Da Hegel a Girard

La “psicologia di gruppo” è l’analisi del comportamento degli uomini in
quanto appartenenti ad un gruppo sociale.
Lo studio della dinamica dei conflitti nei piccoli gruppi (gruppi
elementari) può essere utile per la comprensione di quanto avviene nella
società d’oggi e, presumibilmente, è sempre avvenuto quando i piccoli gruppi
erano TUTTA la società.  Mi riferisco, cioè, agli albori della civiltà.
I gruppi sociali costituiscono l’oggetto di molte scienze; dell’antropologia
culturale, che studia come le istituzioni sociali quali il matrimonio, la
proprietà, la religione siano il prodotto di di condizioni culturali; della
sociologia, che indaga sui rapporti TRA gruppi sociali; dell’economia
politica, che cerca di individuare le cause dei fenomeni sociali.
Pur essendo correlata a tutte queste scienze, la psicologia di gruppo aspira
ad una propria autonomia perchè il suo interesse prevalente è l’aspetto
psicologico dei fenomeni sociali. Sinteticamente si può affermare che essa
studia gli effetti della vita sociale sull’individuo, e gli effetti delle
leggi psicologiche sulla vita sociale.
E’ negli Stati Uniti verso il 1930, cioè quando la crisi economica del
momento richiama drammaticamente l’attenzione sui problemi sociali, che la
ricerca sui gruppi acquistarono grande importanza.
Se gli anni trenta rappresntano quindi, approssimativamente, la data di
nascita della psicologia di gruppo come corpo autonomo, ovviamente già prima
di allora sociologi, politici, filosofi avevano formulato teorie sulla vita
sociale degli uomini tanto che si erano venute delineandi due posizioni
teoriche : che i gruppi sono una realtà indipendete dagli individui che li
costituiscono (G.M.Mead), e viceversa chi, come F.H.Alport, riteneva che i
gruppi fossero solo un’astrazione e che l’unica realtà fosse l’individuo.
Per avere un effettivo superamento delle due tesi è necessario giungere alla
“Teoria di campo” (K.Lewin) dove il concetto basilare di tale teoria è che
il gruppo è un sistema dinamico costituito da individui interagenti fra
loro.
A questo autore si deve l’espressione “dinamica di gruppo” come alternativa
a “psicologia di gruppo” per marcare due aspetti importanti della teoria:
che il gruppo implica fenomeni non solo di ordine psicologico, e che
caratteristica fondamentale dei gruppi è la loro dinamicità.  Con le parole
di Lewin (che non dimentichiamolo è stato uno dei massimi esponenti della
psicologia della Gestalt), dinamica di gruppo è “lo studio delle condizioni
della vita di gruppo e delle forze che possono provocare dei cambiamenti o
resistere ai cambiamenti. Il termine dinamica si riferisce a queste forze”
Il dinamismo è quindi inteso in senso RELAZIONALE, ciò che porta all’idea
del campo di forze : lo spazio nel quale coesistono tutti i fatti che, ad un
certo momento, sono in relazione funzionale reciproca; sul modello della
fisica moderna ove “non le cariche nè le particelle, ma il campo fra cariche
e particelle è essenziale per la descrizione dei fenomeni fisici” (A.
Einstein)
L’uso dei termini fisici (campo, campo di forze) è giustificato dal fatto
che, anche se non ci si riferisce più ad una teoria riguardante i fenomeni
fisici, nondimeno, come per i fenomeni elettromagnetici, si postula che la
proprietà di un certo evento, psicologico nel nostro caso, siano determinate
dalla sua relazione con il sistema di eventi di cui fa parte. Così anche
quando si parla di “evento” non ci si riferisce ai processi fisiologici che
sottendono un certo comportamento, ma al comportamento inteso nel suo
significato psicologico, ad esempio di azione mirante a raggiungere un fine.
E così “ambiente” non significa la totalità degli oggetti che circondano un
individuo, ma l’insieme di quelli che hanno una realtà psicologica, cioè una
qualche risonanza, conscia o inconsapevole. In altre parole, quanto
interessa lo psicologo non è l’ambiente fisico, ma lo SPAZIO DI VITA, che
può essere definito come il prodotto dell’interazione fra la personalità e
l’ambiente.
Lo “spazio di vita” è quindi il concetto che in psicologia corrisponde a
quello fisico di campo.

