LA SOCIETA’ A FUMETTI

L’Immagine e la Donna (by Antonio Cioffi)

Nelle mitologie di derivazione semitico-cristiana, il concetto di “immagine” fa certamente una delle sue prime apparizioni nell’Antico Testamento, laddove si afferma  che l’uomo è “fatto ad immagine e somiglianza di Dio”. Nei primi capitoli della Genesi, è infatti narrato come Adamo sia – in un certo senso – l’immagine della divinità1.

Tuttavia, all’interno di questo rapporto primordiale ed arcaico fra ciò che potremmo mitologicamente considerare la realtà (il Divino) in relazione alla rappresentazione (l’umano), fa immediatamente la sua comparsa un terzo elemento, Eva, compagna di Adamo, la quale, pur essendo dal testo sacro assimilata nella sua essenza alla totalità indivisa dell’Adamo primordiale (che è contemporaneamente maschio e femmina2), “tecnicamente” si manifesta – come essere disgiunto ed autonomo – solo quando Dio la trae, secondo la Scrittura, da una costola di Adamo. In tal modo essa risulta essere – come in un frattale – una sorta di immagine dell’immagine3: una specie di specchio, insomma, grazie al quale alla prima immagine ontologica – cioè all’Adamo primordiale che diventa maschio solo nel momento in cui da esso viene “tratta” la femmina – viene ri-velata, conferendogli uno sguardo che è  soggetto percettivo (subjectum)  di un oggetto esterno a sé (objectum) 4, la propria primordiale origine di proiezione celeste, di rappresentazione – in Terra – di Dio stesso5. È in questo senso – probabilmente – che vanno interpretate le affermazioni di taluni autori islamici secondo i quali “Dio ama l’uomo quanto Adamo ama Eva”: Adamo, nella luce della bellezza di Eva, vede il riflesso di se stesso e della propria origine celeste6. E, verosimilmente, in  modo analogo va interpretata la concezione “cortese” dell’amore, considerata anche l’assimilazione simbolica che può essere individuata fra la “donna” dei “Fedeli d’amore” e “sophia“, la conoscenza.
Esiste quindi un rapporto speciale e privilegiato fra Eva, “madre dei viventi” secondo l’etimologia ebraica, e il fenomeno – più che l’idea – di immagine, concepita come riflesso – per così dire “lunare” – della Luce divina stessa; Luce che, simbolicamente, è a sua volta riflessa dal Sole.
Un rapporto, mitico ed originario, che è confermato dal fatto di aver comunemente considerato la bellezza come una caratteristica sensibile archetipicamente associata al principio femminile ed alla sua potenza seduttiva, e – contemporaneamente – come l’estrema espressione, forse in quanto “conoscenza”, del connotato ontologico stesso dell’Estetica. Rapporto speciale e privilegiato che infatti ancor oggi vede convergere all’interno di un comune indice semantico, la donna e tutto quanto concerne l’apparire – esteriore se non addirittura “oggettuale” – delle cose.
Nella maggior parte delle culture è generalmente la donna (o la parte femminile dell’uomo, se si vuole) che cura l’estetica del proprio e dell’altrui apparire, che decora il proprio corpo e che è particolarmente sensibile – come ancor oggi accade nelle società moderne e contemporanee – alle mode e alle tendenze estetiche. E’ la donna che – in altri termini – detiene il potere estetico sul mondo, sia in relazione al trattamento e all’ornamento del corpo, della casa o dell’abbigliamento, sia in relazione al governo del visibile in senso lato.
Possiamo anche considerare un altro aspetto, relativo al concetto di immagine intesa come idea intimamente correlata al principio femminile: dal punto di vista fisiologico – segnatamente nella morfologia dell’apparato riproduttivo umano – è possibile concepire il rapporto fisico che intercorre fra il fallo e la vagina come un rapporto che si sviluppa fra un oggetto e la sua immagine, in un certo senso il rapporto fra una forma ed il suo calco. Quest’ultimo può a sua volta diventare matrice di un’altra forma, “madre” di un altro “figlio”. In questo senso, la biblica costola di Adamo appare come una forma simbolica indicante il fallo, l’“oggetto” per eccellenza secondo la psicanalisi. La vagina, formalmente, si configurerebbe dunque come l’impronta – o il “negativo” – della forma stilizzata della costola, e metaforicamente apparirebbe quindi come un riflesso – o letteralmente come un’“immagine” – del fallo stesso.
 

