ArmaGHEDDOn’s

” Quando si dice che il 20% della popolazione mondiale possiede l’80% delle
ricchezze e l’80% della popolazione mondiale possiede solo il 20% dei beni,
si bara con le parole. Bisognerebbe dire: il 20% produce l’80% delle
ricchezze e l’80% degli uomini produce solo il 20%. Questa la realtà che non
possiamo ignorare.”

 I CATTOLICI E LA SFIDA DELLA GLOBALIZZAZIONE

   Schema conferenza – Bresso, 19 dicembre 2001

                      P. Piero Gheddo

I – LA GLOBALIZZAZIONE SIGNIFICA MONDIALIZZAZIONE.

Il mondo un solo villaggio. “L’estensione e la compressione simultanee del
tempo e dello spazio”. Due cause:

– Caduta del muro di Berlino e del sistema socialista alternativo.

– Scoperte scientifico-tecniche sempre più accelerate: porto dei container a
Kaohsiung.

– L’accelerazione della storia è il fatto fondamentale della
globalizzazione. l’umanità si è messa a correre. La vita moderna è
travolgente e riflettiamo poco, ci lasciamo prendere dal quotidiano, non
abbiamo più il tempo di meditare. L’uomo deve dominare il corso degli eventi
con la riflessione e la preghiera, altrimenti ne è dominato.

Due forme di globalizzazione:

a) economico-tecnica: “mercato globale”, regolata dal WTO. Non solo
economico, ma anche politico fondato su valori comuni: democrazia, apertura
frontiere, ecc. Mercato comune europeo e poi Comunità europea, Mercosur,
Nafta (Usa, Canadà, Messico), Csi (Comunità stati indipendenti)…

b) Culturale-religiosa. Ne parleremo dopo.

II – IL PAPA HA ASSUNTO UNA POSIZIONE RIFORMISTA.

La globalizz. non è né buona né cattiva in sè.

Il 27 aprile 2001 si è svolta in Vaticano una sessione della Pontificia
Accademia delle Scienze. Il Papa ha detto:

“La globalizzazione, a priori, non è né buona né cattiva. Sarà ciò che le
persone ne faranno. Nessun sistema è fine a sé stesso ed è necessario
insistere sul fatto che la globalizzazione, come ogni altro sistema, deve
essere al servizio della persona umana, della solidarietà e del bene
comune”.

Il 17 maggio 2001, Giovanni Paolo II dice: “I processi economici odierni si
stanno sempre più orientando verso un sistema che viene definito con il
termine di globalizzazione. Non vi è dubbio che si tratta di un fenomeno che
consente grandi possibilità di crescita e di produzione di ricchezza… In
realtà la ricchezza prodotta rimane spesso concentrata in poche mani…”.

A me pare che la globalizzazione è sostanzialmente positiva: per la prima
volta nella storia dell’umanità c’è un movimento di popoli che va verso
l’unità e non verso la divisione, verso la pace e non la guerra, verso i
diritti dell’uomo e della donna e non verso l’oppressione e la dittatura….
Ci sono anche gli aspetti negativi, ma di fronte a un fenomeno così nuovo e
positivo, dobbiamo essere molto cauti: non demonizzare né esaltare.

Il nostro tempo richiede ottimismo e speranza, non pessimismo.

Einstein nel 1930: “Abbiamo fatto grandi passi nella scoperta dei mezzi,
siamo ancora ai primi passi nella scoperta dei fini”.

III – COME AIUTARE I PAESI POVERI PER LO SVILUPPO?

1) La contestazione alla globalizzazione è comprensibile: i ricchi diventano
sempre più ricchi, i poveri sempre più poveri. Oggi tutto fa pensare che la
globalizzazione è la nuova questione sociale del secolo XXI.