Un gruppo è quindi un insieme dinamico costituito da individui che si
percepiscono vicendevolmente come più o meno interdipendenti per qualche
aspetto.
Qualunque gruppo, dopo un periodo minimo di vita, dimostra una certa
organizzazione e l’insieme delle posizioni assunte dai singoli membri
costituisce la sua struttura (Nota:In psicologia di gruppo il termine
“struttura” non ha nulla a che fare con il significato che lo stesso termine
assume in linguistica e in antropologia culturale)
Esiste una struttura orizzontale caratterizzata dalla dimensione affettiva
ed una struttura verticale la cui dimensione è il potere, cioè il rapporto
di DOMINANZA-SOTTOMISSIONE (Hegel)
Quest’ultimo è un aspetto della vita sociale che troppo spesso viene
trattato in maniera marginale, quasi fosse una variabile incidentale delle
relazioni tra gli uomini. Eppure la grande maggioranza dei fenomeni
psico-sociali può essere spiegata esaurientemente solo quando viene
considerata sotto questo aspetto: per comprendere il pregiudizio sociale
dobbiamo conoscere si i fattori psicologici individuali implicati, ma anche
e soprattutto qyal’è la funzione sociale che il pregiudizio assolve, cioè
dobbiamo giungere a considerare il fenomeno dell’ESCLUSIONE (Girard); così
il problema del conformismo rinvia a quello della norma, e quindi
dell’autorità che quella norma impone. In ogni caso ci troviamo di fronte la
dinamica del potere.
Per tale aspetto la dinamica dei gruppi sociali sembra fare perno su tre
posizioni nodali della struttura, cui corrispondono altrettanti ruoli
tipici: il leader, il membro “normale”, l’escluso.
E’ a queste posizioni nodali che vanno ricondotte tutte le tematiche della
psicologia di gruppo: la coesione, la pressione di gruppo, la devianza, e
così via. Questo sarà il filo conduttore di questo studio.

E’ dunque possibile ordinare il gruppo secondo la dimensione del potere.
L’analisi più completa del settore è stata compiuta da Schindler (1967);
attraverso l’osservazione sistematica dei membri egli ha creduto di poter
rintracciare alcuni comportamenti tipici, e strettamente interdipendenti, da
lui riuniti in una “formula sociodinamica”, che rappresenterebbe la
struttura emotiva INCONSCIA di ogni gruppo.
Le posizioni caratteristiche della struttura sono quattro:
pos. A il leader emotivo del gruppo, l’interprete delle aspirazioni
generali, la guida;
pos. B lo sprone razionale del gruppo, il consigliere di A del quale è
alleato;
pos. C la massa dei membri fondamentalmente passiva, che si identifica con
A, ma accetta anche i suggerimenti di B
pos. D colui che spazia oltre i confini del gruppo, e quindi non accetta la
leadership di A, ma d’altra parte non ha la forza di opporsi a lui, né di
abbandonare il gruppo; è una posizione di debolezza, che facilmente diviene
il CAPRO ESPIATORIO di B; D trova un appoggio ideale nella realtà esterna al
gruppo, che viene vissuta come ostile dal gruppo stesso. Perciò la struttura
deve essere completata introducendo una quinta posizione, fantasmatica:
l’opposizione esterna.
L’interrelazione fra le varie posizioni è rappresentata schematicamente
nella seguente figura dove le linee continue simboleggiano un rapporto
fondamentalmente positivo, quelle tratteggiate un rapporto di antagonismo

       A ————— opp.est
        |             B            |
       C ——————– D

Come si è già accennato, la struttura INCONSCIA delineata da Schindler
sarebbe rintracciabile in ogni tipo di gruppo, qualunque sia il numero dei
membri ed il suo fine.
Possiamo quindi concludere ribadendo che lungo la dimensione del potere
esistono tre posizioni differenziate: il leader, il membro, l’escluso.

