinnegare
, smussare,
la parte più importante della nostra esistenza, cioè il  sentire,
l’affettività, il  legame emozionale con le cose e le persone.

Guardare noi stessi con
maggiore verità, evitando l’inebetimento, senza eliminare, cioè la “punta”
del sentire e le emozioni dalla nostra
esistenza, ma inserendole nella dinamica quotidiana.

Abeti…& ebetiultima modifica: 2011-09-13T14:38:10+02:00da allan11
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