Cosa fare? Non si è ancora capito bene il motivo di questa realtà tragica
del mondo spaccato in due. Dal 1960, con la “Campagna mondiale contro la
fame”, il mondo ricco ha preso coscienza del dovere di aiutare i popoli
poveri, ma finora i tentativi di aiuto per lo sviluppo sono in parte
falliti:

a) All’inizio degli anni Sessanta si pensava che bastasse aiutare
economicamente finanziando i “piani di sviluppo”, realizzare micro-progetti,
trasferire macchine e tecnologie, commerciare (Trade, not Aid). Ma i paesi
aiutati non progredivano, per tanti motivi interni: corruzione degli Stati,
instabilità politica, guerre, guerriglie, colpi di Stato, scarse
infrastrutture (strade, elettricità, ecc.), diversa concezione del lavoro e
diversi ritmi di lavoro, scuola del tutto trascurata.

b) Negli anni Settanta si è passati a privilegiare la soluzione
politico-rivoluzionaria: il Sud del mondo deve ribellarsi contro il
neo-colonialismo e le multinazionali, deve compiere una rivoluzione radicale
sull’esempio di Mao, di Ho Chi Minh, di Fidel Castro, di Samora Machel del
Mozambico e di altri capi comunisti (o socialisti). Il comunismo ha
governato in 31 paesi del mondo: in tutti è stato fallimentare!

c) All’inizio degli anni Ottanta, i paesi che avevano fatto la rivoluzione e
adottato un sistema di tipo sovietico o cinese di governo non producevano
abbastanza per nutrire i loro popoli. Quando sono andato in Mozambico nel
1979, nella valle del Limpopo mi dicevano: “Questa valle meravigliosa, con
terre fertilissime e acque abbondanti, durante la colonizzazione portoghese
produceva riso per tutto il Mozambico e ne esportavamo; poi sono venuti
russi e cubani, hanno fatto le aldeias comunais (villaggi tipo kolchoz
sovietici), la proprietà comune delle terre, il “lavoro comunitario”, hanno
portato trattori e tecnici. Risultato: la valle del Limpopo non produce
nemmeno per nutrire i mozambicani; importiamo il riso dal Sud Africa”.

d) Dagli anni Ottanta si è incominciato a capire che lo sviluppo dei popoli
più poveri può venire solo dall’evoluzione di mentalità e culture,
dall’educazione a produrre di più e da governi stabili che sostengano
l’agricoltura e le popolazioni rurali. L’Unesco ha lanciato la campagna
“Cultura e sviluppo” (1987-1997), ma la sua voce è sempre più debole.

I missionari testimoniano: il motore dello sviluppo è l’educazione, non il
denaro (si veda “Promuovere lo sviluppo educando le coscienze”, Redemptoris
Missio, nn. 58-59); ma i missionari, pur applauditi per i risultati che
ottengono, non sono ascoltati né imitati. Si continua a dire che per aiutare
lo sviluppo dei popoli bisogna mandare soldi e macchine: prima l’educazione,
poi tutto il resto.

2) Perchè alcune nazioni sono ricche e altre povere?

a) Per spiegare questo fatto ci fermiamo a motivazioni economico-tecniche.
Ci sono motivi di stimoli interni allo sviluppo, da religioni e culture
tradizionali. Si pensa che tutti i popoli sono uguali: non è vero. Gli
uomini sono tutti eguali per natura, ma diversi per cultura, religione,
ambiente in cui vivono.

b) Perchè i popoli vivono in epoche storiche diverse. I musulmani vivono nel
nostro Medioevo; i popoli dell’Africa nera, in genere, sono usciti dalla
preistoria 100 o anche meno anni fa e praticano ancora, nelle zone rurali,
un’economia di sussistenza. Mentre nel 1960 l’Africa nera esportava cibo,
oggi importa circa il 30% del cibo che consuma. La Guinea-Bissau, un milione
di abitanti su un territorio pianeggiante ricco di acque, con un mare
pescosissimo, non produce cibo a sufficienza per i suoi cittadini.

Padre Gianpaolo Salvini scrivendo dell’Africa afferma: “E’ evidente perciò
che, nella lotta alla povertà, che è in buona parte rurale o comunque legata
all’abbandono disordinato delle campagne, saranno necessarie profonde
riforme di struttura per le quali dovranno impegnarsi anzitutto i governi
locali” (La Civiltà Cattolica, 16 maggio 1998, pag. 348).

3) Un errore fondamentale di prospettiva è continuare a ripetere lo slogan
che il Sud è povero perché il Nord è ricco e, viceversa, il Nord è ricco
perchè il Sud è povero.

Quando si dice che il 20% della popolazione mondiale possiede l’80% delle
ricchezze e l’80% della popolazione mondiale possiede solo il 20% dei beni,
si bara con le parole. Bisognerebbe dire: il 20% produce l’80% delle
ricchezze e l’80% degli uomini produce solo il 20%. Questa la realtà che non
possiamo ignorare.