Se consideriamo ora il ruolo e la funzione, che l’idea di immagine ha posseduto – e possiede – nel corso della storia, ci accorgiamo che gli approcci filosofici sono sostanzialmente due: da un lato troviamo diverse forme di iconoclastia, cioè di avversione all’immagine, molto diffuse in determinate culture non solo dell’antichità; dall’altro, viceversa, una tendenza culturale che considera ed ha considerato l’immagine, particolarmente in Occidente, come un “enzima” mediatico fondativo ed irrinunciabile del proprio metabolismo sociale. È noto, ad esempio, come in ambito semitico (l’ambito da cui si è paradosalmente sviluppata l’intera cultura iconografica del cristianesimo), l’immagine sia stata originariamente considerata come un fenomeno estremamente problematico, al punto da descrivere le condizioni storiche di deriva spirituale come momenti ciclici in cui l’immagine ha il sopravvento sulla parola, il verbo, che viceversa è astratto e ri-velato. Tanto risulta, per esempio, dalla parabola biblica del Vitello d’oro o – ancora – lungo tutta la narrazione visionaria dell’Apocalisse di Giovanni, dove la nota “immagine della bestia” possiede un ruolo emblematico e fondamentale.
In questa prospettiva è importante considerare attentamente il fatto – apparentemente banale – che la società contemporanea sia stata definita “società dell’immagine”: nella cultura occidentale, moderna ed “avanzata”, è palesemente l’immagine a detenere il ruolo principale di enzima della cultura. Il concetto di “idolo”, come lo troviamo descritto nell’antica cultura semitica, delinea un fenomeno molto simile – ma molto meno potente e significativo – a ciò che corrisponde, nella nostra cultura di massa, ad una qualsiasi delle più semplici immagini mediatiche o al più comune logo pubblicitario.
Aggiungiamo una notazione: la “società dell’immagine” nasce e si sviluppa in corrispondenza della progressiva declinazione al femminile della società, e le prime, moderne, tecnologie mediatiche, si affermano al fianco della “presa di coscienza femminista” nella cultura; ma approfondire questo tema ci porterebbe troppo lontano.
Nelle culture tradizionali, anche contemporanee, come nel caso esemplare della cultura islamica, esiste un’evidente corrispondenza fra una sorta di “pudore” che caratterizza il rapporto con l’immagine – e che anche senza divenire iconoclastia la considera un elemento quanto meno problematico della comunicazione – ed un analogo pudore connesso all’esser donna e, in generale, all’elemento femminile. Questo si esprime, per esempio, nella pratica vestimentaria orientale, che prevede l’occultamento, se non del corpo intero almeno del capo, e spesso del viso, della donna, considerato forse – se l’ipotesi è corretta – come lo specchio primordiale di una bellezza intesa come l’archetipo stesso dell’immagine sensibile7.
Possiamo dunque dedurre che la società contemporanea occidentale si configura come una società di segno eminentemente femminile. Malgrado nella quotidianità la politica e l’amministrazione del potere sembrino ancora saldamente in mano al maschio, se confrontata con le culture tradizionalmente patriarcali (anche contemporanee), la nostra appare come evidentemente matriarcale. L’ambito mediatico contemporaneo, così come si esprime nei mille rivoli delle tecnologie di comunicazione di massa – dal cinema alla televisione, dai rotocalchi alla Rete – si nutre, e nutre la sua cultura, quasi esclusivamente di immagini, pervasive e patinate; ed è proprio l’immagine della donna che, pur con registri linguistici estremamente evoluti e formalmente diversificati (come avviene nel caso della comunicazione pubblicitaria) resta quella di riferimento, quando si voglia connotare in maniera convincente un prodotto, o – più di recente – un’ideologia.
Se è vero che Internet rappresenta nell’attuale cultura mediatica l’immenso serbatoio delle fedi, dei i miti e delle idee della contemporaneità, risulta piuttosto evidente come proprio l’immagine della donna, giocata e disvelata in innumerevoli declinazioni, ne percorra tutta l’ampiezza semantica; allo stesso modo, è facile verificare come la maggior parte delle dinamiche di partecipazione alla vita delle cosiddette comunità virtuali, consistano proprio nell’esibizione – variamente connotata – dell’immagine femminile. A cominciare dalla straordinaria virulenza della pornografia, fino ad arrivare alle numerose tipologie di luoghi di incontro virtuale, Internet appare come la più grande galleria di esposizione del corpo femminile mai apparsa nella storia.
