Mimesi (Il Vangelo) 1° parte

 

Con il Vangelo avviene uno spostamento minimo e nel contempo gigantesco che si pone come prolungamento diretto dell’Antico Testamento ma costituisce anche una rottura straordinaria.
Quello che nella Bibbia infatti è abbozzato ma necessita ancora delle *proiezioni* su di un Dio punitore della residua aggressività umana, trova invece nel Vangelo la sua più piena abreazione, depurazione, a cominciare, appunto, dalle ripetute maledizioni proferite da Cristo stesso verso “scribi e Farisei ipocriti”, i rappresentanti , poi, (ma simbolicamente non solo) di quella cultura giudaica ridotta ormai a pura formalità; dove, cioè, è più che evidente il permanere di quei tratti primitivi di religiosità dove ancora i sacrifici son si criticati, ma sussistono; i miti vengono elaborati da una ispirazione contraria, ma sussistono; la legge è semplificata e dichiarata identica all’amore del prossimo, ma sussiste; e benchè Dio, Yahvè, si presenti in una forma sempre meno violenta, sempre più benevola, resta il dio che si riseva la vendetta

Ciò però non deve trarre in inganno : il Fariseo è contemporaneamente anche un simbolo, come abbiamo accennato all’inizio, di tutte le precedenti religioni e non specificatamente soltanto di quella ebraica, come spesso si è voluto intendere e fraintendere per non volersi riconoscere oggetti di un messaggio Universale e non concertente soltanto gli Ebrei, ricadendo così nuovamente nelle spire del “capro espiatorio” ebreo stesso, nella fattispecie.
Ovvero, detto termini psicoanalitici, “messaggio Universale” contro quella banale divisione in *buoni e cattivi* che sopravvive solo nella inconsapevolezza della propria violenza proiettata sempre all’esterno di sè sul nemico di turno, e dove, viceversa, in quell'”ama il tuo nemico” in sostituzione dell'”occhio per occhio dente per dente”, prevale e domina la visione della *propria* di violenza rispetto a quella altrui, quest’ultima ben più facile da accettare, e dove, quindi, ogni *proiezione* è abolita drasticamente e qualunque forma mimetica si estingue radicalmente

Ma ripartiamo dall’inizio : i Vangeli parlano sempre dei “sacrifici” solo per escluderli e negare ogni loro validità:
“Andate, dunque, a imparare il significato di questa parola: Misericordia io voglio, e non sacrificio” (Matt.,9,13)
Quest’altro brano poi è ancor di più di un semplice precetto morale: è un vero e proprio accantonamento del culto sacrificale e al tempo stesso una rivelazione della sua funzione ormai compiuta:
“Quando presenti la tua offerta all’altare, se lì ti ricordi che tuo fratello ha del risentimento contro di te, lascia la tua offerta là dinnanzi all’altare, e và prima a riconciliarti con tuo fratello; poi torna e presenta allora la tua offerta” (Matt.,5,23-24)

Nei Vangeli la Passione ci è infatti presentata come un atto che arreca la salvezza all’umanità, ma in nessun caso come un sacrificio.
Se facciamo riferimento ai passi che riguardano direttamente il Padre di Gesù, constateremo facilmente che nulla in essi permette di attribuire alla divinità la minima violenza. Al contraio, ci è presentato un Dio estraneo a qualsiasi violenza. Il più importante di questi passi nei Vangeli sinottici nega formalmente la concezione vendicatrice e rimuneratrice di cui sussistono tracce sino alla fine dell’Antico Testamento. Senza neppure riferirsi a tutte le assimilazioni implicite o esplicite di Dio all’amore che si trovano nel “Vangelo secondo Giovanni” e soprattutto nelle “Epistole” attribuite allo stesso autore, si può affermare senza timore che anche su questo punto i Vangeli portano a compimento l’opera dell’Antico Testamento.

“Avete inteso che fu detto: Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico. Ma io vi dico: Amate i vostri nemici, pregate per coloro che vi perseguitano; così sarete figli del Padre vostro che è nei cieli, poichè egli fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti” (Matt.,5,44-45)

I Vangeli tolgono alla divinità la sua funzione più essenziale nelle religioni primitive, la sua capacità di polarizzare tutto quello che gli uomini non riescono a dominare nei loro rapporti con il mondo e soprattutto nei loro rapporti interdividuali.
Essendo eliminata questa funzione si può ritenere che i Vangeli instaurino una specie di *a-teismo pratico*, come Vattimo travisa Girard. Se non fosse che l’ateismo moderno è incapace di rivelare i meccanismi vittimari e il suo scetticismo vacuo nei riguardi di ogni tipo di religione costituisce un nuovo modo di mantenere questi meccanismi in un ombra propizia alla loro perpetuazione, oltre a restare curiosasmente fedele poi a quella immaginazione mitica del castigo divino demistificato, appunto, dai Vangeli

In realtà, nel pensiero evangelico non si ha a che fare con un Dio *indifferente*, ma con un Dio che vuole farsi conoscere e può farsi conoscere dagli uomini soltanto ottenendo da essi quello che Gesù a loro propone, quello che costituisce il tema essenziale e mille volte ripetuto della sua predicazione, una riconciliazione senza riserve mentali e senza intermediario sacrificale ; una riconciliazione che permetterebbe a Dio di rivelarsi qual è, per la prima volta nella storia umana. L’armonia dei rapporti tra gli uomini non esigerebbe più i sacrifici sanguinosi, le favole assurde della divinità violenta e tutte quelle formazioni culturali mitologiche di cui gli uomini, fin ora, non sono riusciti a fare a meno
Ora non c’è divinità per interrompere la violenza né per infliggerla
L’idea di una violenza divina non trova affatto posto nell’ispirazione evangelica.

Mimesi (Il Vangelo) 1° parteultima modifica: 2011-10-21T01:56:34+02:00da allan11
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