Il problema non è la ricchezza da distribuire, ma essere capaci di produrre
ricchezza: se non si produce si rimane poveri.

A Vercelli produciamo 70-75 quintali di riso all’ettaro nell’agricoltura
africana tradizionale producono solo 4-5 quintali e in Bangladesh 8
quintali. Le vacche italiane 25 litri di latte al giorno, quelle africane
uno. Così le industrie: le capitali africane sono cimiteri di industrie che
non funzionano, le campagne di pompe e di trattori abbandonati, arrugginiti.

4) Grazie alla globalizzazione, nell’ultimo mezzo secolo il terzo mondo si è
in gran parte sviluppato e non è più miserabile come 30-40 anni fa. Mi
riferisco soprattutto all’Asia, dove il progresso è evidente anche in paesi
poverissimi come il Bangladesh (ci sono appena ritornato nel settembre
2001), mentre sono rimasti indietro i paesi ancora in guerra (ad esempio la
Cambogia o dominati da dittature socialiste che non si sono aperte al libero
mercato (Corea del Nord e Birmania). L’India ha avuto l’ultima carestia nell
1966, oggi esporta cibo in Africa, Medio Oriente.

In America latina c’è stato progresso economico nella maggioranza dei paesi,
ma non un’equa distribuzione delle ricchezze: questo però non riguarda più
il mercato globale, bensì l’organizzazione politico-sindacale interna, le
leggi di giustizia sociale da promulgare e applicare.

Se invece parliamo dell’Africa nera, vediamo che buona parte dei paesi non
sono andati avanti ma indietro: ma questo è difficile da attribuire alla
globalizzazione! Si tratta di paesi in guerra o con dittature personali,
militari, di partiti comunisti o socialisti, che non presentano le qualità
di base per partecipare al mercato globale: libertà economica, istruzione,
stabilità politica, democrazia parlamentare, produttività agricola e
industriale, capacità di esportazione. Il problema del sottosviluppo
africano è complesso.

La causa della decadenza del livello di vita non è dunque il mercato
mondiale, ma, come scrive padre Gianpaolo Salvini direttore de La Civiltà
Cattolica (Globalizzazione economica e i paesi in via di sviluppo, 16 maggio
1998, pag. 346-348), “il fallimento delle istituzioni e delle politiche
governative, che hanno trascurato le esigenze degli agricoltori, con effetti
disastrosi sulla formazione del capitale umano… In Africa questa
distorsione ha raggiunto effetti particolarmente rovinosi. La politica delle
élites di governo e urbane ha congelato i prezzi agricoli alla produzione,
monopolizzandone la commercializzazione, soprattutto per quanto concerne
l’esportazione. In tal modo essi si sono impossessati di un ampio ‘surplus’
a beneficio delle classi dirigenti e cittadine in genere. Come risultato gli
agricoltori si sono impoveriti e si sono riversati in massa nelle periferie
miserabili delle metropoli, dove riescono a ottenere sussidi governativi”.

Poi c’è il tema della corruzione: ben più del 50% dei finanziamenti
dell’Occidente ricco ai paesi poveri finisce nelle tasche dei loro
governanti. Il Premio Nobel per l’economia 1976, Milton Friedman,
specialista degli aiuti al terzo mondo, afferma (La Stampa, 13 luglio 2001):
“Diciamo come stanno davvero le cose. Il Terzo Mondo ha ricevuto in passato,
e continua a ricevere, molti aiuti; ma non esiste un solo esempio di
politica di aiuti che si può dire abbia avuto successo. Il motivo è che
questi aiuti inviati dal Nord al Sud del mondo non sono arrivati alla gente
né alla società, ma sono stati consegnati nelle mani dei governi: hanno così
rafforzato regimi e dittatori che li hanno gestiti per fini propri, non
davvero per favorire lo sviluppo. Il terzo mondo non ha certo bisogno di
governi e dittatori più forti, ma di meno governo nell’economia, affinchè la
società possa crescere”.