Esiste un rapporto analogico che intercorre fra il lento ma inesorabile “femminilizzarsi” della cultura contemporanea, e il più veloce – ma ugualmente endemico – svilupparsi di una società che è sempre più dell’immagine. È noto come i modelli di identificazione dominanti, per quanto riguarda il femminile, gravitino essenzialmente intorno ai paradigmi dello spettacolo e dell’affermazione in termini di successo della propria immagine mediatica. E questo, in termini antropologici, è alquanto contraddittorio: se da un lato esiste da tempo un movimento intellettuale – forse concluso – teso all’affermazione della dignità umana della “persona” donna che prescinda dal suo essere corpo e dunque “oggetto”, dall’altro tale affermazione sembra ripercorrere fondamentalmente i termini – già definiti come “maschilisti” – di un “essere donna” che in definitiva si propone essenzialmente come “cosa”. L’esasperazione della cultura dell’identità come cultura dell’apparire del corpo, si è anzi talmente estesa da includere nel proprio ambito anche l’identità – tradizionalmente opposta – dell’uomo. Il risultato di questo processo è stato un affiorare di ogni significato in superficie, sia che riguardi l’identità della donna sia che riguardi quella dell’uomo, configurando l’epidermide di una sorta di ermafroditismo culturale.
Ciò che sta avvenendo non consiste tanto nella dismissione dell’idea tradizionale di “donna oggetto” in favore di una più nobile concezione che riconosca all’esser donna valori diversi da quelli arcaici della pura ma simbolica fisicità; viceversa sembra trattarsi della riduzione, di quella antica oggettualità, ad uno solo dei sensi attraverso i quali può essere percepita e al quale di conseguenza può concettualmente rivolgersi: il senso della vista. Spesso, cioè, sembra di trovarsi di fronte non tanto ad una “donna-oggetto” che ha riconquistato la completa dignità personale, ma ad un oggetto donna che perde letteralmente spessore e corporeità, per diventare alla fine pura immagine – vale a dire “rappresentazione” (virtuale) – di sé. Il fatto poi che tale riduzione dell’oggetto alla pura visibilità riguardi anche il maschio, esprime l’abdicare – da parte dell’uomo – al ruolo di “signore” e “padrone” da lui rivestito, nel passato tradizionale, in relazione al concreto e corporeo oggetto “femminile” ( il “campo”, la “terra”, i “figli”, il “patrimonio”).
In altri termini, dalla condizione pre-moderna che nutriva sia nei confronti della donna sia nei confronti dell’”immagine” un atteggiamento di sacrale problematicità (in quanto entrambe entità variamente riconducibili agli altrettanto problematici concetti di rappresentazione e di riproduzione), ad una cultura moderna che vede nascere, insieme al movimento di rivendicazione del valore autoreferenziale del femminile, le tecnologie di riproduzione meccanica dell’immagine. Tali tecnologie consentirono alle immagini (cioè alle rappresentazioni) di “uscire” letteralmente – come le donne dalle case – dagli ambiti loro specifici (quelli della produzione, dell’utenza e della museificazione, principalmente religiose), e di moltiplicarsi indefinitamente – come “copie” – all’interno della società, fino a costituire – alle soglie del post-moderno – la struttura portante della stessa cultura di massa. Da questa situazione poi, con l’affermarsi della postmodernità filosofica ed attraverso i processi tecnologici della digitalizzazione, l’immagine diventa protagonista assoluta, la “copia” diventa “clone” e sentenzia la sostanza di un oggetto femminile che, lungi dal riconquistare dignità soggettiva, vede ridurre il proprio statuto oggettuale ad uno solo dei sensi attraverso i quali può essere percepito e concepito, il senso della vista8, riducendo infine alla propria sostanza, di pura rappresentazione, anche il tradizionale soggetto di quell’oggetto di cui era immagine simbolica, l’uomo.
Ecco allora delinearsi il panorama attuale, in cui il disvelamento assoluto della donna – e di conseguenza di tutto quanto al principio femminile simbolicamente e tradizionalmente afferisce – corrisponde la proliferazione geometrica e frattale dell’immagine, veicolo privilegiato ed insieme corpo sottile di un processo che – dal punto di vista da cui si sarebbe posto un San Giovanni Evangelista – sembra possedere il carattere “apocalittico” dello svelamento.

