La libertà è il punto di arrivo, e non di partenza, di un desiderio inevitabilmente indiretto e simbolico, la cui realizzazione non è automatica perché si scontra con l’istituzione della dominazione e con la sua tendenza all’autopropagazione che appaga il *desiderio narcisistico di rassicurazione*
La servitù volontaria comporta il diniego del carattere incerto e arrischiato di ogni relazione autonoma da libertà a libertà.
Meglio servire desiderando la servitù, meglio la servitù volontaria rispetto all’alea e il rischio della libertà che esclude ogni appagamento garantito del desiderio.
L’obbedienza appaga una tendenza profonda del desiderio dei sudditi fornendo loro una nuova identità collettiva in cui possono, beatamente, naufragare le ansie individuali.
La servitù affonda le sue radici nella profondità del desiderio nel suo rapporto con l’immaginario, laddove il desiderio scaturisce dall’*onnipotenza narcisistica* dove, quanto desidero, si lascia ammagliare dal fascino dell’*uno*….e vi trova il suo appagamento in un popolo che disdegna la propria pluralità frammentaria e dispersa proiettando la sua immagine nel leader di turno, religioso o laico che sia.
Obbedendo al leader, alienandosi in esso, il desiderio frammentato dei singoli si unifica e vibra all’unisono.
Nel corpo del leader il popolo riconosce e celebra la propria unità.
Perciò obbedire all’istanza centrale del potere è obbedire alla propria immagine riunificata.
La molla della servitù è il *fantasma di una unità* che non preesiste alla sottomissione servile
Obbediscono al leader perché lo amano, ma amano se stessi, appagando così la dimensione sociale del *desiderio narcisistico*.
Lo fanno perché in questo trovano appagamento immediato al loro desiderio invece della gratificazione differita che otterrebbero dalla costruzione della libertà futura.
“C’è solo il singolo secco, non internato tra internati”
sognavo, appunto, la notte scorsa
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