Insisto però nel dire che il mercato globale, a quei paesi che vivono in
pace, sono aperti all’economia di mercato e hanno un sufficiente livello di
istruzione e di democrazia, offre possibilità di rapido sviluppo che in
passato non esistevano (si legga il volume di Amarthya Sen, Lo sviluppo e la
libertà, Perchè non c’è crescita senza democrazia, Mondadori, 2000, pagg.
355). Ecco alcuni dati dell’Onu: la Germania ha impiegato 43 anni (dal 1870)
per raddoppiare il proprio reddito; il Giappone 34 anni (dal 1885), la Corea
del Sud 11 anni (dal 1966), la Cina 9 anni dal 1985 (al 1994). Perché? Per
l’accelerazione della storia, delle scoperte, dei commerci, delle tecniche
di produzione. Ma questi Paesi avevano ed hanno una buona istruzione di base
del popolo e la stabilità politica, che mancano del tutto all’Africa.

5) Il mercato mondiale va regolato secondo i criteri di solidarietà con i
paesi più poveri, non si può basare solo sulla domanda e sull’offerta.

a) I mercati senza regole aumentano le disuguaglianze, il distacco fra
ricchi e poveri, sia nei paesi ricchi come nel rapporto fra paesi ricchi e
poveri. E’ vero che molti paesi poveri sono cresciuti economicamente grazie
al libero mercato, ma aumenta anche in loro il distacco fra chi ha di più e
chi ha di meno. Allora mi domando: il mercato nazionale lo governiamo
attraverso le istituzioni democratiche (dove ci sono); ma il mercato globale
da chi è governato? La globalizzazione esige un liberismo sempre più
assoluto, senza alcun tipo di protezionismo, anzi con meno regole possibili.
Non ci sono ancora, a livello mondiale, organismi con autorità che facciano
questo, come già esistono nel mercato dell’Unione Europea.

b) Le regole devono essere fissate dagli organismi delle Nazioni Unite che
si interessano dei singoli campi di attività umana: il lavoro, il commercio,
l’agricoltura, eccetera. Però bisogna dire che l’accelerazione della storia
degli ultimi tempi (informazioni, tecniche, commerci, sistemi produttivi,
trasporti) è stata molto più rapida di quanto sia stato il cammino politico
di potenziamento delle Nazioni Unite e dei loro organismi, che poi agiscono
in base alle deleghe degli Stati e con i finanziamenti che ricevono. Questo
vale anche per gli organismi di altre istituzioni che tentano di regolare la
globalizzazione: pensiamo all’Unione europea, che è sempre superata dalla
realtà dello sviluppo economico e tecnico. Alcune regole ci sono, ma non
sono rispettate, e l’Onu non ha la forza, non ha il personale, non ha gli
strumenti di ritorsione per farle rispettare.

IV – IL CAMMINO STORICO E CULTURALE
       DEI POPOLI VERSO LO SVILUPPO

Lo sviluppo dei popoli è un tema molto complesso, la nostra civiltà
materialista lo riduce al fattore economico: ricchi e poveri. Maritain dice
che la radice dello sviluppo umano sta nell’idea che un popolo si fa di Dio,
dalla quale dipende l’idea della natura, dell’uomo, del lavoro umano, dello
sviluppo, ecc.

E Paolo VI nella “Populorum progressio” (1967) dice che lo sviluppo
dall’uomo comincia dai beni materiali, ma continua con i beni culturali,
morali, religiosi, fino all’incontro con Cristo salvatore di tutti gli
uomini.

Anche oggi noi credenti siamo divisi, non sappiamo bene che analisi fare
della povertà, dello sviluppo dei popoli, né che soluzioni dare all’abisso
che divide il mondo in popoli super-sviluppati e sotto-sviluppati.
Ripartiamo da Gesù Cristo.

1) Dio ha parlato e Gesù si è fatto uomo per salvare tutti gli uomini,
liberandoci dal peccato (l’egoismo) e dandoci l’esempio e la grazia per
costruire ed entrare nel Regno di Dio, che incomincia qui in questa vita. La
fede, la vita cristiana e la Chiesa non sono quindi solo per la vita eterna,
ma anche per il Regno di Dio che inizia nella storia.

2) La Parola di Dio e il Messia Uomo-Dio umanizzano i popoli e le culture:
Dio ha creato l’uomo e sa come deve comportarsi per il Regno. Seguendo i
Dieci Comandamenti, le Beatitudini, il Vangelo, cioè gli esempi della vita
di Gesù, noi diventiamo più uomini e più donne, diamo un contributo
personale alla pace, giustizia, solidarietà, sviluppo e comprensione tra i
popoli.

Non esiste un’altra radice del mondo moderno se non quella
biblico-evangelica. Oggi tendiamo a dimenticarlo!