Note

1. “E Dio disse: «Facciamo l’uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza, e domini sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo, sul bestiame, su tutte le bestie selvatiche e su tutti i rettili che strisciano sulla terra».“ (Genesi, 1, 26).
2. “Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò.” (Genesi, 1, 27)
3. “Poi il Signore Dio disse: «Non è bene che l’uomo sia solo: gli voglio fare un aiuto che gli sia simile».”  (Genesi, 2,18) “Allora il Signore Dio fece scendere un torpore sull’uomo, che si addormentò; gli tolse una delle costole e rinchiuse la carne al suo posto. Il Signore Dio plasmò con la costola, che aveva tolta all’uomo, una donna e la condusse all’uomo.” (Genesi, 2,21-22)
4. “Allora l’uomo disse: «Questa volta essa è carne dalla mia carne e osso dalle mie ossa. La si chiamerà donna perché dall’uomo è stata tolta».” (Genesi, 2,23)
5. Dalla tradizione islamica -di origine anch’essa semitica- l’uomo viene definito khalîfa (“Califfo”, luogotenente) di Dio sulla Terra”.
6. Questo “riflesso di sé”, per la coscienza, ricorda quello che intende Carl Gustav Jung quando descrive ciò che considera l’archetipo dell’“Anima”, intesa come “apparizione” amorosa, fuori di sé, dell’ inconscio stesso dell’uomo, archetipo col quale occorre ricongiungersi idealmente per realizzare il Sé.
7. Nella tradizione tantrica, contestualmente alle pratiche connesse ai suoi rituali sessuali, il viso è considerato, ci ricorda Mircea Eliade, come il principale mandala (immagine simbolica del cosmo) dell’intero corpo della donna.
8. Senso, la vista, la cui posizione privilegiata nella visione del mondo moderna risale –non per caso – all’invenzione rinascimentale della stampa a caratteri mobili.