Molti autori hanno voluto poi porsi l’interrogativo del perchè della
struttura, dandovi quindi una risposta finalistica: l’efficienza del gruppo
ed il bisogno di SICUREZZA sarebbero i due fattori implicati.  Quando alcune
persone si propongono una meta comune giungono rapidamente ad accorgersi che
il progresso è più facile se procedono alla suddivisione delle
responsabilità, alla distribuzione dei compiti e conseguente
specializzazione, ed all’ordinamento stabile dei rapporti.  Nello stesso
tempo sapere quali sono i propri doveri e quelli degli altri, poter
PREVEDERE il comportamento dei compagni di gruppo, sapere a chi rivolgersi
in certe circostanze toglie dall’INCERTEZZA e INSICUREZZA che generalmente
si accompagna all’ignoto.  Accentuando quest’ultimo aspetto la letteratura
psicoanalitica recente vede nella struttura di gruppo l’occasione per SEDARE
l’ANGOSCIA.

Ora occorrerebbe chiarire quali siano i fattori di campo responsabili delle
tre diverse posizioni (leader-membro-escluso) all’interno del gruppo, ma per
il fine di questo articolo passiamo direttamente a quella che più ci
interessa e cioè la terza: l’escluso o capro espiatorio.

Nell’opera “Resolving social conflict” (1948) Lewin ha trattato ampiamente
il problema del pregiudizio razziale antisemitico.  Egli sostiene che in
MOMENTI DI CRISI, in cui le tensioni di campo sono irrisolte, il gruppo ha
bisogno di un CAPRO ESPIATORIO per scaricare la propria aggressività; si
orienta allora verso una minoranza etnica, o religiosa, o di qualunque altro
genere, razionalizzando il comportamento aggressivo con giustificazioni
varie che tendono a dipingere la minoranza stessa come colpevole di qualche
crimine.
A questa concezione che è comune alla maggior parte degli psico-sociologi,
si devono muovere DUE OBIEZIONI : che accetta come un dato di fatto la
differenza tra oppressi e oppressori, e che LIMITA il problema ai momenti di
crisi.
In realtà è proprio della struttura di potere mantenere permanentemente
l’OPPRESSIONE di alcune categorie al fine di difendere i propri previlegi, e
questo avviene attraverso la promulgazione delle NORME, formulate da chi
comanda, ed è così modellata da discriminare una parte dei membri della
comunità, quelli appunto che sono esclusi perchè, occupando le ultime
posizioni, è loro preclusa ogni possibilità di influenzare la vita sociale.
Perciò gli esclusi sono dichiarati differenti, cioè non ancora o non del
tutto nella norma, comunque inferiori.

Ed è questo il serbatoio in cui, da sempre, si è attinto il capro espiatorio
nei momenti di crisi.

In conclusione abbiamo visto quindi, seppur brevemente e per sommi capi,
come quello iniziato scherzosamente come la “riunione di condominio” ci
abbia portato a sviscerare le dinamiche del potere tutt’ora vigenti anche
quando magari, come ora nel politicall correct, solo perchè la leadership ha
un comportamento scarsamente punitivo succede che il gruppo creda di vivere
in “democrazia”.
Quello che comunque mi preme far notare è che le teorie di René Girard ben
si conciliano con le critiche di Hegel e Marx stesso.
Ma quello che è sempre più strabiliante è che anche le conclusioni di
Girard, alla luce della psicologia di gruppo, acquistano una nuova e ancor
più intensa luce.  Mi riferisco alla figura di Cristo, interpretata da
Girard, come lo SCARDINATORE del meccanismo del “capro espiatorio” ed ora,
alla luce delle ulteriori considerazioni di Hegel, SCARDINATORE DEL POTERE
STESSO.
Al di là, infatti, delle considerazioni sulla natura divina o meno del
Cristo, resta comunque inconfutabile la genialità dell’uomo che, duemila
anni fa’, diede le regole tutt’ora più che mai valide per superare
l’hegeliano “servo-padrone” e cioè il potere.
Sorge a questo punto il sospetto che allora furon ben più intelligenti i
romani che, comprendendone l’estremo pericolo, lo misero a morte piùttosto
che gli ottusi contemporanei che non ne colgono affatto il potere dirompente
per una autentica uguaglianza !!

Da Hegel a Girardultima modifica: 2010-07-30T12:34:00+02:00da allan11
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