3) In duemila anni, i popoli che per primi hanno ricevuto la Rivelazione di
Dio, hanno creato gradualmente, con molti crimini e peccati, la nostra
“civiltà influenzata dalla Bibbia e dal Vangelo”. Il mondo occidentale non
si capisce senza gli orientamenti dati da Dio con la sua Parola (e con
Cristo che è “La “Parola” per eccellenza). Anche chi si dichiara ateo deve
ammettere che senza il cristianesimo, cioè solo a partire dalla civiltà
greco-romana, l’Occidente non avrebbe la democrazia, i diritti dell’uomo e
della donna, il dominio della natura, lo sviluppo
scientifico-tecnico-economico-sociale che ha oggi.

Croce diceva: “Non possiamo non dirci cristiani”; e Montanelli: “Sono un
cattolico non credente”. Se perdiamo l’identità cristiana della nostra
civiltà, siamo un popolo senza ideali, senza forza morale, senza difese di
fronte ad altri popoli con forte identità religiosa e culturale (come i
musulmani). Abolire i segni cristiani nella nostra società è un crimine non
contro il cristiabnesimo, ma contro il popolo.

4) Il mondo moderno, nel bene e nel male, è nato in Occidente ed è stato poi
esportato e adottato dagli altri popoli. Abbiamo certo usato anche modi
condannabili (colonizzazione di rapina, schiavitù, sfruttamento economico,
ecc.), ma non possiamo dimenticare che il mondo moderno è nato
nell’Occidente cristiano. Nel mondo buddhista e indù, nell’islam e
nell’Africa pre-coloniale, non potevano sbocciare i diritti dell’uomo e
della donna, la democrazia, le libertà politico-economiche, la rivoluzione
francese, il marxismo e la giustizia sociale, la rivoluzione scientifica e
industriale, l’industrializzazione.

Gli studiosi di civiltà parlano di “civiltà cicliche” (che ripetono il
passato) e “civiltà progressiste” che guardano in avanti: la radice del
progresso sta nella Bibbia.

Già Nehru si interrogava nella sua “Autobiografia” (1946) perchè, nonostante
cinquemila anni di grande civiltà, tutto quel che di moderno c’è in India
(democrazia, industrie, treni, scienza e medicina moderna, superamento delle
caste, ecc.) è venuto dall’Occidente. E diceva che l’Occidente era mosso da
un dinamismo interno misterioso, da una continua rivoluzione delle idee,
mentre l’India era immobile da secoli. Il filosofo giapponese Okakura
scrive: “Nella nostra millenaria cultura non c’è nessun principio che possa
farci pensare alla donna come persona uguale all’uomo: questo è il dono più
grande che l’Occidente ci ha portato”. Alioune Diop (fondatore di “Présence
Africaine” scriveva negli anni cinquanta: “La tradizione africana ignora il
concetto stesso di storia e di progresso: noi non guardiamo avanti, ma
indietro: il nostro ideale non è un mondo migliore, ma il mondo degli
antenati da conservare tale e quale l’abbiamo ereditato”…

V) GLOBALIZZAZIONE E MISSIONE DELLA CHIESA

1) A Genova, e nel dibattito sulla globalizzazione, l’identità cristiana e
l’esperienza del mondo cristiano non esistevano. Il 60-65% dei contestatori
venivano da associazioni cattoliche, ma le voci autorevoli del movimento e i
metodi più appariscenti (violenza) non rappresentavano i cristiani presenti.
La Chiesa non ha atteso il G8 per interessarsi dei popoli poveri.

2) L’esperienza della Chiesa quella che descrive Giovanni Paolo II nella
“Redemptoris Missio” (n. 58): “Lo sviluppo di un popolo non deriva
primariamente né dal denaro, né dagli aiuti materiali, né dalle strutture
tecniche, bensì dalla formazione delle coscienze, dalla maturazione delle
mentalità e dei costumi. E’ l’uomo il protagonista dello sviluppo, non il
denaro o la tecnica… La Chiesa educa le coscienze col Vangelo… forza
liberante e fautrice di sviluppo…”. Bisogna riflettere su queste parole
del Papa, che rispondono all’esperienza dei missionari.