L’Immagine e la Donna

RITORNO ALL’ESSERE

Wolfgang Spindler è un teologo domenicano tedesco che sulla scia. di Domenico di Guzmàn sottolinea il primato di “cum Deo vel Deo”, ovvero il primato del discorso su Dio, cioè del Dio uno e trino, e di tutto ciò che deriva dalla sua esistenza, procedendo per argomenti e mostrando la plausibilità del “depositum fidei” contro lo Zeitgeist, lo spirito del tempo. E in particolare contro la cultura delle immagini e delle mere emozioni.
“Quando il Logos viene a mancare subentrano al suo posto la forza suggestiva delle immagini, delle emozioni, dei soggettivismi e dei narcisismi.
Vi è un contrasto profondo tra Logos ed Eidola.
E’ fondamentale, a questo proposito, tornare ai fondamenti della teologia e dell’etica sociale. E questo richiede di occuparsi a fondo della storia, della politica, della letteratura, dell’arte, della musica. In modo che chi ci ascolta possa riconoscere che noi cattolici saremo ormai si una minoranza, ma che nondimeno abbiamo ragione.
Rendere esplicito tale concetto appare un impresa ardua, è una sfida ai limiti dell’utopia.
L’apostasia silenziosa che permea tutta la cultura contemporanea ha portato a considerare l’uomo il centro assoluto della realtà, facendogli così occupare artificiosamente il posto di Dio e dimenticando che non è l’uomo che fa Dio, ma Dio che fa l’uomo.
Questo umanesimo è solamente in grado di generare nichilismo in campo filosofico, relativismo in campo gnoseologico e morale a cui non consegue altro che pragmatismo ed edonismo cinico nelle conseguenti configurazioni della vita quotidiana.”
Da questa sintesi di una sua intervista su *Il Foglio* del week end precedente a questo si possono trarre utili indicazioni per contrastare il perno della attuale “Società dell’immagine”, autentico architrave della degenerazione culturale contemporanea.
L’Immagine, Eidola, genera Idoli.
Oggi è sotto gli occhi di tutti che le star di questo diluvio di immagini siano demenzialmente assurti a “maitre a penser” . Nella recente campagna elettorale americana non hanno mancato di inondarci con le loro idiozie sparate in prima serata da tutti i mass-media .
Forse, a questo punto, conviene cambiare campo di gioco. E l’unica forza che vi si può opporre è il Logos nel senso più totale del termine fatto di teologia, arte, letteratura, musica e, in ultima istanza, politica.
Ma una politica dove l’incompetenza culturale sia stigmatizzata, aggredita, trattata in malo modo che, di gentilezza e politicall correct, nonché misericordia, si soccombe solamente.

IMMAGINE & POST-VERITA’

Apparire, in questo tempo, ha una valenza maggiore dell’essere: la moda dei tatuaggi, che imperversa da diversi anni nelle ultime generazioni, ne è un esempio eclatante.
Attraverso l’essere, invece, esprimiamo la nostra identità, un modo di vivere personale e necessario, la nostra unicità, il nostro contenuto.
Apparendo come o meglio di altri forse ci sentiamo meno soli.
I fenomeni, o meglio dire, le patologie legate ai disturbi alimentari sono legati a questo ambito : “Mangiare per sé stessi e vomitare per gli altri” la sua definizione più sintetica.
Il vero potere dell’uomo è nell’essere non nell’apparire.
Valgo perché sono, non perché appaio.
Calpestare la propria essenza, quella intima e vera che risiede nella propria anima, non può portare ad altro che disastri.
La mitomania dell’Io, l’ostentazione della sessualità allo scopo di rendersi desiderabili, le tecniche estetiche, la ricerca della notorietà, il sogno del successo, la competizione impietosa propongono i nuovi «riti» dell’amore liquido (Bauman), della morte del prossimo (Zoja).
Rimane la sensazione sgradevole di vuoto e desolazione, a causa della solitudine profonda che si produce.
Sull’altare dei legami consumati rimane la cenere delle «passioni tristi», fonte di un cumulo crescente di disturbi e sintomi (demotivazione, noia, depressione, perdita di controllo…)
E’ fondamentale saper dire «no» all’alienazione della società dell’immagine e «sì» a un sano protagonismo nello studio, nel lavoro, nell’azione sociale.
Quel che lascia il segno negli altri deve essere la nostra personalità, i tratti segreti del nostro carattere, il nostro temperamento, il nostro modo di fare, i nostri sguardi, i nostri gesti…
A fare la differenza deve essere la nostra unicità interiore e non un involucro stereotipato da contemplare!
Ma quali sono le logiche strategiche della società dello spettacolo?
La cosiddetta “post-truth”, la “post-verità” stessa; tanto decantata come propria del web quando invece, e ben prima, è alla base di questa “società dello spettacolo” figlia dell’immagine soltanto :
“Il primato dell’immagine, la vittoria della finzione sull’esperienza reale, la necessità di modelli identificativi da parte di un pubblico a volte ingenuo, a volte soprattutto disinformato. Il pubblico di questo spettacolo non sembra essere consapevole di assistere ad una rappresentazione, dimostrando di cadere troppo spesso nelle strategie delle parti sistemiche al potere, di non conoscere l’entità di certe dinamiche del sistema della società dell’informazione.
La disinformazione sembra risiedere in tutta l’informazione esistente. Dove la disinformazione è nominata, non esiste. Dove esiste, non la si nomina, scriveva Debord.
Essa può essere considerata la causa di molti fenomeni di passività del pubblico, che pur vedendosi sparati addosso determinati proiettili magici non smette di accoglierli e di partecipare ad un sistema del quale però non porta le redini, come invece dovrebbe. Il sistema della società dello spettacolo in cui siamo immersi non pare dunque ribaltabile e il primato dell’immagine continuerà a regnare, con tutte le conseguenze positive e negative che tale assetto porta con sé.”
A meno ché non tornino di moda cultura, letteratura, arte, come detto nel precedente post ” Ritorno all’Essere”.

NEO-MATRIARCATO, IMMAGINE, POST-TRUTH…
PRATICAMENTE UNA “SOCIETA’ A FUMETTI”

IMMAGINE & PANICO

Più sei orientato sulla tua immagine, più sei candidato ad avere “attacchi di panico”
Non lo dico per averlo solo studiato ma perché li ho vissuti per molti anni.
Non mi fa piacere confessarlo ma alla loro età ero uguale identico a quei cretinetti di #riccanza. Ferrari e Mercedes come seconda auto. Vestiti firmati eccetera. E soldi in tasca.
Solo con la droga , però , stavo veramente bene.
Ma appena smettevo ritornavano.
Mi vivevo come un corpo sotto gli occhi di tutti.
Quando son guarito ?
Quando ho capito che non ero solo un corpo ANATOMICO, sotto gli occhi di tutti, una immagine, cioè, ma bensì INTENZIONATO, dentro di me , segretamente.
Edmund Husserl mi ha guarito dove non erano arrivati neanche Freud e Jung.
Lentamente, concentrandomi sulla mia INTENZIONALITA’, sono guarito.
Tra Intenzionalità e DESIDERIO c’è poi solo un capello.
Che così capite anche perché ne sono fanatico !
Ma finché non vivi del tuo desiderio autentico ma solo di quello indotto dal Sistema non ne puoi uscire.
Finché ti vivi, narcisisticamente, come immagine sei fregato.
Forse questo spiega l’abuso di droghe tra le star.
Per sorreggere il tuo vuoto interiore sono necessarie.
Solo chiedendoti che cosa vuoi fare tu della tua vita, autenticamente, ne esci.
Perché ve lo racconto ?
Perché, magari, più c’è gente che ne è consapevole più può essere d’aiuto a qualcuno che magari conoscono.
Ma poi anche perché di scriverne un libro, come molti mi hanno suggerito di fare, ne ho decisamente per il cazzo…però,..magari…è utile che questa informazione non vada persa.

LA SOCIETA’ A FUMETTIultima modifica: 2017-01-17T00:18:26+01:00da allan11
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