3) I missionari sono considerati dagli esperti e dai governi fra i
principali operatori di sviluppo: con pochi mezzi ottengono grandi
risultati, mentre spesso i progetti degli Stati falliscono. Perchè? “La
Chiesa non ha soluzione tecniche da offrire al sottosviluppo… ma dà il
primo contributo alla soluzione dell’urgente problema dello sviluppo quando
proclama la verità su Cristo, su se stessa e sull’uomo, applicandola a una
situazione concreta” (Redemptoris Missio, 58). Spesso si registra questo: i
cristiani, a parità di condizioni, si sviluppano più dei non cristiani
(esempi dei paria in India e dei tribali in Bangladesh).

4) La globalizzazione culturale è una sfida per la Chiesa. Il mondo va
unificandosi: religioni e culture entrano in dialogo, ciascuna porta i suoi
valori e modelli di vita per un mondo migliore. Dobbiamo tornare al Vangelo
ed essere testimoni di Cristo. Questa la radice per una vera solidarietà
internazionale: se vogliamo essere fratelli dei poveri dobbiamo rinunziare
almeno ad una parte del nostro superfluo, non solo per avere più soldi da
donare, ma per condividere l’esperienza della povertà e formare i giovani
alla rinunzia ed a donare la vita per amore di Cristo ai fratelli più
poveri. Quando i mondo cristiano contesterà in modo forte il consumismo e il
vuoto di ideali dell’Occidente?

5) La missione della Chiesa è di annunziare e testimoniare Gesù Cristo,
unico salvatore dell’uomo e dell’umanità. Lo sviluppo dell’uomo viene da Dio
e da Cristo (nn. 12-21, 40-42, 79 della “Populorum Progressio”; 58, 59, 60
della “Redemptoris Missio”). L’opera missionaria ha bisogno di uomini e
donne che consacrino la vita per educare e lasciarsi educare, condividere,
gettare ponti di comprensione e di solidarietà fra Nord e Sud del mondo.

VI – COSA FARE OGGI PER AIUTARE I PAESI PIU’ POVERI?

1) Ritorno al Vangelo, alla fede e identità cristiana, alla vita cristiana.
Se noi occidentali non siamo più cristiani, ci presentiamo agli altri
popoli, che sono profondamente religiosi, come civiltà senza Dio. Siamo
disprezzati. Il terrorismo islamico non è la lotta dei poveri contro i
ricchi, ma soprattutto la reazione di popoli religiosi contro il nostro
ateismo e immoralità.

2) Ricuperare una certa austerità di vita, per essere veramente fratelli dei
poveri. Quanto si potrebbe esemplificare!

3) Educare i popoli, e soprattutto i giovani, alla comprensione e
all’ascolto dell’altro, del diverso; e creare ponti di contatto fra le
culture e le religioni. Penso ad esempio al valore dei volontari e dei
tecnici (oltre che dei missionari) che vanno in missione nei paesi poveri.
L’esempio dei missionari è significativo: vanno per educare e vengono
educati. Non possiamo metterci in posizione di superiorità di fronte ai
poveri del mondo: hanno ricchezze umane, riserve di umanità da comunicarci.

4) Dare ai giovani grandi ideali di vita.

Sono stato a Genova al G8. Ai giovani contestatori dicevo: ammiro le vostre
buone intenzioni, ma oltre alla protesta contro il G8 e le multinazionali,
cosa siete disposti a fare di positivo per i poveri del mondo? Rinunziare al
vostro superfluo? Donare qualche anno della vostra vita per andare ad
aiutare i poveri? Oppure donare tutti voi stessi a Cristo e alla missione
della Chiesa?

Viviamo in un momento affascinante della storia umana: drammatico e
affascinante, nel quale soprattutto i giovani hanno bisogno di iniezioni di
ottimismo, non di pessimismo e di critica radicale. Perché affascinante?
Perché in pochi anni si avverano cambiamenti che in passato avrebbero
richiesto decenni o secoli e i tempi nuovi che stanno nascendo, dopo la
scomparsa dei sistemi disumani ideologizzati e totalitari (come il nazismo e
il comunismo), portano i segni di un mondo più bello, più giusto, più unito,
più umano per tutti. Tutto questo avviene per opera dello Spirito Santo, che
è Signore della storia, cioè guida la storia secondo i disegni di Dio,
nonostante i crimini e gli egoismi dell’uomo e dei popoli. Questo è un
discorso di fede, che però la storia dimostra vero.

ArmaGHEDDOn’sultima modifica: 2010-12-22T23:07:00+01:00da allan11
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